giovedì 27 dicembre 2012

Galle Fort

E' la sera del 29 gennaio del 2012.
Di fronte a me, oltre il vasto prato dove i bambini si rincorrono e alcuni ragazzi improvvisano una partita a cricket, oltre la stradina bianca in riva al bastione dove le coppie passeggiano e nugoli di militari corrono, ancora più oltre,  passate le imponenti mura del bastione, mi cattura l'Oceano a perdita di sguardo.
Il sole sta per sparire, pochi secondi e tutte queste persone perderanno i loro tratti per diventare ombre in movimento.
Galle è una città a Sud Ovest dello Sri Lanka ben fornita e molto commerciale ma soprattutto Galle è Galle Fort, la città vecchia, un bizzarro esagono fortificato circondato sui cinque lati dal mare e separato dalla moderna Galle da un importante stadio di cricket e dalla stazione di autobus più affollata che abbiamo mai visto.
Noi alloggiamo all'interno di queste mura storiche, assorbendone il fascino e godendo la tranquillità che preservano nonostante il consistente flusso turistico.
Costruita e fortificata dai portoghesi divenne il principale porto dello Sri Lanka fino a che gli inglesi non presero il sopravvento spostando tutto il traffico su Colombo, ma nulla ha a che vedere con l'attuale capitale nè in termini di bellezza nè in termini di fascino.
Furono proprio le fortificazioni portoghesi a salvare molte vite dallo tsunami del 2004.
Tralasciando la parte moderna che risulta utilissima in caso di rifornimenti vari (dalle pile ai medicinali) ma che non presenta nulla di speciale, Galle Fort è un piccolo gioiello con una magia e una storia particolari che si respirano in ogni angolo.
Accanto a palazzotti del 1800 sorgono chiese del 1600, templi moderni e perfino una moschea.
Senza alcuna prenotazione, abbiamo fermato il tuk tuk davanti ad un bed and breakfast che ci attirava per la posizione tranquilla e come sempre il nostro istinto non ci ha tradito.
Il Sea Green è sviluppato su tre piani di cui l'ultimo direttamente su un terrazzo stretto e lungo dal quale io mi faccio catturare ogni sera dall'Oceano di fronte.
La nostra stanza è proprio sul roof quindi ci è sufficiente aprire la porta e trovarsi padroni del panorama.
Alla nostra destra, direttamente sui bastioni, c'è la caserma militare così che ogni giorno possiamo assistere al presentat arm e a estenuanti marce sotto al sole; alla nostra sinistra c'è la scuola, un alveare di piccole api con le trecce o il berrettino che cantano appena arrivate in classe, pregano e poi fanno ginnastica nello spiazzo enorme di fronte.
Appena sotto alla caserma, al di fuori della cinta muraria, direttamente sul mare, c'è la tomba di un santo musulmano la cui storia rimarrà un mistero.
Dalla strada circolare che corre adiacente alle mura si diramano piccole strade dove sorgono bed and breakfast, ristorantini, bettole, sale da tea, abitazioni per lo più di stranieri, scuole e due università.
Ce n'è veramente per tutti i gusti e per tutte le tasche e si può passare dal lusso sfrenato del Galle Fort Hotel con i suoi camerieri in livrea bianca molto english alla guest house con poche stanze spartane e bagni in comune.
Non in tutti i locali è possibile trovare alcolici, in realtà si contano sulle dita di una mano ma la gente del posto vi indicherà senza problemi dove trovare quello che state cercando.
Abbiamo cenato nella mecca del curry, un posto rinomato per l'abbondanza dei suoi piatti uniti ad una eccellente qualità e a prezzi veramente ridicoli.
Il Mama's Galle Fort è ubicato su una deliziosa terrazza dove mangiare sotto ad un cielo stellato in compagnia di qualche geco curioso e all'intermittenza romantica del faro a poca distanza.
Il ristorantino accanto al nostro bed and breakfast non è stato da meno. Si mangia in terrazza di fronte ai bastioni e la birra viene servita dentro alle tazze in ceramica con coperchio in ferro sbalzato.
I corvi qui sono più numerosi degli abitanti e sull'albero di fronte alla nostra terrazza li osservo, rannicchiati , dormire fino alle prime luci dell'alba, fino a quando con un balzo si stirano e si tuffano all'indietro nel vuoto per poi aprire le enormi ali e volare sui cornicioni delle torri.
Un pomeriggio una scimmia ha fatto la sua apparizione dal tetto della casa di fianco.
Ci ha osservati curiosa aspettando forse del cibo per poi scappare con lunghi e agili balzi infastidendo una coppia di scoiattoli.
Durante una delle nostre assolate passeggiate del mezzogiorno incontriamo colui che diventerà un appuntamento fisso: l' incantatore di serpenti con la sua minuscola scimmia.
Completamente privo di denti ci sorride scoperchiando uno dei due cestini davanti a lui e un enorme cobra dagli occhiali gonfia il cappuccio minaccioso.
Rispetto a tutti i serpenti che ho avuto modo di vedere in India e a Marrakesh, questo è veramente ben tenuto, senza residui di muta a penzolare dal corpo denutrito e con l'energia degna di un cobra.
L'incantatore suona il piffero e con l'altra mano sventola il coperchio del cesto per far ciondolare il cappuccio.
Facciamo foto e video e siamo gli unici avventori che gli chiedono, quasi pregandolo in verità, di poterlo toccare.
E a lui non pare vero! Scoperchia con soddisfazione l'altro cesto e appaiono dei babies ancora più energici.
La scimmietta nel frattempo, approfittando del momento di distrazione del suo padrone, sottrae dalla bisaccia un pacchetto di betel e se lo mette in bocca furtivamente.
Mi sale in braccio ed è irresistibile, quindi nonostante la mia diffidenza verso il genere, lascio che mi abbracci e giochi con le piccole dita con i miei impianti sottopelle che gli devono sembrare una cosa assai strana.
Insomma, è un po' come se ci scambiassimo un'esperienza: io ti tengo in braccio (cosa che non ho mai fatto) e tu tocchi le mie palline di teflon (cosa che sicuramente non avrai mai fatto).
Mi fissa con sguardo interrogativo e mi viene naturale parlarle. 
Acciambellato e totalmente innocuo accanto a noi un grosso pitone si gode il caldo della pietra.
Ma lo spettacolo sono loro, gli indemoniati.
L'incantatore ci racconta in un misto di inglese e singalese che provengono dall'India e che lui li accudisce amorevolmente per tenerli in salute. E ci crediamo, visti i risultati.
Tu sembri un bambino, ti avvicini sempre di più, agiti di fronte a loro il sacchetto con le bibite per vedere la reazione poi glielo richiedi un'ultima volta e lui ti fa cenno di accomodarti.
Non so più chi è l'incantatore, tu o lui.
Appoggi la mano sulla testa del più grande, con calma e freddezza, abbassandogliela piano.
Poi mi guardi felice: vuoi toccarlo?
Sì, cioè no, cioè sì. Con la mia mano nella tua mano insieme appoggiamo le dita su questa testa dura, sorretta da muscoli forti e in tensione ed io avverto una scarica di sorpresa, paura, gioia e sento tutta questa forza animale che mi attraversa senza nuocermi.
L'incantatore scatta una foto che coglie in pieno il mio sguardo stupito e insieme grato.
Grato a te, che mi hai fatto provare anche questo, in sicurezza, e mi ha fatto tornare una bambina curiosa e pronta a stupirsi ancora delle cose.
Gli lasciamo una lauta mancia e torneremo a salutarlo di nuovo nei giorni a venire.
Passeggiando sui bastioni a strapiombo sul mare notiamo una scala nella pietra che porta ad una piccola insenatura. Scendiamo cauti, gli scalini sono consumati dal tempo e dalla salsedine.
L'acqua è cristallina e dei piccoli di murena ci scivolano veloci tra le caviglie.
Serpenti marini! - ti urlo in preda all'entusiasmo. 
Alcuni ragazzi singalesi arrivano ridendo e parlando forte, si spogliano e si tuffano in acqua.
Dopo qualche istante ci chiamano divertiti e ci invitano a fare il bagno con loro nella caletta dopo, dove da una roccia isolata ci si può tuffare.
I turisti dall'alto ci invidiano e si fermano a guardarci mentre sguazziamo nell'acqua cercando di non scivolare sui sassi ricoperti di alghe.
Durante la giornata troviamo sempre il tempo di fare un salto a Galle città, è giusto un quarto d'ora di camminata. Le nostre mete preferite sono il supermercato Cargillis dove fare rifornimento di succhi e acqua, sapone e biscotti. 
Non troverò più i miei biscotti preferiti, una specie di fetta biscottata tonda e spessa, poco dolce e quasi rafferma, ma rimedio con prodotti del forno locale.
Poi c'è la cartoleria dove vendono le buste marroni che ricordo forse di aver visto per l'ultima volta negli anni 70 e che hanno un fascino assolutamente retrò.
Nel negozio di elettronica troviamo le pile per le torce e per la nostra attrezzatura fotografica a un terzo del prezzo europeo.
Torniamo e entrando dal voltone in pietra di Galle Fort incontriamo un signore che ci avvicina chiedendoci se siamo italiani.
Pensiamo subito al solito approccio per rifilarci qualcosa, dopotutto siamo in città e la città riserva spesso incontri di questo tipo.
Ma lui è diverso, si sforza di esprimersi un poco in italiano e ci dice che anche lui è in vacanza, dalla famiglia, perchè lavora ad Aosta in un albergo e orgoglioso ci mostra la carta di identità italiana.
Scambiamo ancora qualche chiacchiera, lui ama la sua terra ma è grato all'Italia dove lavorando può contribuire a mantenere tutta la sua famiglia che una volta all'anno per 15 giorni riesce a riabbracciare.
Si congeda da solo, dopo poco, scusandosi dell'intromissione e ringraziandoci per aver parlato con lui in italiano. Ci ha augurato buona permanenza e lo ha fatto con sincerità.
Il sole sta piano piano scendendo e i corvi si avvicinano alle case per individuare la sistemazione per la notte.
I soldati stanno rientrando di corsa dopo i quotidiani esercizi sui bastioni.
Alcuni signori anziani si attardano sulle panchine osservando le bizzarrie di noi turisti e ridono di tanto in tanto per i buffi cappelli dei giapponesi e i sandali con le calze dei tedeschi.
Non dicono nulla per i nostri tatuaggi ma muoiono dalla voglia di vederli da vicino.
Dopo tre notti al Sea Green dove avremmo voluto rimanere se ci fosse stata una stanza libera, ci spostiamo al Fort Dew Guesthouse, qualche metro più in là.
Un poco più affollato e caldo, si rivela comunque una sistemazione buona.
La camera è angusta direttamente sulla balconata che da sulla strada, Rampart Street, ma il bagno è grande e luminoso. Si mangia e si fa colazione sul terrazzo, ben attrezzato e ventilato.
Ed è su quel terrazzo che una sera il tempo si è fermato per un attimo regalandomi una autentica visione.
Ero indecisa se raccontarla oppure no, spesso le visioni sono come le bolle di sapone, basta soffiare troppo forte e invece di perdersi nel cielo integre, esplodono davanti agli occhi con somma delusione.
L'occhio di chi narra ha visto la magia ma la voce di chi ha visto può non essere in grado di trasmetterla nella sua bellezza.
Cedo alla tentazione ma solo per egoismo perchè quando rileggerò queste pagine accarezzerò di nuovo quell'immagine.
Dopo una certa ora, la sera, quando tutti sono usciti dai ristoranti, hanno terminato le passeggiate e si ritirano nei rispettivi alloggi, cala un silenzio quasi innaturale.
I corvi dormono appollaiati sui rami confondendosi tra le foglie, le cicale riposano nella brezza che arriva decisa dall'Oceano e i cani sono sagome tonde nella polvere dei prati.
Le luci dei lampioni piano piano si rincorrono spegnendosi e nella caserma si accende una curiosa luce rossa cupa che si fonde con l'oscurità. 
Noi rimaniamo in silenzio sulla terrazza, alla luce di una candela che va esaurendosi.
La musica è stata abbassata e anche dalla cucina le stoviglie tacciono.
In questo silenzio e in questa oscurità arrivano in lontananza un cigolio e un tintinnio cadenzati ma ovattati che nell'avvicinarsi aumentano lievemente di intensità.
Per un attimo mi vengono in mente i monatti nei Promessi Sposi che con il loro carretto si trascinano per le strade alla ricerca di morti appestati da portare via.
Rimaniamo in silenzio, quasi senza respirare e aspettiamo immobili; un brivido mi attraversa la schiena.
Dopo qualche istante appare sulla strada una luce gialla che barcolla e si avvicina insieme al tintinnio.
E' come se avanzasse danzando, sospesa nel buio, una sorta di  fuoco fatuo.
Finalmente è sotto alla terrazza e giù, nella strada, emerso dall'oscurità, finalmente lo vedo.
E' difficile dargli un'età, potrebbe averne 40 ma dimostrarne 60.
Cammina lentamente e spinge un carretto di legno dalle grandi ruote arrugginite che sorreggono un ripiano quadrato a sua volta sormontato da una tettoia aperta sui lati.
Sul ripiano è appoggiata una grande ciotola brunita ormai vuota e alla tettoia penzola, barcollando, una lanterna a olio con una fiamma gialla e calda che la brezza marina ogni tanto smorza senza mai spegnerla.
Cammina da solo, nel buio, senza parlare o cantare, cigolando ad ogni giro completo di ruota e facendosi varco in quell'oscurità con una fiammella.
Arriva una zaffata di spezie che si allontana con lui.
Dopo pochi passi il buio l'ha di nuovo inghiottito, mangiandosi lui, poi la fiammella che ha continuato da sola a danzare e per ultimo il cigolio.
Lo abbiamo visto veramente, così come abbiamo visto la capra aspettare l'autobus, Zio Tobia tornare dall'inferno e palletta gialla salutarci alla nostra partenza.
Abbiamo visto le lacrime di Sunetra, il sorriso sincero di Mr Luxman il burbero, il guardiano del giardino con il machete, il pavone sulla spiaggia e l'anima in fondo ai nostri occhi.
Perchè forse è solo qui che si vede per davvero.








mercoledì 26 dicembre 2012

Risalire è un po' come morire

Non ce lo diciamo mai direttamente ma prendiamo decisioni che ci stanno riportando lentamente verso Colombo, facendo finta di nulla, per non incontrarci con lo sguardo smarrito di chi non ha alcuna intenzione di tornare.
Come in ogni finale di viaggio, ho la sensazione di avvertire l'autunno che arriva e non importa se ci sono 35 gradi, il caldo a volte è insopportabile e le cicale friniscono ininterrottamente.
E' una fine, un passaggio, stiamo per prepararci al rientro con il freno a mano tirato al massimo, rallentiamo i passi, rallentiamo i gesti, dilatiamo il tempo, o almeno così speriamo.
Ci fermiamo di nuovo all'Ocean Dream ad Anghama, non tanto per desiderio quanto per comodità di collegamento. E trovarsi da dove siamo partiti fa un certo effetto.
Rimaniamo tre giorni, riempiendo le giornate con scatti al tramonto ai pescatori mentre attendono l'alta marea per affrontare il mare, scatti alla spiaggia dei nostri amici prima che il sogno sia realizzato, nuotate in piscina perchè qui il mare è impetuoso, passeggiate lungo la strada perdendoci in strade laterali poco battute, pensieri chiacchiere e riflessioni.
I pescatori seguono un rituale ogni sera, probabilmente tramandato da chissà quanto tempo.
Quando il sole è ancora sopra la linea dell'orizzonte, cominciano ad arrivare nella piccola insenatura adiacente alla strada principale.
Uno sgangherato capanno in legno tra gli alberi nasconde la strada stretta e ripida che porta alla baia.
Ogni piccolo equipaggio è costituito da 3, massimo 4 persone. E almeno una di queste è un anziano.
Lavano il motore, controllano le reti e l'attrezzatura, scambiano due parole, mangiano frutta che ci offrono mentre spiamo discreti le loro manovre. Non ci parliamo che con lo sguardo e i sorrisi.
Lavorano alacremente ma in tranquillità, gesti decisi ma naturali che potrebbero svolgere a occhi chiusi.
Hanno le mani  belle segnate dal mare e i volti che paiono cartine geografiche con rughe profonde.
Scatta l'ora x, il sole si è abbassato e il mare cambia, diventa più blu, quasi nero ma meno violento.
Le barche partono una alla volta, devono essere guidate da un marinaio in acqua che pericolosamente guida la chiglia oltre le onde, la posiziona nel corridoio perfetto per prendere il largo.
Richiede fatica e coraggio, basta un'indecisione e si può venire colpiti da un'onda e sbattere violentemente contro la barca.
Ma questi uomini sanno il fatto loro, una dopo l'altra le barche lasciano la riva e spariscono all'orizzonte, verso il sole che si abbassa sempre più velocemente e noi rimaniamo soli a disturbare il riposo di colonie di perioftalmi e granchi che si trastullano sugli scogli.
E' un'immagine che dona pace nonostante il mio pensiero vada a quegli uomini che rischiano ogni volta la vita per sopravvivere.
Rientreranno all'alba, con le barche stanche come le loro braccia, quando noi riposiamo nel nostro letto.
Immagino una piccola lanterna a illuminare la via e nella luce che piano arriva li vedo, intenti a sistemare i pesci nelle casse, pronti per essere portati al mercato ed essere venduti.
Sistemeranno le barche a riva, accucciati attorno al fuoco berranno un caffè caldo e spariranno fino al tardo pomeriggio, per ricominciare tutto di nuovo.
Il profumo dell'autunno si fa più intenso ed è in quella sua particolare malinconia che amo perdermi, lasciando ogni volta un pezzo di cuore in immagini che cerco di fermare dentro di me per ritrovarle quando saremo così lontani da questa pace.


lunedì 17 dicembre 2012

Ritorno a Marakollya Beach

Il tuk tuk procede sobbalzando sulla strada sterrata, un varano ci attraversa lesto il cammino e tra i rami i cinguettii striduli ci danno il bentornato.
Superiamo la distesa paludosa dove i cormorani stanno appollaiati su rami secchi e contorti e subito dopo la curva incontriamo Mr Laxsman. Il tuk tuk rallenta e lui ci riconosce subito, sorridendo ci stringe le mani "my friends, how are you" e la maschera rigorosa e altezzosa cade lasciando trasparire una sorpresa sincera nel rivederci.
Gli chiediamo se ha una cabana disponibile per qualche notte e lui ci fa cenno di precederlo.
Mentre ci allontaniamo mi volto per osservare il suo passo lento e pacato, lo sguardo che si perde tra i rami e la strada, penso che si sta recando al lavoro e vuole godersi ancora qualche attimo di libertà nel silenzio della natura.
Congediamo il nostro autista e appoggiamo gli zaini sotto alla grande tettoia di legno riassaporando ancora una volta ma come se fosse sempre la prima, il bagliore abbacinante della luce riflessa sulla spiaggia e il blu del mare. Ci sentiamo a casa, ci sentiamo un po' proprietari di questo angolo di paradiso e attendiamo con ansia Mr Laxsman.
C'è una cabana libera per tre notti e la prendiamo al volo. Felici.
Nulla se non questo posto mi ha dato il senso di vertigine delle incredibili distanze e il piacevole senso di isolamento che ne consegue.
Rumesh è un giovane singalese spigliato e entusiasta della vita.
Lavora tutto il giorno, alla mattina riassetta la spiaggia, aiuta in cucina e si presta in piccole commissioni.
Alla sera accende le torce, brucia gli incensi votivi, gioca con i bambini di una coppia tedesca e quando Mr Laxsman si ritira arriva sorridente con gli occhi di brace con un bicchiere colmo di Arrack, il rum dello Sri Lanka, che ci porge senza volere in cambio nulla, se non due chiacchiere con noi.
Ci racconta che ha fratelli e cugini che vivono a Milano dove lavorano in rosticcerie e ristoranti ma che lui desidera rimanere qui, nella sua terra. Abita poco distante, verso l'interno, e torna a casa una volta al mese quando ha il riposo dal Mangrove.
Ci rivela che Mr Laxsman è un capo rigido e diligente ma comunque un buon capo, lo prende un po' in giro per la sua ossessione alla precisione negli orari e nella sistemazione delle cose.
La sua presenza è gioiosa e discreta, basta fargli un cenno che si precipita volando sulla sabbia ma sa capire quando desideriamo privacy e solitudine.
Una sera, finita la cena, sentiamo un cane guaire e il suo guaito insistente si trasforma in un attimo in un pianto disperato. Due aiutanti di Mr Laxsman corrono verso l'ingresso del Mangrove agitando le mani e urlando, nel buio riesco solo a vedere una palletta gialla correre forte verso la foresta.
Seduti sotto al nostro porticato riattacca il guaito e subito dopo il pianto. Tu mi guardi, io aspetto solo un tuo sguardo, che arriva. Mi alzo di corsa con la torcia in mano e mi precipito verso il buio cercando non so bene cosa, comunque una palletta gialla. Ed eccola lì, sotto ad un motorino, mimetizzata nella sabbia.
E' il cane più miniaturizzato che abbia mai visto da che sono qui. E' un microbo giallo con le fattezze di un cane adulto e con una voce così stridula e insistente che gli ha sicuramente valso la sopravvivenza fino a oggi.
Mi siedo sulle ginocchia, abbassandomi il più possibile e parlandogli dolcemente lo faccio avvicinare.
Scodinzola forte, annusa le mie mani e decide che può fidarsi.
Ti vedo da lontano, sotto la luce del portico, che stai già ridendo guardandomi mentre torcia in una mano, cane nell'altra, arrivo con un sorriso che va da orecchio a orecchio.
Piange perchè è affamato e gli diamo l'unica cosa che abbiamo a disposizione: il latte in polvere.
Arriva anche Rumesh ridendo e tutti insieme lo guardiamo divertiti mentre divora tutta quella polvere di latte che gli imbianca il tartufo e le orecchie. Lo teniamo a dormire con noi, è troppo piccolo e affamato, qualcuno meno gentile potrebbe fargli del male per farlo smettere di guaire.
Ci mettiamo a letto e lo mettiamo sul tappetino ai nostri piedi, lasciandogli la porta aperta in caso volesse uscire. Dopo qualche ora lo sento zampettare fuori e ad un certo punto mi arriva il suo pianto disperato in lontananza. Mentalmente scuoto la testa, non è possibile addomesticare uno spirito libero. Noi gli abbiamo solo tolto un po' di fame. 
I giorni passano intensi, vorremmo fermarci oltre ma Mr Laxsman ci dice dispiaciuto che è tutto prenotato.
E' giunto il momento di spostarci di nuovo e salutiamo nel mattino acerbo questo angolo di paradiso, Mr Laxsman e Rumesh.
Sul tuk tuk rimaniamo in silenzio, come spesso accade quando dobbiamo terminare di assorbire anche un'ultima goccia di un posto che stiamo lasciando.
Una nuvoletta di polvere davanti a noi fa rallentare il tuk tuk.
Il piccolo cane ci sta puntando, è uscito dai cespugli e viene correndo verso di noi, ci guarda scodinzolando.
Lo salutiamo con gli occhi lucidi e ci chiediamo increduli se davvero ci abbia riconosciuto o è stato un caso. 
Ancora oggi voglio pensare che quando mi sono voltata a guardarlo fermo, in mezzo alla strada, seduto come un cane adulto, osservandoci mentre ce ne stavamo andando, lui ci abbia riconosciuto.

domenica 16 dicembre 2012

La morte e la resurrezione di Zio Tibia

Bundala Junction non è un paese, nè tantomeno un villaggio, è semplicemente un incrocio in corrispondenza dell'ingresso con il Bundala Park.
Tutt'intorno solo alberi, palmeti, cespugli, pozze d'acqua, uno scalcinato market che trasuda betel, la strada principale e il Lagoon Inn dove alloggiamo.
Una mattina notiamo un cane giallo sul ciglio della strada. E' morto, ha il sangue rappreso sul collo e sull'asfalto, probabilmente è stato investito dalla corsa folle di uno di quegli autobus che passano a velocità sostenuta. La testa è innaturalmente riversa e le zampe sono abbandonate scomposte.
I corvi se lo mangeranno nei prossimi giorni, addio piccolo sfortunato cane.
Arriva finalmente il nostro autobus per Hambantota dove dedicheremo una mattina alla perlustrazione di negozi, mini market e il mercato sul mare.
Al nostro rientro passiamo di nuovo davanti al piccolo cadavere ma un impercettibile movimento colpisce la nostra attenzione. Il poverino respira ancora, si lamenta, fa pipì, agonizza.
Un poco turbati ci chiediamo se abbiamo modo di aiutarlo a morire e di terminare così la sua sofferenza.
Il suo respiro è il rantolo di chi ormai desidera solo volare via.
Kamal è di ritorno dallo scalcinato market, ci raggiunge e lo vede.
Sparisce di nuovo nel market e torna con un pezzo di pane che gli spezza davanti al muso.
Non comprendiamo l'inutilità di quel gesto così sussurriamo: he's gonna die...
Yes, ci risponde mesto.
Torniamo con lui al Lagoon Inn in silenzio, è l'ultima sera che trascorreremo qui e dobbiamo preparare gli zaini per il giorno dopo.
Prima del buio esco di nuovo per comprare un po' d'acqua e le sigarette.
Il cane ha cambiato posizione e il pane davanti a lui è sparito. Il respiro è più affannato e mi sento di nuovo impotente di fronte alla sua inutile agonia. Non passerà la notte, penso, e qualche altro cane deve avergli mangiato le briciole che Kamal aveva preparato per lui.
La sua visione è di nuovo un colpo al cuore.
E' il 23 di gennaio, ci svegliamo presto per partire. Kamal ci accompagnerà alla bus station con il suo tuk tuk dove prenderemo un autobus per tornare a Tangalle.
L'idea di percorrere il lato orientale dello Sri Lanka è abbandonata per due ragioni: condizioni metereologiche avverse (troveremo lo strascico di un monsone) e il poco tempo a disposizione (causa tsunami e guerra molte linee ferroviarie sono interrotte e non avremmo tempo di tornare a Colombo in tempo utile per rientrare in Italia).
La decisione che prendiamo a malincuore è stemperata dall'idea di ritemprarci di nuovo a Marakollya Beach e come sempre non sbaglieremo intuizione.
Salutiamo Sunetra ringraziandola e abbracciandola forte.
E' emozionata e commossa, tira su con il naso e ci guarda da sotto la veranda mentre partiamo.
Fermi sul tuk tuk sul ciglio della strada in attesa di far passare altri tuk tuk e un autobus, volgiamo lo sguardo senza parlarci al cane moribondo pochi metri più in là.
Ma questa volta è lui a guardare noi. 
Accucciato, la testa ben dritta sulle spalle, le zampe composte, le orecchie ritte e attente, un accenno di scodinzolìo.
E' lo stesso cane che avremmo voluto uccidere, è proprio lui, Zio Tibia, tornato dall'inferno, sopravvissuto a traumi e ore di sole cocente, nel crocevia del nulla
Lo Sri Lanka è anche questo.
Nulla di magico, nulla di satanico.
Zio Tibia ha avuto la possibilità di scegliere se lasciarsi andare su quell'asfalto impregnato della sua urina e del suo sangue o su quell'asfalto riprendere le forze accettando le briciole di pane e scodinzolare ancora alla vita.
Questa storia ci ha fatto molto riflettere, abbiamo quasi sentito il brivido gelido dei nostri pensieri di poche ore prima, quando abbiamo pensato di finire le sue sofferenze, decidendo per lui, decidendo di non voler accettare quell'agonia. Perchè ci faceva male.
Abbiamo visto con occhi diversi l'apparente indifferenza di Kamal, che non l'ha aiutato a morire ma nemmeno a vivere. Gli ha solo ricordato di avere a disposizione una scelta, buttandogli il pane.
Nel tempo che è seguito, nei mesi che sono trascorsi da quel giorno, sono state tante le occasioni in cui abbiamo ripensato a Zio Tibia e al fatto che anche quando tutto sembra perduto e deciso, esiste sempre una scelta che possiamo decidere di compiere.





lunedì 3 dicembre 2012

Sunetra e Kamal

Siamo gli unici ospiti al Lagoon Inn, fatta eccezione per una simpatica e discreta signora tedesca che alloggia in una stanza di fianco a noi da tanto tempo poichè sta seguendo i lavori di costruzione della sua casa.
E' un'insegnante che ha deciso di trasferirsi in Sri Lanka continuando ad esercitare per i bambini singalesi e  possiede un fascino particolare. E' rubiconda, di mezza età, con capelli biondo cenere portati corti e con le guance e le braccia arrossate ma non abbronzate.
Al mattino sparisce dopo una buona colazione sulla terrazza per rientrare nel pomeriggio e ritirarsi in camera per dormire. 
Alla nostra partenza le lasceremo sul tavolo della colazione un biglietto cortese di commiato augurandole buona fortuna nelle sua nuova vita. Non è facile ad una certa età rimettersi in discussione e cambiare completamente il proprio modo di vivere. E' questo che ci ha affascinato di lei.
Sunetra e Kamal meritano una parentesi perchè è grazie a loro che qui ci siamo sentiti a casa. Non come a casa, bensì a casa.
Sunetra sembra un'indigena d'altri tempi.
La sua risata divertita e bambina la fa splendere di una luce particolare.
Parla poco inglese ma con temerarietà ci avvicina buttandosi in conversazioni impegnative.
Ha i capelli ricci ondulati sempre raccolti, tranne di mattina presto, al risveglio, e spesso indossa un abito smanicato a fiori lungo fino al polpaccio. Non porta le ciabatte e il suo modo di appoggiare i piedi sulla terra rossa del cortile invoglia a gettare via le scarpe per sempre.
Il suo regno è qui, in ogni anfratto della tenuta.
Va molto orgogliosa dei suoi stupendi fiori rossi che ogni sera annaffia con cura.
La sua cucina all'aperto sormontata giusto da una tettoia riparatrice dalla pioggia e dalle foglie, ha una nicchia di pietra dove il fuoco viene acceso con la legna ogni mattina.
Un piano di pietra serve alla preparazione dei cibi e il tavolo di legno sul lato opposto ospita qualche usurata suppellettile e un attrezzo per macinare la polpa di cocco. Sunetra prepara dei fogli di pasta dolce a base di cocco ad ogni colazione, da farcire con marmellate e frutta.
Sotto al porticato ben ordinate ci sono due macchine da cucire Singer che lei utilizza per rammendare e confezionare quadretti in stoffa e borse di cotone dipinte a mano.
Quando partiamo vuole fare una foto con me e vedendola ride divertita.
Ma nella foto lei appare diversa, più vecchia e più triste.
Le foto a volte rubano davvero l'anima?
Si commuove salutandoci, ha la dolcezza e l'ingenuità di una mente semplice con pensieri grandi, come quello di donarci alla domenica pomeriggio due ciotole di una squisita zuppa al pollo che sua sorella ha portato per lei e Kamal. Ce le offre sulla terrazza, chiedendoci prima con timore se per caso ci offendiamo.
Una delle zuppe più squisite che abbiamo mai mangiato.
Kamal è discreto, affabile, composto e curioso della nostra tecnologia.
Alla sera aiuta la moglie nella preparazione della cena, stende una tovaglia color carta da zucchero sulla tavola sotto al porticato e con molta calma e precisione apparecchia e porta le pietanze.
Si prodiga con discrezione per farci stare al meglio e per fare buona impressione.
Quando è in casa indossa un pareo lungo fino alle caviglie e null'altro. Ma con molta classe ed eleganza.
Una mattina ci chiede se desideriamo visitare Hambantota e si offre con il suo tuk tuk per accompagnarci.
Al nostro accettare sparisce pochi minuti per riapparire vestito di tutto punto con pantaloncini e camicia stirati di fresco, impeccabili.
Se coinvolto partecipa volentieri a conversazioni interessanti, sulla vita nello Sri Lanka, sugli aspetti positivi e negativi di vivere qui e su come sta andando il mondo.
Vedete quel muro rattoppato? ci chiede una sera divertito.
Il muro di confine con la casa a fianco presenta uno squarcio tra i mattoni rossi rattoppato da un nuovo muro di mattoni grigi.
Ci racconta che qualche giorno prima alle quattro del mattino i suoi fidi cani hanno cominciato ad abbaiare furiosamente. Un elefante, sentendo il profumo dolce delle banane mature al di là del muro di cinta, si è introdotto nel loro cortile distruggendo una parte del muro per riuscire a raggiungere il cibo prelibato.
Ce lo ha raccontato divertito e alzando le spalle, come a dire che se vivi in una riserva devi aspettarti questo e altro.
Uno dei suoi cani, una femmina marrone con un orecchio dritto e uno penzolante, ci ha adottati.
Quando scendiamo e ci addentriamo a piedi nel retro della casa, camminando tra sterpaglie, pozze d'acqua e orme secche di elefante, ci accompagna scrupolosa. Se ci allontaniamo oltre la zona che lei reputa sicura comincia a guaire fissandoci per poi arrivare ad abbaiare come per richiamarci all'ordine.
Mi accompagna al mattino presto quando scendo a stendere il bucato, aspetta che abbia finito e mi scorta fin sul primo gradino della scala che conduce alla nostra camera, senza mai salire.
Casa.

sabato 1 dicembre 2012

Bundala Park

Il risveglio al Bundala Park è quanto di più dolce possa esistere.
Ci sentiamo ospiti degli animali e della loro riserva. L'alba arriva con più naturalezza rispetto ad altre zone in cui siamo stati e questo accresce la meraviglia che proviamo sulla terrazza, in silenzio, con la nostra immancabile tazza di caffè, ad osservare il volo di ibis e marabu che solcano il cielo regalandoci un senso di unione con la natura assoluto.
L'aria è ancora fresca e rarefatta, le nostre tazze fumano sotto al nostro naso e ai nostri occhi avidi di immagini e il nostro silenzio lascia spazio al risveglio che armonicamente emette un suono che abbiamo dimenticato, quello della vita.
Oggi è il giorno della visita nel parco, dove è possibile entrare solo con una jeep ben equipaggiata e una guida (il battitore) che ci accompagna nella vastità della riserva.
Kamal ha organizzato la nostra missione e non appena terminata la nostra superba colazione preparata da Sunetra, arriva la jeep.
Partiamo armati di tutto punto. Armati di macchine fotografiche, obiettivi, zoom, macro, taccuini e la nostra fanciullesca curiosità.
Al nostro arrivo si aprono gli immensi cancelli del parco, quasi simili a quelli di Jurassik Park e la cosa ci fa sorridere, in seguito proprio ridere, pensando che dormiamo dentro al parco senza bisogno di battitori, jeep e permessi speciali.
Appena entrati pensiamo alla stranezza di poter vedere gli animali così vicini e liberi nel loro ambiente, perdendone quasi la naturalezza, ma è una sensazione che sparisce quando il battitore, un giovane singalese che sa il fatto suo ma non del tutto, ci spiega che tutti gli animali che avremo la fortuna di vedere anche da distanze molto ravvicinate, non sono abituati al contatto umano come lo intendiamo noi e ci considerano veramente dei meri visitatori, ma solo se rimaniamo al nostro posto. Ovvero: non si tocca nulla, non si lancia cibo, non si parla ad alta voce, non si scende mai dalla jeep se non autorizzati e soprattutto non ci si dimentica che siamo ospiti. Non ci si deve mai dimenticare il Rispetto.
Mi è difficile riportare ciò che abbiamo visto e provato, il rischio di cadere nella banalità o di far nascere la noia è presente sempre in chi racconta a chi non ha vissuto in prima persona.
Mi soffermo a fermare istanti particolari, inusuali così che la bellezza totale che abbiamo vissuto rimanga al di là di un buco di serratura dal quale si da un'occhiata immaginando il resto. Così che il resto possa diventare magia, sogno, immaginazione, curiosità. Voglia di aprire la porta e vedere quella bellezza.
Le scimmie sono ovunque ma non è facile vederle. Il battitore fa fermare la jeep e ci indica un punto tra gli alberi e lì, tra le foglie, una scimmia seduta con le zampe accavallate fissa l'orizzonte con aria assorta.
Altre scimmie sulla pianta al ciglio della strada non scappano al nostro arrivo; sono grigio argento con il muso nero e grandi sopracciglia che incorniciano occhi indagatori. Ci osservano, a lungo, sbadigliando e sistemandosi quelle folte sopracciglia.
Per un attimo ho la sensazione che siano loro ad osservare noi, così diversi ma alla fine così inquietantemente uguali.
Un falco crestato non si fa intimidire poco dopo dal rumore del nostro mezzo.
Ha una preda tra gli artigli, un uccellino ancora caldo che dilania con voracità, senza perderci mai di vista.
L'elefante è apparso all'improvviso, con grande soddisfazione del battitore che ci spiega che è rarissimo vederlo, vedere proprio lui, l'elefante maschio solitario, con le sue enormi zanne integre.
Deve essere un personaggio particolare, un tipo poco raccomandabile.
Scopriamo che l'elefante gode, nonostante la sua mole, di una capacità di mimetismo incredibile.
Il giovane e solitario maschio se ne sta nascosto dietro ad un alberello, aspettandoci. Ma praticamente invisibile.
Fermiamo la jeep e lui esce venendoci incontro.
Sento crescere la paura e la meraviglia in uguali proporzioni. E' bellissimo e determinato.
Ci osserva strappando i rami dell'alberello, fingendo di mangiucchiare qua e là, in realtà è sospettoso e piuttosto adirato. Anche se ancora lo nasconde.
Comincia una curiosa manovra di avvicinamento, una specie di danza silenziosa e pacata.
Avanza verso di noi, indietreggia senza voltarsi ma allargando passo passo il suo raggio così che ad ogni avanzata segue un indietreggiamento con direzione laterale. In poche abili manovre dal fronte della jeep (cabinato e protetto) ce lo troviamo sul retro dove l'apertura del mezzo gli consente una perfetta visione di noi e dei nostri movimenti ma soprattutto la percezione della nostra assoluta violabilità.
Per un attimo penso o forse spero che la manovra di aggiramento sia volontà di allontanarsi indisturbato.
Errore.
Sparisce di nuovo dietro ad un misero alberello per poi riapparire con uno scatto deciso sradicandolo con violenza. Vuole intimorirci e volentieri caricarci. Con gentile fermezza dico al battitore che possiamo anche andare ma lui ridendo ci dice che è solo scena. La cosa non mi tranquillizza per niente, vista la mia ultima e unica esperienza con un suo simile.
Si riempie la proboscide di acqua da una pozza vicina per spruzzarci sfrontatamente.
Il battitore da ordine di rimettere in moto e lancia un "ohh" gutturale e duro all'elefante per spaventarlo.
Lui si nasconde dietro ad un altro alberello secco per sfondarlo con un colpo di zanne.Di nuovo un "ohh" e l'elefante si blocca ma senza mai indietreggiare. La jeep lentamente comincia a muoversi e l'elefante prende a seguirci con il suo passo pesante e minaccioso.
In quel momento avrei voluto spingere forte sull'acceleratore.
Ci allontaniamo tra "ohh" e piccole cariche ma finalmente siamo lontani e lo vediamo fermo in mezzo alla strada di terra battuta a controllare i nostri movimenti.
Ci addentriamo in sentieri più stretti tra paludi e distese aperte e di nuovo macchie di vegetazione fitta.
Coccodrilli, ibis, bufali, bisonti, kingfisher, varani, cerbiatti, marabu, parrocchetti, donnole e puzzole.
Un ruggito profondo ci fa tremare. Fermiamo la jeep e mi chiedo se è proprio necessario. Il ruggito si ripete ancora più vicino e scopriamo che non  è un ruggito ma un barrito.
Di nuovo elefanti, di nuovo mimetizzati a un passo da noi.
Escono un grande adulto con il piccolo affrontandoci con lo sguardo.
Poco dietro altri tre elefanti si muovono tra gli alberi e la madre con il piccolo ci butta la terra addosso con la zampa. Non siamo molto graditi e questa volta ripartiamo subito. Per fortuna.
La strada prosegue fino ad arrivare ad alcune alture da dove arriva forte il profumo del mare e infatti varcata la collina ci troviamo in un piccolo spiazzo a strapiombo sugli scogli.
La visione è mozzafiato.
Scendiamo e il battitore ci fa segno di guardare laggiù, tra i flutti e la schiuma ed è là che le vediamo: le tartarughe marine. Sfidando onde burrascose emergono di tanto in tanto con la testa per poi rituffarsi nel blu.
Il vento forte copre le nostre parole, che sono poche in verità di fronte a tanta intensità.
Un cane mi si avvicina scodinzolando, vuole fare amicizia sperando che io abbia qualche boccone da dargli in cambio.Ma ho solo carezze che lui prende senza troppi problemi.
Risaliamo a bordo e ci allontaniamo con il sole che da lì a poco sarebbe tramontato alle nostre spalle e con gli occhi pieni di vita.