venerdì 31 maggio 2013

(tante) immagini e (poche) parole

 perdersi tra terra e mare con la sabbia soffice sotto ai piedi..



aprire una papaya a colazione e chiedersi come hai potuto fare senza fino a oggi



andare al porto di mattina presto, scegliersi un tonno e portarselo a casa.....


....non prima di esserselo fatto pulire da mani esperte

il fascino di un lago al tramonto


ristorarsi con ginger beer e anice stellato (che qualcuno ha preparato per te)

amicizie notturne

dove comincia la foresta

amorevoli cure, indimenticabili cene

yoga for dummies:)


emozioni di una sera che lasciano il segno per una intera vita











mercoledì 29 maggio 2013

La grande luna

E' il 24 di maggio e da ieri sera una grande immensa luna rischiara le notti che qui sono così buie e intense.
Ogni mese in Sri Lanka si festeggia il giorno della luna piena ma maggio è un mese particolare poichè la poya (il full moon party) coincide con la nascita, l'illuminazione e la resurrezione di Buddha.
La settimana si è aperta con un crescente clima di festa e febbrili preparativi per celebrare una delle giornate più importanti dell'anno dopo quella del capodanno ad aprile.
Appaiono le prime lanterne di carta dalle forme e dalle dimensioni più disparate, sorgono come dal nulla piccoli improvvisati negozietti sulla strada che vendono immagini sacre, decorazioni colorate, maschere, candele.
I supermercati sono affollati per gli ultimi acquisti di riso, verdure e bibite.
A partire dal 23 di maggio vengono allestiti gazebo più o meno articolati chiusi sui quattro lati eccetto per un pertugio di ingresso dove le persone pazientemente aspettando il proprio turno, potranno entrare e accomodarsi sulle panche di legno e consumare in armonia con i vicini e i parenti un piatto a base di riso e altre leccornie offerto gratuitamente.
Ognuno si ingegna come può, ci sono i gazebo delle bibite, quelli del gelato e dei biscotti e naturalmente quelli dell'immancabile rice and curry.
Le strade ad una certa ora diventano piste trafficate di carovane di tuk tuk e motorini, bambini e ragazzi con bandiere costruite al momento fermano i passanti invitandoli, pregandoli quasi, a sostare nel proprio gazebo e consumare insieme qualcosa.
Altoparlanti sparsi qua e là mandano 48 ore di litanie e preghiere provenienti dai templi buddisti per l'occasione rimessi a nuovo, ridipinti in alcuni casi, illuminati a festa per lo più.
E' una festa che tocchi con mano e che respiri tuo malgrado, tanto è il fervore che l'accompagna.
Vicino alla nostra casa, lungo i binari del treno, alcuni ragazzi hanno tracciato un sentiero di lanterne colorate e cocci con olio profumato che verranno accesi; immagino l'emozione di quel viaggiatore che si troverà, al calare della sera, sul treno in corsa e guardando fuori vedrà un serpente luminoso e colorato.
Nuwan ci invita al Vesak Poya del suo paese, Weligama, aggiungendo che la serata sarà particolarmente importante perchè in quell'occasione, prima di dare inizio alla distribuzione del cibo, verrà acceso un grande cero per commemorare le vittime dello tsunami che a Weligama, come purtroppo in tanti altri villaggi della costa, si è portato via così tante vite.
Arriviamo a sera fatta e la fila di persone davanti allo stretto e lungo gazebo sulla spiaggia, è già ragguardevole.
Nuwan ci fa cenno di passare sull'altro lato del gazebo, dove dietro ad un drappo rosso si cela un'apertura.
Ci sentiamo onorati di essere trattati come ospiti d'onore e nel contempo proviamo imbarazzo nel passare davanti a tutte quelle persone; con molta gentilezza ci fanno accomodare su una panca di legno un attimo prima che si scateni una pioggia torrenziale e alcune gocce cominciano a farsi strada tra le lamiere del tetto.
Veniamo presentati all'organizzatore dell'evento, ai cuochi e al precedente sindaco di Weligama, mentre fuori la pioggia cade furiosa e la coda di persone si allunga a perdita d'occhio.
Improvvisamente tutti fanno silenzio, la cerimonia ha inizio e noi non possiamo capire le parole della persona che sta parlando; Nuwan ci dice sotto voce che sta nominando tutti i familiari e gli amici che non ci sono più.
In religioso silenzio ascoltiamo quel fiume di suoni fatto di onde, vento, pioggia, pianto di un bambino, preghiere buddhiste, nomi senza più volto. Fino a che, ben chiari e scanditi, i nostri nomi fanno da chiusura a tutto quello sciabordio confuso.
Guardiamo Nuwan con sorpresa e lui ci fa cenno gentilmente di alzarci e di avvicinarci al grande candelabro dorato. 
Solo allora capiamo che saremo i primi ad accenderlo e a ricordare insieme le vittime.
A metà del fusto dorato una ciotola raccoglie l'olio profumato dentro cui sono stati appoggiati degli stoppini bianchi.
Qualcuno accende per noi una candela bianca che utilizzeremo per dare vita ad uno stoppino; prima tu, poi io, con evidente commozione, facciamo luce in quell'oscurità, sentendo tutti gli sguardi del mondo attraversarci con calore.
Non parliamo, bastano gli sguardi, i nostri e i loro.
E in quell'oscurità, sotto la grande luna, in quella babele di lingue, sono stati sufficienti.






sabato 25 maggio 2013

L'occhio del suddha

No, non è una svista, ho scritto proprio "suddha".
Suddha siamo noi, gli stranieri bianchi che vivono in Sri Lanka, i foreigners.
Non è un termine dispregiativo, tutt'altro.
Manush, il figlio del nostro amico Nuwan, ti chiama affettuosamente "suddhu mama" (zio bianco) e lo dice con quel guizzo negli occhi neri che è già un sorriso.
All'inizio noi suddha non riuscivamo a distinguere loro, i singha, e ci sembravano tutti uguali, tutti bene o male con le stesse caratteristiche, un po' come succede con i cinesi e immagino pure con noi occidentali.
In realtà è un difetto più mentale che ottico; bisogna osservare e andare oltre per capire che ognuno di loro (noi) presenta caratteristiche diverse e da quel giorno abbiamo incominciato a distinguere il vicino di casa,  l'ortolano sulla strada prima del ponte, il farmacista gentile e quello antipatico.
Questo è successo perchè il foreigner ha tempo o meglio non ce l'ha più, non lo calcola proprio e questo gli consente ampia libertà di movimento.
Ma soprattutto acquisisce un dono speciale, una finezza nello sguardo che gli permette di distinguere nella moltitudine caotica delle cose, certi piccoli preziosi dettagli che sono il sale delle pietanze, l'ingrediente che non si vede ma che manca se non c'è.
La folla all'uscita del ristorante è variopinta, tutti indossano abiti da cerimonia colorati; le donne si pavoneggiano con saari e acconciature perfette, gli uomini sono prestanti negli abiti tradizionali bianchi o color avorio, i lucidi baffi neri svettano come papillon impeccabili.
Attendono gli sposi e si complimentano l'un l'altro con grandi sorrisi e inchini.
Ma nell'ombra, poco più avanti, davanti al cancello socchiuso di una modesta abitazione, due giovani ragazze si tendono tra i cespugli nel tentativo di osservare tutto quel fruscio di sete e gemme; hanno l'occhio sognante, la bocca semichiusa a cercare di carpire qualche dettaglio in più.
Bisbigliano tra di loro, commentano e poi rimangono di nuovo in silenzio per studiare meglio chissà quale particolare.
Il vestito semplice, a fiori, di cotone, i piedi nudi sulla terra e i capelli ben raccolti, con la mente sono altrove.
Credono di non essere viste, l'attenzione è tutta per la cerimoniosa congrega ma loro, le ragazze semplici, sono due cenerentole preziose che si muovono nel silenzio.
E ancora: nell'ora del tramonto coppie e bambini si fermano sulla spiaggia o sul bordo della strada a osservare, mai sazi, quell'incredibile spettacolo che il sole regala ogni sera.
Gli aquiloni volano alti con lunghe code serpeggianti al vento e i vicini si radunano sulla porta di casa a scambiarsi chiacchiere e risate, in un clima per noi dimenticato e così rassicurante insieme.
Ma oltre quel giardino fitto che si perde nell'oscurità, sotto alla una luce fioca di lampadina che viene dall'interno di una casa, ci sono uomini seduti sul pavimento che con pazienza rassettano le reti per la pesca.
Hanno i volti segnati dal sole e le bocche rosse di betel, indossano il tradizionale pareo a righe di cotone spesso che all'occorrenza viene arrotolato fino alla cintola.
Nelle ore della preghiera i templi si riempiono di devoti che portano incenso e fiori di loto, salmodiando in fila indiana sulla voce guida del monaco.
E proprio lì, nell'angolo nascosto, un uomo senza età, che potrebbe avere 100 anni o solo 40, a gambe incrociate come fossero rami in procinto di spezzarsi, fissa il vuoto in silenzio ma negli occhi ha tutte le preghiere del mondo.
Matara è la città caotica dei mille negozi, market, sedi centrali di banche, supermercati e farmacie, gioiellerie eleganti e antichità polverose, fashion shop all'ultima moda (di qui ben inteso).
Ma prima del ponte imponente che attraversa il grande fiume, sotto ad un ombrello da pioggia del colore dello smog dei tubi di scappamento dei grandi bus, un omino dello stesso colore seduto su una stuoia dello stesso colore, con mani abili e pazienza indefessa ripara a poche rupie una ciabatta infradito di una ragazza, l'ombrellino parasole di una signora in saari e qualsiasi cosa si fosse rotta e abbisognasse di un intervento rapido e efficace.
L'occhio del suddha è lo sguardo discreto, a volte imbarazzato, sulla nuda semplicità, sulla pura dignità, sull'ingrediente magico che rende le pietanze uniche.

sabato 4 maggio 2013

Cronaca di una giornata di pioggia

Difficilmente qualcosa qui riesce ad indisporti.
Nemmeno il maltempo che qui significa pioggia torrenziale, rivoli d'acqua gonfi come una pagnotta che lievita.
Questa mattina il sole tardava ad arrivare, alle 6,30 le nuvole gonfie lasciavano filtrare solo un bagliore lontano e magico, una luce livida e minacciosa.
Nel silenzio della casa ho atteso paziente la pioggia che è arrivata dapprima in punta di piedi, un pulviscolo insignificante e impalpabile per poi aumentare, correre, precipitare con baccano crescente.
Il rumore delle grosse gocce sulle foglie delle palme riesce ad essere più forte del risveglio degli scoiattoli (provare per credere).
Mi godo questa voce possente della natura, mi riempio gli occhi del verde che si lava e quando tutto rallenta, prende fiato e ritorna il pulviscolo garbato, esco a piedi nudi sull'erba intrisa d'acqua, un tappeto fresco piacevole che mi fa sentire parte di questa possente voce.
Le piante paiono ansimare dopo aver sopportato la violenza dell'acqua e del vento, gli uccelli riappaiono (dove si erano riparati?) sistemando le piume gonfie e arruffate e io lancio un po' di riso della sera prima per loro.
E seduta con la mia tazza di caffè penso che alla fine è tutto così semplice e maledettamente meraviglioso.
Riprende il temporale, un lampo e 12 secondi dopo il tuono, un lampo e 4 secondi dopo il tuono.
E' sopra di noi con una tale violenza che questa solida casa per un attimo mi pare un nido di rondine, pronto a sfaldarsi e a volare via con un colpo di vento forte.
Ma è solo un'impressione.
Mi faccio una zuppa calda di cavolfiore, broccoli, peperoncino e riso: una coccola.
Piano piano scema il temporale, il cielo livido sembra guarire e partiamo in scooter.
La quiete dopo la tempesta è una splendida occasione per vedere la natura risvegliarsi, risistemarsi le piume come se nulla fosse successo, con una costanza che fa invidia a noi poveri umani.
Dalla strada principale che costeggia la costa di Mirissa ci buttiamo nell'interno prendendo una strada che rimpicciolendosi, torcendosi tra curve a gomito, passando attraverso la ferrovia (la stazione di Mirissa meriterebbe un post a parte), diventa un nastro di terra rossa che si apre finalmente tra risaie a perdita d'occhio, campi coltivati pieni di pavoni e bufali d'acqua.
E tutto intorno, a racchiudere questa vastità, foreste di palme fitte e rigogliose.
In lontananza due aquile volteggiano basse, si tuffano in picchiata per catturare qualche pesce nel canale e ritornano in quota; un corvo si misura con una di loro, una sorta di tenzone giocosa che si risolve con una pausa sugli alti rami di una pianta.
Una scia inaspettata nell'acqua melmosa di un campo di riso ci rivela che un serpente sta guadando la pozza d'acqua e subito dopo un esemplare simile ma molto più grande fugge dal ciglio della strada al nostro passaggio.
C'è qualcosa di davvero magico in questo risveglio, un inno alla vita urlato da tutti, ognuno a suo modo, così armonico e profondo da far rabbrividire.
Un gruppo di ragazzini sulla strada piena di buche fanno a voce alta una specie di conto alla rovescia, una cantilena carica di attesa.
In mano ognuno tiene qualcosa, un pacchettino voluminoso, un gomitolo di stracci, un grosso sasso, non riusciamo a individuare di cosa si tratta.
Il countdown è finito, lanciano l'oggetto in aria tutti insieme all'ultimo numero e l'oggetto apre le ali e vola via: erano uccelli e sono stati liberati.
Li abbiamo seguiti sparire nel cielo insieme ai loro occhi sgranati e alle loro urla di gioia.
Non abbiamo capito cosa significasse tutto questo, se gli uccelli erano addestrati o se era un modo per festeggiare la fine di un grosso temporale o semplicemente un gioco innocente da fare insieme.
Abbiamo ripercorso la strada al contrario, le pozze di fango rosso piano piano si sono trasformate in buche d'asfalto fino alla strada principale dove il traffico normalmente scorreva, incurante di tutta la meraviglia che ci siamo lasciati alle spalle.
Abbiamo chiuso la giornata con una cena sulla spiaggia, riparandoci dalla pioggia un attimo prima che ci portassero il nostro barracuda alla griglia.
Sotto al porticato del ristorantino, con il mare che ringhiava inquieto, ho pensato che davvero nulla poteva indispormi, nemmeno il maltempo.