martedì 26 giugno 2012

Breve sosta a Calcutta e Mumbay

Le grandi metropoli in India corrono inarrestabili su binari a sè stanti, trascinando miseri indiani sporcati dalla città e dai suoi ritmi e cavalcate dal consumismo bieco che non guarda in faccia a nulla.
E mai come in India questo abisso si percepisce quando, sorvolando il cielo di Mumbay, il silenzioso buio delle tettoie degli slums colpisce l'occhio ancora prima delle luci sfavillanti dei grattacieli oppure quando, di fronte al candore british del Victoria Memorial di Calcutta, non si può rimanere indifferenti agli accendini legati da corde usurate e appesi ai grandi ficus per la povera gente che vuole gustarsi una sigaretta, comperata singolarmente come fosse una concessione preziosa.
Arrivando dal Rajastan si rimane come disturbati e ci si sente un poco derubati della purezza e della semplicità della campagna. Spariscono i sorrisi, sparisce la bellezza dei gesti, sparisce la tranquillità di passeggiare senza avere problemi.
La città rovina. La città impoverisce le tasche e l'anima. La città è un futuro ineluttabile che appare come un baratro che si percorre alla massima velocità per poi schiantarsi.
Mumbay ha il fascino di vecchie storie e di vecchi viaggi; la porta dell'India è maestosa e penso ai volti e alle emozioni di chi, arrivando dopo lunghe traversate in nave per un oceano sconfinato, vedeva questa imponente costruzione che diventava via via più grande avvicinandosi.
A lato, nella baia a mezzaluna, il Taj Mahal hotel regala emozioni con i suoi misteri, i suoi ospiti, le sue leggende.
Pare che il Sig.Tata, rifiutato da un prestigioso hotel perchè non bianco, abbia deciso di erigerlo come personale vendetta e ai primi del 900 la sua inaugurazione segnò l'inizio della storia.
Sono passati per le sue eleganti stanze personaggi famosi e non (come noi che ci siamo concessi una vera e propria follia), terroristi feroci, amanti in fuga, attori solitari seduti a leggere a bordo piscina.
Riuscire a passare almeno una notte in questo hotel è un'esperienza indimenticabile e al commento del taxista che ci ha portati all'ingresso ("you are very lucky person") non siamo riusciti a ribattere, sentendoci davvero fortunati o solo folli ma comunque persone semplici.
Di Calcutta mi rimane il ricordo di non essere riusciti a visitare la Casa di Madre Teresa poichè nessun taxista o guidatore di risciò ci ha voluto portare. E' un mistero che ancora oggi non riusciamo a spiegarci, qualcuno addirittura ha richiuso il finestrino partendo di corsa e lasciandoci stupiti e perplessi.
E' doveroso visitare queste grandi metropoli per sentire, così è stato per noi, il desiderio forte di ritornare in India, quella vera, quella che regala emozioni nella semplicità e che non comporta richiesta di denaro ma solo gentilezza e rispetto.



Skyliner della baia di Mumbay dal riflesso del Taj.









Victoria Memorial Hall Kolkata












domenica 17 giugno 2012

Varanasi...diario di viaggio insolito

Varanasi non è solo un nome, è molto di più. E' una visione mistica, è il sacro che si respira sul Gange, scendendo i gradini dei ghats e osservando le abluzioni dei santoni, veri o finti che siano, è salire intimoriti su una barca per attraversare acque in cui da sempre si mescola la vita e la morte, è respirare odori forti carichi di mille storie che non sapremo mai, è l'inizio della speranza e la fine di tutte le speranze.
Ma io ricorderò Varanasi per un aquilone rotto e un sorriso bambino, perchè forse Varanasi è il luogo dove si possono avverare anche i piccoli desideri.
Arriviamo all'albergo prenotato e il senso di squallore che ci assale all'ingresso si rivela foriero di una rapida fuga sul taxi che ci porterà di gran fretta al Taj Varanasi; sicuramente un fuori budget ma necessario per interrompere l'andirivieni nella nostra stanza di improbabili camerieri che, bussando insistentemente per quasi un'ora appena dopo il nostro arrivo, ci offrono massaggi particolari per uomini e donne e chissà che altro.
L'albergo è pressochè deserto eccetto noi e diversi brutti ceffi e la porta della nostra camera non si chiude perfettamente.
Seduti sul letto, ignorando il continuo bussare e picchiettare e sussurrare, chiamiamo il Taj, l'unico albergo  con stanze disponibili, spiegando la situazione e chiedendo immediatamente un taxi  per la nostra fuga.
Giusto il tempo di recuperare i passaporti alla reception non senza discussioni e saliamo sul taxi, rincorsi dal personale dell'albergo.
L'arrivo a Varanasi non è stato certo dei più edificanti!
Il Taj è un albergo di lusso con un parco di piante secolari dal quale arriva il canto spezzato del muezzin al calare della nostra prima sera nella città sacra.
Passeggiamo respirando il forte odore di vegetazione misto ad incenso e spezie, lasciando alle spalle il brusio degli altri ospiti riuniti in una grande sala ad ascoltare la nenia ipnotica di un sitar.
E lui è lì, per terra, inerme ma bello, con piccole ali rosse perfette: è l'aquilone.
La magia ha inizio, ti vedo correre divertito come un bambino che cerca di far volare il suo primo aquilone e ad ogni sobbalzo in aria gli occhi diventano grandi e lucenti come bottoni preziosi.
Si avvicina un ragazzo indiano, te lo sfila di mano e ti fa vedere come farlo volare alto cogliendo qualche refolo di vento, poi soddisfatto e orgoglioso te lo riconsegna.
Non è facile far volare un aquilone, bisogna saperlo maneggiare con cura e fermezza, senza dimenticare mai di sorridere.
Un po' come la vita.



giovedì 14 giugno 2012

Verso Varanasi

Muddhara Express. 
Sarà il nostro rifugio viaggiante per Varanasi da Agra per almeno 12 - 14 ore e la cosa ci diverte e ci entusiasma. Un viaggio in treno in India non è mai tempo sprecato.
Partiamo a sera inoltrata e ci incastriamo in cuccette che hanno dimensioni....per indiani! Tutto sommato io non ho grossi disagi poichè l'altezza media di un indiano adulto è pari o spesso minore alla mia esigua altezza!
Ci viene consegnata una grande busta di carta marrone con raffigurata una donna a mani giunte e capo reclinato: contiene un cuscino e un lenzuolo perfettamente puliti e profumati di bucato.
Il rollio del treno è dolce e gli altri occupanti della carrozza sono rispettosi e sorridenti.
Si parte, siamo già partiti e fuori dal finestrino c'è la notte buia della campagna, attraversata da questa arteria pulsante che è il binario su cui ciondola il nostro treno.
Il risveglio è con un coccio di chai fumante, richiudiamo i lettini trasformandoli in sedili comodi e spaziosi e aspettiamo l'alba che arriva puntuale con i suoi colori e suoi profumi unici al mondo.
Transitiamo, a volte fermandoci, a volte passando lenti, in tante stazioni surreali, uomini seduti sui binari, passaggi a livello gremiti di persone a piedi o in bicicletta, marciapiedi consumati ma deserti, una volta forse abitati, sovrappassi animati di presenze leggere nel sole, pastori di caprette gracili e variopinte, bambini che ridono di niente trasportati su un carretto e trainati dalla bicicletta di un papà...la semplicità.
Stacco i contatti con il mondo per entrare in un mondo parallelo e ancora oggi, ripensando a quei giorni, mi fa piacere pensare che nulla sarà cambiato e che qualcuno in questo momento sta provando emozioni forti attraversando..... l'INDIA.
















domenica 10 giugno 2012

Taj Mahal

Visitare un museo, vedere un monumento, osservare un'opera d'arte...sono situazioni mai uguali a sè stesse e soprattutto mai prevedibili.
Il momento giusto o sbagliato, un'eccessiva aspettativa o la mancanza dell'aspettativa, la casualità, la programmazione, la folla o il deserto, la persona che è con te o la persona che ti manca in quel momento.
E oltre tutte queste variabili, esiste LEI, l'opera d'arte che spesso ha una carica energetica talmente forte da sbaragliare qualsiasi situazione contingente. Brilla di luce propria, rimane statica nel tempo e da quella dimensione atemporale ti osserva o si fa osservare e può coinvolgerti o sottometterti, ha vita propria.
Arriviamo alla porta di accesso di questa fortezza di mattoni rossi al di là della quale si cela il Taj Mahal, il mausoleo bianco fatto costruire dall'imperatore moghul Jahan per la moglie, protagonista di cartoline e pubblicità di tour organizzati, patrimonio Unesco.
La fila rispettosa di persone arriva fino in strada ed è interrotta solo dal passaggio placido di una mandria di buoi diretti al fiume. Ci mettiamo pazientemente in coda e notiamo la guardiola con militari armati che ci osservano seri dietro a grandi baffi neri.
Le mura sono alte, quasi minacciose, tolgono la vista di ciò che sta al di là e tolgono pure la luce del sole; difficile non avere aspettative perchè nell'attesa queste nascono e crescono velocemente.
Sì, perchè non si vede nulla nemmeno quando finalmente riusciamo a varcare il gigantesco portone prima del check point per i controlli. Nasce come curiosità, diventa sensazione e si trasforma in una sete che prende gli occhi e la mente: dov'è? com'è? ma è davvero dietro a questo muro di mattoni e persone? nel cervello scorrono le immagini riportate dalla guida e non bastano, non sono sufficienti a placare questa sete.
I controlli sono accurati, uomini separati dalle donne, queste perquisite in un bugigattolo chiuso da tende; le mani della poliziotta vanno a fondo, entrano nelle tasche e la lascio fare, il mio sguardo è oltre quella tenda.
Il mio mp3 suscita sospetto, lo accendo e con cautela avvicino l'auricolare alla signora che è molto più grande di me ed è armata. Accenna un brevissimo mezzo sorriso alla voce di Janis Joplin e per un attimo ho una visione lucida di quello che mi sta accadendo: sono dentro ad un quadrato di 1 metro per 1 metro, a due passi dal Taj con una militare indiana e la voce struggente di Janis Joplin a scandire quell'attesa.
Promossa. Posso andare, prendo un grosso respiro ma oltre quella cortina di corpi e mattoni c'è un verde giardino inserito in un cortile rettangolare con la ghiaia bianca che scricchiola gentile.
Ti cerco con lo sguardo, ti avevo perso ai controlli ma sei lì ad aspettarmi, non sei andato oltre nonostante la curiosità. Mi hai aspettato.
Ridiamo insieme nel vedere un giapponese che si sta infilando dentro ad una tuta bianca da RIS con tanto di occhiali e mascherina....questi giapponesi paiono sempre come pesci fuor d'acqua tranne che a casa loro.
Seguiamo il flusso di corpi che gira a destra e si incammina verso un'estensione del muro di cinta, enorme, buio, che si squarcia improvvisamente in un portone per giganti.
Il cuore accelera e gli occhi si aprono quanto più possono, la sete è ormai un bisogno primario.
Mi precedi, quasi mi spingi dentro a quell'imbuto enorme ma reso stretto dalla calca. Tentenno, ho come paura di rompere quell'incantesimo di attesa che mi ha preso tutti i sensi unendoli in uno.
Ma la tua mano dietro la nuca spinge dolcemente e nel buio dell'imbuto la vista improvvisamente si apre. E lui è là, in fondo, così grande e così bianco da abbagliare lo sguardo, così solitario ed imponente, una visione che mi emoziona e mi commuove. Indiani, americani, giapponesi, europei, abbiamo tutti lo stupore in volto, le lacrime a lavare gli occhi sgranati e cala il silenzio perchè parla il Taj Mahal e la sua incredibile energia visiva. Il fiume che gli scorre dietro è un liquido amniotico perenne per chi passa l'imbuto e nascendo apre i polmoni per respirare. Io ho respirato e non lo dimenticherò mai.

Passaggio buoi nell'attesa


























sabato 9 giugno 2012

Agra e il Pushp Hotel

Agra, a dispetto di tutte le altre città, ci accoglie con dolcezza e quiete, forse perchè le strade principali, quelle trafficate, sono poche e il resto è un dedalo di piccole strade tranquille.
L'hotel che ci ospita, il Pushp Hotel, è particolare e la sua particolarità è stata dapprima una nostra deduzione e solo in seguito una certezza. Dopo una giornata passata a girovagare per il quartiere del Taj Mahal, quel giorno chiuso per la visita del primo ministro greco, abbiamo deciso di concederci una cena al ristorante dell'albergo.
I prezzi e il menu ci hanno convinti unitamente al fatto che, situato all'ultimo piano, avremmo goduto della spettacolare vista sulla città.
Entrando nella stanza di forma rotonda moquettata di rosso e con una dozzina di tavoli apparecchiati con cura, abbiamo notato uno strano dislivello tra il pavimento del corridoio e il pavimento del ristorante, ma siamo in India e non si deve badare troppo a ciò che può sembrare strano!
L'unico tavolo a disposizione era centrale e le mie spalle davano alla vetrata così che di fronte mi ritrovai ad osservare una boiserie di tutto rispetto ma pur sempre una parete di legno.
Aperitivo al tavolo, ammazza aperitivo, consultazione menu, scelta menu, scelta vino.
Si comincia finalmente a mangiare, il girovagare in India porta sempre un certo appetito e i profumi della cucina indiana non fanno altro che incoraggiarlo.
Nel corso delle nostre conversazione scende la sera e mi giro solo un attimo per vedere il tramonto alle mie spalle che, in Oriente, non sbaglia mai un colpo.
E' stato verso la fine della prima portata che alzando lo sguardo improvvisamente anzichè la boiserie in legno bella ma noiosa....mi appare la città!
Rimango un attimo indifferente con uno strano tarlo che mi pervade: eppure non abbiamo cambiato di posto ed io, qualche aperitivo fa, ero certa della boiserie di fronte a me! 
Sorpresa delle sorprese: qui, ad Agra, in India, tra polvere buoi che si trascinano stanchi per strada mendicanti santoni umiltà semplicità e assenza di internet.....stiamo mangiando in un ristorante girevole così che ogni commensale possa godere della vista togli fiato sulla città almeno un attimo durante la serata...
Siamo su una piattaforma silenziosa, priva di scossoni, dotata di un ritmo veloce ma lento il giusto da non farci girare la testa e da non far cadere i nostri bicchieri.
E tutto questo in semplicità, senza sovrapprezzi e senza martellanti pubblicità di richiamo per chi, come noi, nemmeno ne sapeva l'esistenza.
Che dire..l'India è anche questo, ti può sorprendere al di là della tua immaginazione.
Trascorriamo una notte dolce, in trepidante attesa di accedere, l'indomani, al Taj Mahal.

venerdì 8 giugno 2012

Viaggiando verso Agra

Il viaggio verso Agra in treno merita un post tutto suo.
Le campagne che scorrono placide davanti ai nostri occhi a tratti assomigliano alle nostre se non fosse per quella costante indimenticabile data dal colore seppiato che permea il tutto. Una coppia, moglie e marito, vanno lentamente all'alba a piedi nei campi e il colore del sari che indossa la donna è un puntino rosa svolazzante che ipnotizza lo sguardo. I villaggi polverosi che via via si susseguono sono inquinati da stridenti pubblicità della Vodafone che si fanno spazio tra le sterpaglie e le macerie con una violenza che forse solo noi occidentali possiamo cogliere. Chi ha messo i cartelloni perfetti e spietati, alla fine non può nulla contro le immagini dei bambini accucciati in cave di terra rossa...bambini di terracotta accucciati su ginocchia sottili che spalancano gli occhi neri al passaggio del treno, sorridendo felici se riescono a catturare il nostro sguardo inerme di fronte a questa visione.

domenica 3 giugno 2012

Hawa Mahal il Palazzo dei Venti - Jaipur

...a proposito di luoghi magici...il Palazzo dei Venti è più di un palazzo antico da visitare, è vivo, respira ad ogni passo che fai addentrandoti nelle stanze piene di finestre dalle quali il mondo fuori non entra ma dalle quali, nascosti, si può osservare la vita frenetica che scorre.
Anche il caldo opprimente di questa giornata rimane fuori impaurito dal labirinto che respira e a volte geme.
Forse sono i gemiti e le risate delle donne che vi abitavano, segregate in questa gabbia rosa di arenaria, il cui unico contatto con la vita era attraverso le finestre a nido d'ape che ricoprono il palazzo.
Rimaniamo parecchie ore ad osservare accucciati dietro alle finestre la strada così viva e ricca di persone.
C'è il venditore di incensi, trasportati a mazzi su un bastone come fosse un ombrello, ci sono due turiste giapponesi con la visiera bianca in testa per ripararsi dal sole, ci sono le donne indiane nei loro sari colorati che sostano con pargoli e mercanzia sul marciapiede, i bimbi giocano tra loro e di tanto in tanto vengono sottoposti ad un accurato controllo pidocchi, passa un elefante tra i risciò e gli autobus colorati, passa un cammello che si imbizzarrisce nel traffico caotico, donne sui sellini dei motorini con il volto coperto aggrappati ai mariti sembrano farfalle nel vento.
Basta allontanarsi dalla finestra e sentire di nuovo il respiro del palazzo e dimenticare il circo fuori.
Merita davvero una sosta questo luogo poichè per capirlo fino in fondo, andare al di là della bellezza architettonica e dello stupore che suscita il suo bianco ingresso perfetto, occorre tempo e pazienza.
Superati i cortili dove ancora pulsano le macchie di betel sui muri, ci si deve addentrare nelle viscere, dove pulsa ancora la vita che è stata e soffermarsi a lungo per goderne lo speciale mistero.
Lasciare alle spalle il Palazzo dei Venti è impossibile senza avere prima lasciato una traccia di sè.
Un foglietto stracciato dalla Moleskine con poche parole di bene augurio per le persone amate, affidate al luogo senza tempo, affidate al Palazzo che respira.


India_Jaipur

Jaipur la ricorderemo per questo albergo che ci fa sentire a casa, e quando scrivo casa intendo la casa del cuore e non la casa di residenza. Casa è dove appendi il tuo cappello dietro alla porta.
La città è brulicante di colori e di rumori. Il nostro alloggio è colorato, con stanze fresche dipinte di bianco e finestre che al posto dei normali vetri hanno tanti vetrini colorati saldati tra loro, così che quando il sole scende e le trapassa diffondono una luce mistica e ipnotica.
Pradeep è il nostro uomo di fiducia. Ci mostra orgoglioso l'albergo che deve ancora essere terminato e passando silenziosi di stanza in stanza, tra mattoni appoggiati su pavimenti grezzi, nel salone che si apre alla nostra sinistra un uomo con uno strano copricapo sta dipingendo il muro. Il disegno è enorme, occupa tutta la parete principale e lui sta terminando i ricami alla fine della scena sacra.
L'atmosfera di familiarità che regna tra queste mura è rara e preziosa.
La notte la trascorriamo affascinati sul terrazzo dal quale si vede tutta la città con le sue luci e la sua foschia che mai l'abbandona. Ovattati nella luce delle candele le nostre parole si sciolgono fluide e vorremmo fermare per sempre il tempo.
Jaipur è magica.
Ma forse lo si può dire di tutta l'India.
Il giorno successivo cerchiamo un buon posto per mangiare e il "cocchiere" che sul suo risciò ci scarrozza da quasi un'ora ci porta davanti ad un improbabile "Italian Pizza".
Diciamo no, assolutamente no. Torniamo indietro e sulla strada da una casa che sembra quasi diroccata, notiamo dalle finestre un viavai di persone con piatti e bicchieri.
Se capitate a Jaipur fatevi portare qui: KHANDELWAL PAVITRA BHOJANALAY.
Chi vi porterà probabilmente si metterà a ridere oppure farà finta di non aver capito perchè non è un ristorante per turisti ma un ristorante per indiani. Ma qui mangerete il miglior pasto indiano in assoluto.
Non badate all'aspetto nè alla forma. Un enorme indiano con turbante e baffi imponenti vi guarderà con sospetto e vi farà accomodare dove c'è posto.
L'ambiente è spartano, con tavoli di laminato e gambe di metallo arrugginito. Le sedie di plastica rosse sono l'unica nota di colore insieme ai sari delle donne che pranzano con la famiglia. Non esiste menu quindi quando ordinate fidatevi dello sguardo dell'indiano col turbante. Sembra farci qualche cenno nominando le pietanze, come a suggerirci il meglio della cucina. I piatti in alluminio arrivano colmi di profumo e colore. Paneer Butter Masala, Shahi Pulau, Chapati. Mangiando queste pietanza è come mangiare l'India.
Forse è proprio così, viaggiare in India è nutrirsi di India per farsela entrare addosso e farla rimanere lì, per sempre.

Stanza 304
Casa a Jaipur
La luce entra dalla finestra nell'ora vicina al tramonto. 

India...il Viaggio_arrivare

Dire India è dire tutto quello che l'India rappresenta perchè non esiste un aggettivo per descriverla.
Prima di partire, leggendo qua e là, ho trovato una definizione che ho riscoperto poi assolutamente vera: non puoi rimanere indifferente all'India, o la ami o la odi e se la ami ti entra dentro per non lasciarti mai più.
Io l'ho amata da subito.
Abbiamo lasciato il sole alle spalle il 7 gennaio del 2008, correndo verso il buio, l'ignoto o forse per raggiungere davvero il sogno che ci portiamo dentro.
Siamo usciti dall'aereo come se fossimo stati per tutte quelle ore in una macchina del tempo e il cielo seppiato di New Delhi ci ha abbracciato con tutti i suoi odori e profumi e voci e strombazzare di clacson. Eravamo in India e lei, l'India, si era già impossessata della nostra anima avvolgendola con forza.
Abbiamo trascorso pochi giorni nella capitale ma sono stati necessari per farci abbandonare ogni aspettativa, ogni preconcetto e farci aprire senza giudizio ma solo con grande accettazione a quello che l'India ci stava regalando, nel bene e nel male.
La scelta migliore che possiate fare per intraprendere questo intenso viaggio è salire su un treno.
Il treno in India è qualcosa di speciale e magico.
Arrivare nel cuore della notte alla stazione di Old Delhi è stato come attraversare di nuovo il tempo all'indietro. Tutto era ovattato da una sottile ma palpabile aria seppiata che sbiadiva i colori e le facce. Solo grandi occhi neri che bucavano l'aria e ci attraversavano dentro quando ci fissavano.
Corpi disseminati come sacchi inermi sotto ad ogni riparo possibile ci ha fatto sentire quasi in colpa per disturbare il sonno profondo in cui giacevano. E i nostri colori artefatti e puliti erano un estemporaneo improbabile dettaglio in una grande e sciupata foto.
Abbiamo preso posto sul treno dopo pochi minuti; i nostri nomi scritti in carattere occidentale, così che noi potessimo distinguerli, e stampati sul foglio di carta appeso al vagone ci ha fatti sentire grati di una così semplice ed efficace organizzazione. 
Qui scoprirete che dietro a cose apparentemente banali si nascondono piccoli gesti gentili che non dimenticherete mai.
L'India attraverso il finestrino di un treno senza fretta, nel cuore della notte, è il Viaggio.
Ci siamo seduti emozionati e abbiamo pazientemente atteso.
Fantasmi di alberi e povere case, involucri rigonfi che nascondono facce, mani, gambe, occhi, denti e spazi dove c'erano denti. La notte abitata da misteriose creature era là fuori e ne potevamo sentire il respiro.
Sui treni indiani quando meno ve lo aspettate arriva un simpatico ragazzo o un distinto signore con un secchiello di alluminio e cocci di terracotta. Accettate con piacere il chai che vi offrono, un the al latte profumato di cannella che vi cullerà l'anima. 
Rispondete ai sorrisi che vi faranno perchè vi stanno donando l'unica cosa preziosa che possiedono: un semplice e sincero sorriso.
E quando vi chiederanno cosa ricordate maggiormente dell'India aspettandosi di sentirvi rispondere miseria e povertà, sorprendeteli dicendo la verità: i sorrisi.
Perchè qui in India quando vi sorridono, lo fanno per davvero.




INTRODUZIONE

Benvenuti viaggiatori!
Piccoli Passi apre oggi ma nasce molto tempo addietro, quando durante il mio primo vero importante Viaggio ho cominciato a riempire le pagine della fedele Moleskine per segnare per sempre emozioni, immagini, pensieri.
E così è stato per i successivi, pagine fitte di descrizioni, annotazioni importanti, riferimenti utili.
Viaggiare è un po' come scrivere...sai quando parti e non sai cosa ti troverai di fronte, cosa vedrai, cosa proverai...a volte non sai nemmeno dove andrai!
Zaino in spalla, si parte.............seguiteci se vi va, seguiteci se state programmando un viaggio, leggeteci se volete sognare un po' ....