mercoledì 24 settembre 2014

The dark side of the moon

Partiamo presto, abbiamo una lunga strada da percorrere che ci porti a Batticaloa, sulla costa est.
Il navigatore ci calcola un percorso poco trafficato che ad un certo punto prende l'unica strada possibile sminata; tempo di percorrenza 2 ore e 47 minuti.
Lasciata la B35 senza alcuna sorpresa dotata di proboscide, attraversiamo la provincia del Monaragala dove sono in corso le elezioni per i candidati provinciali; il colore di questa provincia è l'esatto opposto di quello alla presidenza così leggiamo strada facendo di alcuni disordini nei vari seggi elettorali.
Ci superano diverse macchine della polizia, qualche mezzo dell'esercito e le immancabili carovane del personaggio politico di turno (scorta, servizi di sicurezza, auto del politico, personale del politico).
Quando passiamo noi la situazione sembra essere assolutamente normale ma notiamo uno degli uffici politici sulla strada completamente divelto con la polizia a osservare i danni provocati sicuramente non da agenti atmosferici.
Attraversiamo una strada che si snoda tra rilievi montagnosi brulli e abbastanza alti, il caldo è decisamente opprimente e dal navigatore non sembra che siamo spostati di tanto, anzi abbiamo la sensazione che la strada si allunghi di cinque km ogni uno percorso.
Nomi mai sentiti di villaggi si susseguono diventando però sempre più distanti gli uni dagli altri così che la strada sembra dilatarsi a dismisura.
E così tra Nannapurawa, Bibile e Padiyatalawa cominciamo a sentire un'aria diversa.
Meno traffico, meno gente in giro a zonzo, poche case, poco di tutto e soprattutto scopriamo che l'acqua qui non è solo un problema per gli animali.
Ogni tanto ci sono dei pozzi comuni dove mamme con bambini piccoli fanno rifornimento dentro a latte di plastica blu, trasportandole come possono fino a casa; alcune ne approfittano per lavare i figli o per lavare i panni.
Un uomo in bicicletta trasporta due taniche di qua e di là dalla ruota posteriore; al centro, sul portapacchi, una televisione con tubo catodico che da noi potremmo trovare, a caro prezzo, in un mercatino del modernariato.
La strada è mangiata qua e là da voragini profonde mentre le poche case che incontriamo sono incomplete ma non come al sud, dove la brama di costruire un castello lascia le famiglie a metà dell'opera e senza soldi. 
Qui la faccenda è diversa, le case sono tutte uguali come quelle dei plastici degli architetti, squadrate, ad un piano e nel nulla. 
Sorgono spesso a pochi metri dalla strada principale e non hanno giardino o piante ma solo terra secca e raramente un cespuglio, alcune hanno l'elettricità ma a tutte manca l'acqua; la cosa che più balza agli occhi è quella scritta, su tutti i tetti, che a dispetto del sole e delle piogge che arriveranno con la stagione dei monsoni, si staglia sulle tegole così che chiunque la possa vedere, dall'alto o dalla strada: NEHRP.
Mentre ci addentriamo sempre di più in terre sconfinate fatte di desolazione e capre al pascolo faccio una rapida ricerca e scopro che la sigla sta per North East Housing Reconstruction Program, ovvero programma di ricostruzione abitativa del nord e dell'est.
La guerra è finita nel 2009, il 17 maggio per la precisione.
Siamo a settembre del 2014, nel frattempo sono stati realizzati con tanto di inaugurazioni in pompa magna: un nuovo aeroporto, una ferrovia, un'autostrada, un porto commerciale e un oleodotto.
Il programma di ricostruzione abitativa è partito senza mai essere terminato.
La costa est, insieme alla zona nord dell'isola, è zona Tamil ed è stata zona rossa per tanto tempo.
Qui le tigri del Tamil (il gruppo militante estremista che con atti terroristici mirava ad ottenere l'indipendenza dallo Sri Lanka) hanno vissuto, reclutato commando kamikaze, si sono nascosti, hanno costruito bombe e alla fine sono stati isolati per poi essere eliminati.
Fisicamente e non solo.
La guerra civile secessionista dello Sri Lanka è il secondo, ma non per importanza, argomento scottante da non toccare con un abitante; qualcuno non parlerà, qualcuno dirà soltanto che sono finiti i tempi in cui non si poteva uscire di casa nemmeno per andare a scuola e qualcuno sorridendo vi dirà che ora è tutto tranquillo, chiudendo l'argomento sul nascere.
Le accuse mosse all'attuale Presidente che ha condotto l'offensiva risolutiva nei confronti del terrorismo dell'LTTE, sono argomento di forte dibattito con le Nazioni Unite, l'Onu, l'UNHCR (il Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e le varie Commissioni contro i genocidi e le pulizie etniche. 
Rimaniamo molto colpiti, questa è veramente l'altra faccia di una medaglia che già di per sè non brilla ma perlomeno mangia e beve.
Ai bordi della strada ci sono ancora i recinti con l'alta tensione, non più funzionanti: non erano per gli animali ma per le persone.
Ogni azione o atto di forza nel corso dei 25 anni di guerra civile hanno portato alla scomparsa (o quasi) della minaccia del terrorismo, minaccia che era diventata una realtà quotidiana.
Ma vedere questa desolazione, i cartelli che indicano terreno non ancora sminato, povere case di povera gente senza acqua e spesso senza elettricità, lascia un po' perplessi.
Siamo nessuno per giudicare cosa sia giusto o sbagliato; bisognerebbe chiederlo a chi è cresciuto con il terrore di salire su un autobus che sarebbe potuto esplodere o a chi ha avuto qualcuno che purtroppo su da quell'autobus non è più tornato a casa; bisognerebbe chiederlo a chi ha combattuto contro quel terrorismo e ci ha rimesso una gamba o un braccio o la vita; bisognerebbe chiederlo anche ai bambini, che erano solo bambini, e che a seconda si trovassero di qua o di là dalla barricata hanno dovuto imbracciare un fucile o stare al di là di quel fucile battendo i denti dal terrore.
Perchè ogni nazione ha avuto i suoi campi di concentramento, anche se li ha chiamati in modo diverso, e oggi chiamare lo Sri Lanka la lacrima dell'India ha un significato diverso, molto meno mistico, molto più reale.
I checkpoint militari sono diversi lungo la strada e diverse sono le caserme con i campi recintati di filo spinato delle varie brigate armate.
I colori sgargianti del sud, i cavalloni gioiosi delle spiagge piene di turisti, i resort di lusso o quelli caratteristici a conduzione familiare, il rigoglio della vegetazione, il carillon insistente del venditore di dolci o gelati, qui spariscono e lasciano il posto a una sconfinata radura per lo più brulla e secca, divorata dalla siccità, a uomini e donne silenziosi che si muovono come fantasmi tra capre e mucche asciutte come pesci essiccati.
Le ore previste dal navigatore da 2 e 47 minuti misteriosamente diventano 6 così arriviamo a destinazione giusto un attimo prima del tramonto, stanchi e desiderosi di una doccia fresca.
La desolazione del tragitto è parzialmente ammorbidita dal villaggio ordinato di Batticaloa, dalla caratteristica lagunare come Negombo.
La guest house che riusciamo a trovare è affacciata su un lago separato dall'Oceano da una lingua di sabbia deserta; la spiaggia è totalmente disabitata, alcuni ruderi rimandano alla violenza dello tsunami.
L'ondata più violenta è stata proprio su queste coste e se ne possono vedere ancora i segni nella vegetazione, nella conformazione della spiaggia e nelle poche case sventrate mangiate dai rampicanti e abitate dai cani randagi.
La gente è seriosa, ci guarda con sospetto e senza troppe smancerie, con un atteggiamento che ricorda più l'ostilità che la timidezza.
Io ho avuto la sensazione di violare un mondo a parte, un microcosmo che ha visto brutture, programmato e subìto violenze, dove un popolo abbandonato e dimenticato, è stato volutamente mantenuto al limite della sopravvivenza con lo scopo di renderlo inoffensivo.
Ma, si sa, la fame e la privazione generano mostri ed è sostanzialmente quello che è già successo la prima volta.
Non vogliono lo straniero, non vogliono facce sorridenti o entusiasmi curiosi, non chiedono che di rimanere in quel precario equilibrio la cui rottura significherebbe, per loro esperienza, solo dolore.
Esistono inchieste, insabbiate, su sparizioni di interi villaggi, gente con facce e nomi sbiaditi oramai nel tempo e nella dimenticanza.
La gente qui non si vede perchè non c'è più o poca ne è rimasta e quella rimasta sembra dirti con lo sguardo: vai via, non c'è nulla da vedere.
Il mattino seguente anzichè proseguire verso Trincomalee (decisamente ancora molto distante da Batticaloa) decidiamo di prenderci una pausa corroborante e non c'è posto migliore, a nostro avviso, di Ella, minuscolo villaggio perso tra la montagne e le colline, circondato da cascate e boschi sterminati, dove di sera si deve mettere la felpa e di notte si dorme con il plaid.
Da Batticaloa ci allontaniamo sfruttando il fresco del mattino, procedendo via via verso l'interno attraverso strade di montagna che si arrampicano velocemente lasciando sotto di noi precipizi inquietanti.
I tempi di percorrenza dati dal navigatore si rivelano come sempre bizzarri così anzichè le 2 ore e 30 previste, affrontiamo una interminabile giornata di viaggio della bellezza di 8 ore senza le fermate d'obbligo.
Arriviamo stremati a Ella con il sole che sta per lasciarci, ci accolgono l'aria frizzante e i pochi colorati locali già pieni di vita.
Cerchiamo la guest house ai piedi del bosco, quella che ci aveva ospitati anni fa quando siamo arrivati in questo piccolo villaggio con il treno e la ritroviamo come si ritrovano certe vecchie fotografie nella soffitta: sempre uguale, sempre accogliente, sempre casa.
Comincia una pioggia leggera che via via aumenta di forza e intensità e godiamo dell'aria pungente che ci fa mettere i pantaloni lunghi e la felpa e abbracciarci forte.

km e km di nulla
e in quel nulla filo elettrificato (sulla sinistra)


tramonto a Batticaloa






giovedì 18 settembre 2014

Crossing Yala - parte seconda

Torniamo in albergo a Kataragama, ripercorrendo una strada che a ben pensare ha qualcosa di sinistro e stimola inconsciamente picchi di adrenalina a ogni ombra che si muove tra i cespugli.
Il sole è cocente, le poche scimmie rimaste ad aspettare frutta fresca sono sedute all'ombra a fissare il nulla e le tante palle di sterco di elefante sulla strada ci fanno procedere in silenzio e con cautela.
Il tempo di una doccia, una bibita fresca e il recupero dell' attrezzatura per l'escursione e siamo pronti per ripartire.
Forse l'attraversamento della B35 diventa la vera avventura perchè realmente non sai mai cosa può sbucare da là fuori, ti rendi conto che sei tu ad essere "dentro a quel fuori" e il fatto di muoverti in una scatola con le ruote su un nastro di asfalto non è sufficiente a proteggerti.
In realtà al nostro terzo passaggio notiamo ahimè molte macchie rosse sulla strada, inequivocabili tracce di animali che non ce l'hanno fatta.
L'uomo espropria, l'uomo abbatte e costruisce, l'uomo invade anche quando ha buoni propositi e qui, in questa fetta di isola dove gli animali respirano l'uomo ogni giorno, ci si sente un poco colpevoli, quasi ospiti indesiderati.
All'interno della riserva si dice vi sia ancora la discendenza dei Vedda, la originaria stirpe di abitanti dello Sri Lanka; continuano a vivere in armonia con la natura, perfettamente inseriti con gli animali e come animali. Ognuno ha le sue competenze, ognuno il suo posto nella piramide alimentare e forse è questo il vero sano rapporto con la natura.
Niente progresso, niente modernità, niente infrastrutture, si può morire per una banale infezione ma si può evitare di ammalarsi di cancro.
Non so sinceramente quanto sia genuina la vita attuale dei Vedda, oppure se lontano da occhi indiscreti (quelli dei turisti venuti a vederli come fossero animali allo zoo) nascondano l'ultimo modello di cellulare per essere sui social networks, così come non credo nemmeno che abbattere il progresso sia la soluzione vincente.
L'uomo si è un po' giocato questa carta del progresso, esagerando, abusando e dando la colpa ad altri uomini; foreste ridotte all'osso, disboscamenti, animali estinti e tanti in via d'estinzione, cambiamenti climatici, misteriose malattie o vecchie terribilmente evolute.
Almeno avesse raggiunto la felicità....e invece questo caro prezzo per una scatola vuota.
Sono le 4 passate, siamo un po' in ritardo e come se non bastasse al nostro orizzonte una lunga fila di macchine ci fa dire in coro: "oh no, elefante..."
E' sempre lui, il maschio con le zanne.
E' piuttosto irritato, si mette al centro della strada così che nessuno passi e ciondola la testa.
Insomma, non ha poi tutti i torti, come vi sentireste se qualcuno entrasse nel vostro giardino tutti i giorni con autobus, macchine, motorini e magari scattasse foto mentre state mangiando?
In ogni caso la nostra sosta dura circa una mezz'ora, fino a quando un ragazzino coraggioso fa scoppiare una busta di plastica piena d'aria provocando un boato esagerato.
In realtà credo che l'elefante si sia solo stancato e infatti si ritira di lato, fa passare tutti ma non se ne va nella foresta.
Manca poco, procediamo lentamente perchè non avevamo notato il cartello "attraversamento pavoni" e ci mancano pure questi....
Improvvisamente una grossa scimmia, le "facce viola" per intenderci, dalla nostra destra compie un balzo al nostro passaggio direttamente nella nostra direzione.
Freniamo e nonostante la velocità sia poca, l'impatto è inevitabile perchè ha colto esattamente il momento del nostro transito per lanciarsi.
Il rumore sordo ci fa temere il peggio, smontiamo immediatamente dalla macchina e vediamo la scimmia sul ciglio della strada a guardarci con sfida, per poi fare un balzo e andarsene nella vegetazione secca.
Il paraurti è completamente sfondato sull'angolo sinistro del 4x4, alcuni ciuffi di pelo sono rimasti incastrati tra la lamiera e il paraurti.
Siamo mortificati, non vi sono tracce di sangue e la scimmia se n'è andata saltando come se nulla fosse accaduto ma non sapremo mai se quella botta, che a noi costerà parecchio di carrozzeria, a lei costerà di più.
Arriviamo silenziosi all'ingresso della riserva, la nostra guida ci aspetta.
"Avete incontrato un grosso elefante, vero?"
Il nostro pensiero in realtà va alla scimmia e al suo sguardo quando se ne è andata via, dritto negli occhi, diretto come solo ancora alcuni umani sanno fare. E ti aspetti che ti dica qualcosa, anche solo "ehi stronzo, mi sei venuto addosso". E invece no, ti fissa senza dire nulla e ti lascia come un deficiente sul bordo di una strada, sul tuo bel fuoristrada, a non sapere che fare, a dirti che non era possibile evitarla perchè si è lanciata proprio mentre stavi passando.
"In questo periodo è molto secco, manca l'acqua, ci adoperiamo per creare delle pozze in cui gli animali possano bere ma abbiamo dovuto abbandonare i rivestimenti di plastica per le corna..."
"Corna??"
"Bufali! se le grattano contro le pareti, le bucano, l'acqua viene assorbita dalla terra che se la beve tutta perchè è troppo secca e così dobbiamo ricominciare da capo. Abbiamo foderato alcuni fossati con una miscela di cemento, ne possiamo salvare tanti.."
In effetti è tutto terribilmente secco, gli alberi sembrano morti, il colore che prevale è l'ocra, tranne il cielo che è di un azzurro terso.
Siamo gli unici sul sentiero, procediamo a passo d'uomo. Se dovesse comparire un elefante all'improvviso non vi sono vie di fuga se non la retromarcia.
Una scimmia sul ciglio del tracciato ci fissa, è dello stesso tipo di quella investita.
Come siamo vicini si alza e scappa, tra le braccia tiene qualcosa che ciondola, sembra una bambola di pezza.
"Sono giorni che si porta appresso il suo cucciolo...è morto...ma ancora non ci vuole credere così per almeno una settimana se lo porta ovunque. Quando comincerà a puzzare lo lascerà andare. Anche gli elefanti fanno così, però per tre giorni al massimo..."
La vediamo allontanarsi con quella manina che le ciondola da sotto il braccio.
Finalmente raggiungiamo una radura piena di acqua dove gli alberi sono sommersi fino a metà tronco.
Il paesaggio è spettrale perchè gli alberi sembrano sculture di sale; hanno creato un bacino artificiale aprendo una diga ed è qui che si radunano gli animali rimasti in questo blocco della riserva.
Enormi aquile, bufali, coccodrilli, aironi, trampolieri, cinghiali selvatici e quelli che non possiamo vedere ma è come se sentissimo che loro ci vedono benissimo.
Siamo ormai sulla cima della diga, la vista è spettacolare e il vento soffia forte.
Da un lato il bacino pieno d'acqua a perdita d'occhio, con la luce riflessa dagli alberi di sale, dall'altro lato un fiume completamente asciutto dove scimmie e cerbiatti si aggirano smarriti.
Sulla cima della diga una serie di parallelepipedi in cemento guardano verso il bacino d'acqua.
Hanno porte e finestre, scalette per raggiungerli e sono ancorati con enormi pali di acciaio.
"Sono per chi vuole dormire nella riserva."
Ci si illuminano gli occhi: "si può dormire nella riserva?? di notte???? ma non è pericoloso??"
"certo che si può, ma per prenotare bisogna andare a Colombo.."
Alla parola Colombo ci cade la mascella dalla diga.
"Ma non possiamo telefonare...internet...una mail???"
"no no, direttamente a Colombo"
Comodo e soprattutto utile avere dei bungalow nello Yala (costa est dello Sri Lanka) che per prenotare devi fare "un salto" a Colombo (costa ovest dello Sri Lanka).
Infatti non c'era nessuno.
Noi ci saremmo fermati quella sera stessa ma in quanto a flessibilità mentale qui siamo scarsi, così abbiamo abbandonato ogni velleità di esploratori della notte.
Il nostro tour prosegue addentrandoci nella boscaglia secca, con i rami che scendono a terra e che talvolta la nostra guida sposta scendendo dall'auto.
Rumori furtivi ci segnalano la presenza di animali che però stanno nascosti mentre l'occhio vigile della guida controlla che non vi siano elefanti o leopardi in agguato.
Passano quasi tre ore durante le quali non vedremo pressochè nulla ma la sensazione di essere costantemente osservati sarà fortissima.
Scende la sera e non possiamo che tenere accese le luci di posizione, non è consentita nessuna altra luce se non per emergenza.
Con il visore notturno riesco a scorgere una grossa mangusta a caccia, un cervo che ci attraversa la strada all'ultimo momento, un cinghiale e qualche uccello notturno.
Lasciamo la nostra guida all'uscita della riserva, ringraziandola per averci consentito un extra tempo all'interno e riprendiamo la strada B35.
Una serie di jeep cariche di bidoni vuoti d'acqua e ragazzi ci superano ma quando in lontananza vediamo gli stop rossi accendersi tutti insieme ci guardiamo negli occhi e diciamo: no, ancora....
Sempre lui, sempre nervoso, nel buio ancora più grande.
Non vuole far passare nessuno, i ragazzi ridono, gli urlano qualcosa, gli lanciano delle foglie di palma che lui afferra con la proboscide e agita davanti a loro.
Deve essere una vecchia conoscenza.
Riusciamo a passare oltre ma dopo appena 150 metri un altro elefante blocca la strada.
Aspettiamo, la carovana passa ma lui si innervosisce così decidiamo di aspettare, nel buio, che la situazione si ripristini.
Decide di andarsene nella foresta così ripartiamo.
Ormai manca poco alla fine della strada e chi c'è lì, minaccioso, nascosto dal buio?
Un elefante!!
Questa volta, essendo soli, la situazione si fa un po' più particolare. Nessuna macchina nè prima nè dopo di noi.
Rallentiamo, l'elefante si gira dandoci le spalle e comincia a indietreggiare per bloccarci la strada fino ad arrivare vicinissimi al cofano della macchina con una zampa.
Acceleriamo e ce lo lasciamo alle spalle ma non possiamo pigiare troppo sull'acceleratore: se mai ce ne fosse un altro o una scimmia o un pavone o un orso o un cerbiatto o un cinghiale o un istrice o un leopardo o un essere non ben identificato.
E se il pachiderma decide di seguirci? avete mai visto una carica di elefanti? ecco, non è che sembrino proprio dei bradipi.
Fortunatamente se ne sta lì, fermo nello specchietto retrovisore, a fissare il buio della foresta.
Probabilmente a chiedersi che razza di traffico c'è ultimamente a casa sua.
Apriamo la porta della stanza e troviamo il letto ricoperto di petali di fiori.

il tracciato all'interno del blocco 3 dello Yala


"guarda amore, due cobra!!!"
"ehm, credo vogliano essere due cigni....."
"ah, ecco..."


la foresta di sale, prima della diga







martedì 16 settembre 2014

Yala crossing o della lunga strada del brivido

Siamo a Kataragama, la notte è filata liscia come l'olio, un sonno ristoratore rotto all'alba dai cinguettii e dai richiami gutturali delle scimmie sul tetto.
Durante un'abbondante colazione decidiamo il da farsi: un paio di giorni in perlustrazione e poi rotta verso Batticaloa, tagliando fuori la affollata frickettona Arugam Bay.
Tra il vedere una delle cerimonie giornaliere nei templi e un giro per le radure selvagge, scegliamo la seconda, anche per colmare come possiamo la mancata visita alla riserva dello Yala, ahimè chiusa.
Uscire da Kataragama è semplice, si punta a nord verso il primo paese raggiungibile, Buttala, a circa 40 km di distanza e si attraversa il territorio della riserva percorrendo la B35.
Perchè queste notizie dettagliate?
Perchè la B35 è una strada da non dimenticarsi mai più, una volta percorsa e una volta tornati a casa sani e salvi.
Strada accidentata? no, una bella lingua di asfalto senza nemmeno una buca
Incroci pericolosi? nessuna strada incrocia la B35, assolutamente nessuna
Curve a gomito? ma quali curve, dritta come un fuso o quasi
Autovelox, check point, posti di blocco? nemmeno. Se vuoi puoi fare i 100 all'ora (che qui è una bella velocità) senza pigliare una multa.
Allora cosa c'è di così avventuroso, pericoloso, ricolmo di incognite?
Facciamo una premessa, direi doverosa.
Usciti da Kataragama non c'è più nulla, nel senso che percorri una strada che per un buon tratto è solo un'asfaltata tra radure secche e un paio di riserve d'acqua dove i bufali si sollazzano felici.
Ad un certo punto appaiono bancarelle di frutta, di legna da ardere, di utensili in coccio e tappeti; tra le bancarelle e la radura piena di alberi secchi e cespugli ci sono nell'ordine: un giro di filo spinato, un fossato, una recinzione con l'alta tensione ("chi tocca muore").
E caspita, di cosa hanno paura??
Passato questo piccolo agglomerato di bancarelle sui due lati della strada due pesanti barriere a destra e a sinistra obbligano a rallentare per passare tra di loro ma nessun militare o posto di controllo presiede il check point.
Oltre quelle barriere si srotola a perdita d'occhio la strada, lunga, perfetta, assolata e deserta.
A destra e a sinistra una specie di savana cespugliosa secca, arida ma fitta così che tra i cespugli non traspare nulla; oltre quella savana, sia a destra che a sinistra, la foresta.
Drive slowly - guidate piano.
E noi accettiamo il consiglio, procediamo ad una velocità di crociera dei 50/60 km orari, scrutando ai nostri lati l'ammasso di cespugli e nessuna anima viva, solo qualche uccello colorato che volteggia furtivo.
In questo lungo tragitto che sembra non avere una fine, appare solitario un cartello che mostra un orso  sul ciglio della strada, morto, probabilmente investito.
"Orso???"
In Sri Lanka c'è l'orso, lo so che sembra impossibile, ma non solo c'è, attraversa anche la strada a tradimento. Non rallentiamo, procediamo già a una velocità accettabile.
Dopo un tempo interminabile, un altro cartello: scimmie morte sul ciglio della strada.
Oh povere scimmie, eccole, le vediamo da lontano e sono proprio sul ciglio della strada, vive, come se ci aspettassero.
Sono all'ombra di una gigantesca pianta, sono della razza più piccola, la macaca sinica sinica, quella che ha il ciuffo in testa tagliato come certi ordini di monaci che probabilmente qualcuno ha visto nel Nome della Rosa.
Un tuk tuk dal nulla appare alle nostre spalle, spinge sull'acceleratore, ci supera e lancia frutta alle scimmie che impazzite si lanciano in mezzo alla strada per fare incetta.
Ecco, io capisco la penuria di cibo, capisco che è bello aiutarle ma se per farlo fai rischiare una frittata di scimmia........
Rallentiamo per lasciar loro il tempo di raccogliere banane, cocomeri maturi e papaya.
Incrociamo un motorino provenire dalla parte opposta alla nostra, ci fa segno di rallentare e l'ometto alla guida ci fa un curioso gesto con la mano, fa dondolare l'indice come se stesse spegnendo la luce.
"Ma secondo te era offensivo?"
"Ma va là, magari aveva un tic nervoso..."
Altro cartello ma nessun morto: un elefante con un elefantino al seguito.
"Attraversamento elefanti?"
"Ma sì, come per gli orsi....capisco le scimmie, ce le siamo trovate anche in casa, ma adesso è troppo caldo e comunque è pur sempre una strada..."
Per precauzione rallentiamo, il motociclista ci ha segnalato qualcosa, sicuramente altre scimmie affamate.
La B35 è una strada lunga, interminabile, senza curve, ma qualche sali scendi che in alcuni tratti ti impedisce di vedere cosa c'è davanti a te.
Tu guidi, vedi la linea dell'orizzonte ma sei un poco in salita, quell'inclinazione che basta a perdere di vista la strada e stai come sospeso sulle montagne russe, in attesa che il muso della macchina punti di nuovo in discesa.
Ecco, il muso punta in alto, un motorino ci supera e sparisce all'orizzonte, come mangiato da una voragine.
Il muso punta in basso e il motorino davanti a noi è fermo.
"Sono dei pazzi, a momenti li tiro sotto, ma si può fermarsi così dopo...."
Lontano, ma non così tanto, la linea dell'orizzonte è interrotta, proprio sulla strada, da una montagna in movimento.
L'uomo del motorino di prima non pigiava nessun tasto con l'indice, mimava semplicemente una proboscide, quella che in quel momento era attaccata alla montagna.
Il cibo non richiama solo le scimmie e gli uccelli, ma anche gli elefanti.
E' là, fermo o meglio dondola un po' in avanti e indietro, indaffarato a mangiare dei germogli di palma e a godersi l'ombra di uno degli alberi giganti che si incontrano sulla strada.
Dall'altro lato della strada un furgoncino fermo decide di tentare la sorte e passa davanti alla proboscide senza problemi.
La coppia in motorino decide di fare uguale e quindi toccherebbe a noi.
"Eh, grazie tante, adesso magari si è innervosito..."
"Ma sembra tranquillo...."
"Sì, ha parlato la donna che legge nella mente dell'elefante..."
Nascondo subito macchina fotografica e binocolo, agli elefanti non piacciono per niente.
"Ma rallentiamo o passiamo veloci?"
Sinceramente non siamo esperti della guida con elefante sul percorso....
Passiamo lentamente, cercando di non fissarlo e ......è enorme, possiamo sentirne il respiro mentre ciondola tranquillo la proboscide.
E' senza zanne, è una femmina e al nostro passaggio non ci degna di uno sguardo.
Dobbiamo sembrare buffi, chiusi in una scatoletta che lei può distruggere con una mossa e senza troppa fatica.
Ridiamo, quando siamo a distanza, commentiamo la scena
"ahahah, che avventura, altro che parco....è andata bene!!!"
Sì, benissimo, fino al successivo saliscendi.
Qui la situazione è decisamente diversa, tant'è che non ho nemmeno pensato a tirar fuori la macchina fotografica, benchè fossimo ancora a distanza.
In lontananza la seguente scena: elefante in mezzo alla strada (con zanne, maschio e dotato di un carattere non propriamente accomodante), davanti a noi il solito motorino dei due disperati, dal lato opposto tuk tuk e dietro al tuk tuk corriera rossa.
Arriva alle nostre spalle una jeep del parco carica di bidoni d'acqua.
Ci supera e si avvicina all'elefante.
"Ecco, vedi? adesso risolvono tutto.."
Sì, come se a un elefante schiocchi le dita, gli urli "sciò" e lui se ne va.
La corriera non ha tempo di aspettare, supera il tuk tuk e con sfrontatezza passa davanti all'elefante che mica è scemo e non si fa prendere per i fondelli dal primo autista che ha mangiato betel a colazione.
Il pachiderma si mette davanti all'autobus sfidandolo ma soprattutto bloccandogli la strada.
Appoggia il testone sul muso della corriera fissando l'autista che nel frattempo deve aver fatto un danno incalcolabile dentro ai propri pantaloni.
Poi si appoggia al lato destro del mezzo, guarda dentro, vuole guardarli tutti in faccia.
L'autista, in un momento di lucidità, accelera e scappa mentre l'elefante, che non deve aver gradito molto la cosa, sventola minaccioso a mo' di protesta la proboscide.
Quelli della jeep se la ridono, comunicano qualcosa via radio e sfidano l'elefante.
"Sì sì, ecco, adesso risolvono tutto..."
In realtà saranno il carrozziere e il vetraio a risolvere il danno: un colpo secco di proboscide, nemmeno tanto forte in verità, e muso e vetro sono andati.
Uno degli occupanti scende dalla jeep, probabilmente sono abituati a questo genere di situazioni.
Noi, anche volendo, non possiamo indietreggiare, la fila che si è formata non ce lo consente.
E' un ragazzo giovane, con un piglio deciso e urla qualcosa all'elefante senza però convincerlo, così come ultimo estremo tentativo, lancia qualcosa verso il pachiderma.
E' una palla con una miccia che esplodendo emette un botto e rilascia coriandoli di carta.
Dopo tre palle l'elefante, quasi scocciato, ripiega nella macchia di cespugli, sparendo immediatamente come solo un elefante sa fare.
I successivi kilometri sono a passo d'uomo con un'allerta che ci fa stare con occhio spalancato ormai privo di lacrimazione.
Arriviamo a quello che sembra uno degli ingresso dello Yala e vediamo che ci sono diverse persone intente a pulire una jeep, ci fermiamo e chiediamo conferma della chiusura della riserva.
Un signore molto gentile ci informa che l'unico blocco aperto è il numero tre, alla nostra sinistra, e che se vogliamo possiamo entrare con il nostro fuoristrada ma non senza battitore.
Il prezzo è buono, ci avvisa che gli animali saranno pochi data la siccità ma che il giro vale il biglietto.
L'unico problema è che dobbiamo ritornare dopo qualche ora, verso sera, perchè in quel momento fa davvero troppo caldo ed è vero.
Qual è il problema? che dobbiamo ripercorrere la B35, ripercorrerla per tornare qui e ripercorrerla di nuovo per tornare a casa.
"Ma sì, ma che vuoi che sia, averne visti due in una volta è stato un caso, figurati....la probabilità di incontrarne un altro è veramente remota...."
Le ultime parole famose.
Alla prossima puntata.

signori e signore ecco la assolata, deserta (si fa per dire)
B35
E' tutta così, lunga lunga fino alla fine.


scimmie affamate



da lontano non sembra ma vi assicuro che era enorme!!!!
Passate voi se avete il coraggio!






giovedì 11 settembre 2014

Rotta verso Est!

Alla fine siamo partiti, dopo quasi due anni di approfondimento del sud dell'isola abbiamo deciso di vedere cosa c'è oltre Hambantota, villaggio vicino al Bundala Park e considerato l'ultimo paese della provincia del sud dello Sri Lanka.
Un piccolo viaggio, a bordo di un 4x4, all'avventura, verso territori inesplorati dal turismo di massa, o quasi.
Il fascino di terre diverse ma simili e il mistero di luoghi scenari della passata guerra civile per raccontare di nuove emozioni e considerazioni.
Chiudiamo casa portando poche cose indispensabili: binocolo, visore notturno, macchina fotografica e taccuino.
Abituati come eravamo al traffico caotico di Weligama e Mirissa, oltrepassiamo più a sud anche Tangalle, assaporiamo finalmente una inusuale tranquillità fatta di strade poco battute (qualche autobus di linea, diversi tuk tuk e motorini, rare macchine) e paesini brulicanti di abitanti indaffarati nei loro piccoli negozi.
Le strade, poco trafficate, sono curiosamente più larghe che nel resto dell'isola e si srotolano come un lungo tappeto d'asfalto tra piante secolari maestose che, in più punti, tolgono la vista del cielo e ci fanno provare una fiabesca sensazione di smarrimento.
Insomma, ci sentiamo molto Hansel e Gretel, senza le briciole di pane ma con il gps.
Primo step: Kalametiya, dove un bird sanctuary (santuario degli uccelli) ci fa fare una sosta.
La riserva è a ingresso gratuito, un signore gentile ci mostra la strada e ci fa parcheggiare il fuoristrada vicino alla sua casa in costruzione.
Ci appare una immensa e assolata radura dove un lago abitato da coccodrilli, uccelli acquatici e grossi bufali è separato dall'Oceano da una sottile lingua di sabbia.
Scaliamo un'altura rocciosa che sembra uno zuccotto bruciato nel forno e da lì, con il vento forte, abbiamo una delle viste più spettacolari godibili senza fare ore di percorsi accidentati.
Dietro di noi la radura, a destra la foresta fitta dove scimmie e galli selvatici ci osservano sospettosi, sotto di noi il lago e davanti a noi, a perdersi, l'Oceano.
Aquile, trampolieri, cormorani, corvi, kingfisher, orioli, un tripudio di uccelli.
Siamo soli in mezzo alla natura; i rumori della strada sono lontanissimi, a malapena riusciamo a sentire le nostre voci.
Scendiamo con cautela, incontriamo cactus fioriti e trampolieri indaffarati a rincorrersi.
Il signore gentile ci offre due noci di cocco per rinfrescarci e siamo pronti per ripartire.
A Thissamarama ripiombiamo per un attimo nel traffico dei villaggi abituati ai turisti, anche se di turisti nemmeno l'ombra.
Siamo alle porte dello Yala, l'area naturalistica più vasta dello Sri Lanka e con il più alto numero di animali selvaggi liberi, da noi sempre evitata a causa dell'imbarazzante traffico di jeep al suo interno che provoca uno stress non indifferente agli animali; visitare la riserva in settembre, mese in cui i turisti magicamente spariscono, ci fa sentire più rispettosi nei confronti della natura.
Ma anche qui può capitare che i sogni muoiano all'alba: la riserva è chiusa dal 1° di settembre al 15 di ottobre, per consentire agli animali di ritrovare pace e tranquillità in un periodo, la stagione secca, che li metterà molto alla prova.
I bacini d'acqua si svuotano, il cibo scarseggia, leggiamo che in una settimana sono già morti 10 elefanti, diversi cinghiali e cerbiatti, qualche scimmia.
Il governo ha disposto un piano di intervento di urgenza e così incontriamo per le strade furgoncini e jeep carichi di bidoni di acqua che si dirigono all'interno della riserva per ricreare punti di ristoro.
Frutta fresca e fogliame vengono distribuiti in altrettanti punti strategici.
Andiamo oltre e capiamo che l'idea di parco o di riserva è un concetto molto astratto; non si possono tracciare linee di demarcazione precisa in un'area così vasta e comunque dove gli animali sono liberi benchè monitorati.
Ce ne rendiamo conto appena lasciamo Thissamarama e il suo moderato traffico per percorrere una strada che è solo un piccolo nastro ordinato nel verde di radure sterminate, foreste, risaie e in lontananza rilievi ricoperti di boschi.
Qua e là cartelli al bordo della strada avvisano di possibili attraversamenti di elefanti.
Il nostro primo tramonto nell'est è su un lago naturale a osservare in silenzio la vasta colonia di uccelli acquatici cercare un riparo per la notte tra i rami di enormi piante.
Gli uccelli non si litigano mai il ramo su cui vanno a dormire e così vediamo neri cormorani vicino a bianche egrette, pappagalli verdi e azzurri cianciare striduli tra corvi e trampolieri.
L'atmosfera è magica, alcuni pescatori si stagliano come ombre nel sole che si infuoca.
A volte fare foto qui è solo pigiare un tasto e non sbagliare l'inquadratura.
La notte si avvicina veloce, una volta sceso il sole arriva buio pesto e soprattutto da qui in poi regna l'oscurità più profonda così decidiamo di fermarci a Kataragama, un posticino alquanto curioso, dove di giorno raggiungiamo temperature tra i 36 e i 37 gradi mentre di notte un piacevole vento fresco fa sventolare alberi altissimi.
Che dire di questo posto che pare abbandonato da Dio?
Innanzitutto storicamente è stata la residenza di un importante re dello Sri Lanka, quando ancora lo Sri Lanka non si chiamava così e erano lontani i conquistadores portoghesi, olandesi, inglesi.
Siamo lontani dalla costa, l'Oceano è un ricordo.
Montagne a destra e a sinistra, strade in salita si susseguono a discese sterrate e la terra secca, i cactus, le case isolate abitate da sguardi diffidenti ci fanno ricordare quei paesaggi siculi in cui solo "o marranzanu" (lo scacciapensieri) fa temere di incontrare un picciotto con panciotto e lupara degno del miglior padrino.
La riserva dello Yala abbraccia buona parte della costa che da Hambantota arriva fino a Arugam Bay così che l'unica strada possibile è quella all'interno.
Kataragama è l'unico posto al mondo in cui un unico grande giardino racchiude una moschea, un tempio buddista e un tempio induista dove per ben tre volte al giorno i pellegrini si recano a pregare, portando vistose e colorate offerte di fiori e frutta, con immensa gioia e gratitudine della corposa popolazione delle scimmie e degli immancabili corvi.
I fedeli si radunano all'interno del parco, attraversano un ponticello stretto e malandato sul fiume in cui hanno fatto il bagno per espiare i propri peccati (e mi permetto di aggiungere anche i multistrati di polvere che si respira qui camminando a piedi) e si recano ognuno nel proprio santuario.
Inutile ma doveroso e privo di giudizio aggiungere che i templi sono aperti a chiunque, purchè abbigliati in maniera consona, mentre la moschea è luogo solo per i fedeli.
Antecedente il giardino sacro una grande piazza raccoglie una quantità sorprendente di negozietti con la migliore frutta mai vista tutta insieme.
Una volta all'anno (nel mese di agosto e quindi siamo in ritardo pure qui) si tiene un mese di festeggiamenti al di là di ogni immaginazione in cui centinaia di pellegrini (e qui ci spieghiamo la presenza di così tanti alberghi e guest house chiuse) accorrono e assistono o partecipano al rito della pulizia del karma che consiste nel trafiggere le proprie carni con uncini e spilloni cui agganciare decorazioni delle dimensioni di un tavolo da pranzo per 6 persone.
Insomma, dalla notte dei tempi l'uomo ha sempre praticato la modificazione corporale.
Di questo clima di devozione e trascendenza portato a estremi livelli non possiamo, ahimè, che leggerne su internet e rimandare lo spettacolo variopinto al prossimo agosto, insieme allo Yala Park.
Ma il nostro spirito di serendipità ci fa pensare che se siamo arrivati qui proprio a danze finite, è solo perchè per noi uno spettacolo ben più interessante si sta preparando.
Troviamo una bella struttura poco distante dal centro del villaggio e finalmente anche noi possiamo toglierci di dosso caldo e polvere.
Un gratificante aperitivo nel silenzio del vento, sotto una luna prossima alla poya (luna piena) e a una spruzzata di stelle, ci rimettono in sesto.
Nonostante l'atmosfera alla marlon brando con i limoni in bocca (con tutto rispetto Padddrino, baciamo le mani), il personale è gentile e premuroso, niente scacciapensieri e molta cortesia.
Il nostro balcone è sulla foresta e nel silenzio della notte vorrei alzarmi e con il mio visore notturno andare a caccia di avvistamenti, ma la stanchezza vince.
Ci aspetta una intensa giornata anche se ancora non lo sappiamo!


località sconosciuta prima di raggiungere Thissamarama
vasti pascoli, palme, rilievi ricoperti di foreste e nuvole basse


dal rilievo di Kalametiya - giù in fondo l'Oceano



tramonto sul lago a Kataragama