domenica 29 dicembre 2013

Cose così..

Qui il mondo è tutto da scoprire, fatto di storie da ascoltare e da vedere.
E spesso sono le cose che incontrano il nostro cammino, non serve cercare.
Un po' come tuffare la mano nel sacchetto dei numeri della tombola, frullare le dita per mescolare bene e afferrare un tondino.
Così può succedere in un solo giorno:

- che il cielo diventi così nero e minaccioso da farti pensare che ormai la giornata sia andata....


ma nell'ora più bella, al tramonto, ti faccia una sorpresa da toglierti il fiato



- che ti chiedi come farai a caricare tutta la spesa sul motorino, poi incontri lui e ti sembra di avere un SUV



- che compri le uova sfuse al mercato chiedendoti un po' preoccupata come farai a trasportarle integre a casa e poi arriva la semplicità di certe soluzioni che ti fanno ancora stupire



- che vivere nella natura non è un motivo sufficiente per fare l'abitudine a bizzarri incontri

Varano

piccoli di Zibetto delle palme

insetto stecco

- che camminando incontri lui e ti chiedi se stanno girando le nuove puntate delle simpatiche canaglie



- che ti ritrovi ad avere tante cose da dire a nuovi amici in una lingua che non è la tua e scopri che vi capite benissimo 


- che un uccellino si innamori di te e ti faccia la danza dell'amore per conquistarti



- che se un uccello del paradiso vive nel tuo giardino, ci sarà un perchè.....


















lunedì 16 dicembre 2013

Strajè!

Strajè significa sparpagliati, in questo caso per il mondo....è quello che noi siamo

Grazie al giornalista Andrea Violi della Gazzetta di Parma che ha pazientemente ascoltato le nostre parole, raccolto le nostre immagini e ne ha fatto questo:











mercoledì 11 dicembre 2013

La bizzarra storia di Cirlèn, di un insano richiamo della foresta e di un karma che si è concluso

Cirlèn è stato il protagonista di uno dei tanti episodi bizzarri che abbiamo vissuto qui in Sri Lanka.
Non so cos'ha questo posto di così speciale che fa accadere le cose più logicamente impossibili.
E' d'obbligo una premessa alla vicenda: nella mia infanzia sono stata molestata più volte da un gallo, per la precisione da un francesino, uno di quei galletti francesi che notoriamente vengono utilizzati nei combattimenti per la loro aggressività.
All'epoca avevo sì e no 5 anni e passavamo le estati abbarbicati in un paesino dell'Appennino emiliano, in una casa dal sapore di altri tempi che mio nonno paterno aveva costruito e successivamente salvato dalle ingiurie degli anni prima di morire.
Per una bambina curiosa come me l'avventura si nascondeva dietro ad ogni angolo, anche nel cortile comune delle quattro case che, insieme, formavano tutto il paesino.
Cirlèn era fiero e altezzoso, nel suo dna di francesino era irascibile, soprattutto con chi era piccolo, come me.
Prendeva a rincorrermi per l'aia sbattendo le ali e allungando il collo per mirare al mio fondoschiena, memore forse del fatto che io giocavo con le "sue" galline.
Mi beccava e se ne andava trionfante; ricordo certi pomeriggi passati in casa perchè fuori, nell'ombra, c'era lui ad aspettarmi.
Questo ha creato in me una sorta di diffidenza nei confronti di tutti i galli, galletti e affini, soprattutto perchè, a mio dire, lui rimaneva sempre impunito.
Qualche settimana fa passando per Matara davanti al negozio di animali cosa vediamo rinchiuso in una gabbia sotto al sole e ai fumi dello smog?
Un cirlèn.
Mio marito ferma il bolide, si gira e mi guarda: lo portiamo a casa?
Piccola parentesi: noi siamo un po' come la canzoncina di Gianni Morandi di una volta "me lo prendi papà?" e la famigliola in men che non si dica si ritrova con un'arca di Noè senza precedenti.
Ci fermiamo, chiediamo il prezzo (irrisorio, un cappuccino per dire) e ce lo facciamo inscatolare.
Dietro al bolide, con lo scatolone in braccio, deglutisco trattenendo il respiro: potenza dei ricordi infantili.
E se infila il becco dentro al buco per respirare e mi becca? e se arrivati a casa lo liberiamo e comincia a rincorrermi per il cortile?
Il viaggio verso casa si risolve in maniera così accettabile che per un attimo penso che il poverino forse non ha retto ed è schiattato.
E invece no.
Apriamo la scatola e se ne sta lì appollaiato a "coccodare".
I nostri cani ovviamente impazziscono di gelosia e di naturale istinto venatorio.
In un secondo si consuma la tragedia.
Il galletto spicca un balzo sulla balaustra del portico, arriva furtivo il cane nero dei vicini che fino alla mattina pensavamo avesse qualche ora di vita perchè vecchissimo e rincorre il poverino facendolo scappare nella foresta.
Parte l'inseguimento: mio marito che insegue il cane che insegue il gallo coccodante e tutti inseguiti dai mimmini, i nostri cani (sulla cui genealogia aprirò un post a parte).
Il cielo si fa minaccioso, comincia una leggera pioggia che si trasforma via via in uno scroscio tipicamente tropicale.
Dalla foresta arriva un coccodè strozzato poi più nulla : è fatta, Cirlèn è stato preso.
Metto scarponi e impermeabile e parto anch'io nel groviglio di rami, foglie e rampicanti.
Ogni varco che riesco ad aprire davanti a me, subito dopo il mio passaggio si richiude come una porta.
L'acqua ormai passa l'impermeabile e comincio a scorgerti da lontano con la faccia scura e tutto bagnato.
"Il cane nero l'ha ammazzato, l'ho trovato per terra con il collo torto e senza vita...sto cercando il cane nero ma deve essere scappato portandosi via Cirlèn"
Per il cane nero questo momento esatto non è un bel momento.
E' entrato nel nostro cortile, ha rincorso il nostro gallo e lo ha ammazzato.
La sete di vendetta serpeggia silente nel bosco insieme a copiosi rivoli d'acqua piovana.
Per un attimo, solo per un attimo, a vederci così bagnati, in silenzio, a confonderci con le mangrovie, in allerta ad ogni minimo rumore, ho pensato a Platoon. Per fortuna solo per un attimo.
Rientriamo a casa riaprendoci varchi che sono diventati più difficoltosi perchè la pioggia ha reso pesanti le foglie, il terreno è diventato melmoso e la stanchezza si fa sentire.
Scaldiamo l'acqua con il bollitore per fare una doccia calda, ci facciamo una tazza di te e rimaniamo in silenzio pensando alla breve carriera del nostro gallo.
"era molto bello"
E in effetti devo dire, per quel poco che l'ho osservato, che era veramente un bell'esemplare.
Piumaggio dorato, rossastro, blu con lunga coda da bersagliere e zampe rivestite, cresta importante e carnosa, Cirlèn era della specie endemica del gallo della foresta (nome volgare di Gallus Lafayetti), mica robetta.
La sera arriva in un battibaleno, ceniamo sotto al portico godendoci la tregua della pioggia e il lago tornato tranquillo, il tempio si staglia bianchissimo in lontananza e nel buio che via via diventa più intenso si accendono le voci dei grilli e i gridolini delle volpi volanti.
E' stato un attimo, il mio sguardo si spostato dal portico al giardino, nel punto in cui dopo la siepe comincia la discesa verso il lago e là, come un'apparizione diabolica, lo vedo.
Bagnato fino alle ossa, zampetta fiero allungando il collo qua e là nel silenzio più totale, tanto che nemmeno i mimmini ne hanno sentito la presenza.
La mia espressione di assoluta meraviglia ti mette in allarme ma non giri la testa, perchè immagini ma non ci credi.
"Non dirmelo..."
"sì sì...te lo dico...lui è lì..."
Lo recuperiamo dopo un po' di starnazzamenti vari, è spaventato, trema e....io lo prendo in braccio.
Non ce la faccio, in quel momento lo vedo così indifeso e così miracolato che le mie fobie cirlènesche svaniscono.
Lo portiamo in bagno, lo asciughiamo e contiamo i danni, pochi per la verità: solo qualche piuma se ne è andata ma il collo è integro e non ha ferite.
Si è finto morto? è resuscitato? nessuno lo saprà mai nè tantomeno come abbia fatto a ritrovare la strada di una casa che non ha avuto il tempo di conoscere.
Pigola di quel pigolio drammatico ma non cerca di beccare o di scappare.
Accetta senza pensarci due volte qualche cracker sbriciolato e una ciotola di acqua poi si mette a coccodare sull'asse di legno che gli abbiamo preparato tra il davanzale e il muretto della doccia, tra lavandino e water, così che ogni volta che uno di noi va in bagno, se lo ritrova ad altezza faccia che ci guarda nel momento più privato.
Eh beh, è un'esperienza anche questa, fare la pipì mentre un Cirlèn ti osserva....
La notte trascorre con l'eccitazione che solo i bambini possono capire, con continue spole tra la camera e il bagno, tra il portico e il bagno, tra il salotto e il bagno, nemmeno fossimo diventati incontinenti.
Il sonno si porta via per un momento la giornata passata, il bosco, la tragedia, il miracolo e la presenza di un galletto in bagno, fino all'alba, quando un fragoroso chicchirichì ci fa scoppiare a ridere, un po' meno al sesto chicchirichì di fila.
Nei giorni a seguire troviamo un degno alloggio al nuovo ospite utilizzando come pollaio notturno la casetta degli attrezzi; durante il giorno siamo costretti a legare Cirlèn ad una zampa con una corda chilometrica per evitare che possa di nuovo andare nel bosco e diventare cibo per cani o varani.
Lui si dimostra mansueto, curioso del giardino, un po' meno quando i cani lo puntano emettendo guaiti minacciosi ma la cosa dura poco, ben presto anche loro si abituano alla sua presenza, tanto che il giorno in cui Cirlèn scappa nella foresta i prodi mimmini partono diligenti al suo recupero facendolo atterrare sano e salvo di nuovo nel giardino.
Così scopriamo che oltre ai cani per i ciechi, ai cani da riporto, ai cani guardiani di pecore, ci sono anche i cani guardiani di galletti aspiranti suicidi.
Ma Cirlèn doveva compiere una missione, l'ultima che avrebbe suggellato un momento unico.
Con abilità da amanuense slega la corda dalla zampa, vola in silenzio nel bosco approfittando della pennichella (una delle tante) dei mimmini e comincia a scorrazzare coccodando tra mangrovie e cespugli.
Che è stato come urlare ai predatori: ragazzi son tornato! sono qui!!!
L'urlo definitivo, strozzato, ripetuto, non ci lascia più alcun dubbio: è stato di nuovo preso ma stavolta non si è finto morto.
Questa volta è morto per davvero.
Voglio pensare che la ritrovata libertà lo abbia (e passatemi per questa volta il termine) ringalluzzito ma che non sia potuto sfuggire al suo destino dopo aver fatto pace con chi è stato vittima di suoi antenati, pulendo così il suo karma e lasciando questa valle di lacrime con dignità.
Ciao Cirlèn, eri davvero simpatico, io non ce l'ho più con te.







mercoledì 13 novembre 2013

Un ritorno che è una partenza

Colombo Singapore è una passeggiata.
Poche ore di volo e si atterra in un aeroporto che quasi a malincuore lasci tanto è bello, soprattutto dopo mesi in cui il massimo del lusso e del consumismo è rappresentato dal supermercato ordinato di Matara.
Luci, ordine, pulizia, pavimenti tirati a lucido, bagni che profumano di gelsomino e cestini per la raccolta differenziata sempre vuoti e puliti, negozi accattivanti, questo è il primo impatto che si ha con Singapore, o meglio con il suo aeroporto, il Changi.
In prossimità dell'uscita dell'aeroporto si presenta la scelta: autobus, taxi, metropolitana.
Ogni scelta un percorso, ogni percorso una sua particolare uscita, ordinata, pulita, efficiente: fa quasi paura.
Chi si dirige ai taxi aspetta diligentemente in fila dentro ad un percorso obbligato tracciato da transenne (tirate a lucido), senza subire la calura dell'asfalto.
L'attesa la si fa comodamente al fresco dell'aeroporto e si esce solo quando il gentile signore addetto allo smistamento individua il tuo taxi. Ah, che taxi vuoi? Normale, Mercedes o van?
Le tariffe sono esposte e ben chiare, non ci sono possibilità di fraintendimenti e per ogni tipologia di taxi l'attesa è veramente irrisoria.
Il taxi normale, quello che scegliamo noi, si rivela un Mercedes così chiediamo spiegazioni: per categoria Mercedes si intende la flotta di ultimo modello, per categoria Normale può esserci anche un Mercedes dell'anno passato. Ah beh, sopravviveremo.
Inutile dire che la corsa dall'aeroporto al centro di Singapore costa meno di una corsa in taxi nel centro della nostra bene amata città italiana.
Singapore ci appare come una modernissima città che si è fatta ordinatamente strada tra la foresta, lasciandone alberi maestosi e centenari in ogni angolo possibile.
La sensazione che si ha percorrendo il largo viale alberato è di respiro, soprattutto quando poco dopo, sulla sinistra, vediamo il mare.
La scelta di alloggiare nel quartiere Little India si rivela subito vincente.
I colori, i profumi, i rumori di questo spaccato indiano mitigano la bellezza perfetta da plastico che Singapore può suggerire.
In realtà la sensazione di essere in una città tanto perfetta e funzionale da sembrare finta, prima o poi sorge spontanea, ma è tutto talmente ipnotico che quello che potrebbe sembrare un difetto, diventa un pregio.
Soprattutto per chi come noi ha alle spalle mesi e mesi di vita spartana tra foresta, strade di terra, negozietti improvvisati e spiagge selvagge.
Singapore è il posto dove difficilmente troverai un pacchetto di gomme da masticare perché....sono proibite. Sono proibite perchè è proibito sporcare e difficilmente maledirai colui che ha sputato la gomma che si è attaccata alle tue scarpe, perchè non esiste.
Non esiste sporcizia in nessun posto e ti chiedi come questo possa essere possibile visto che sono pochi, quasi rari, i cestini per la spazzatura.
Allora cominci a pensare che è una questione di educazione.
Se non c'è il cestino, non è detto che tu debba buttare la cartaccia per terra, semplicemente la metti nella borsa e la butti quando sei a casa o in albergo. Oppure puoi tranquillamente lasciarla cadere per strada tenendo il portafogli o la carta di credito nell'altra mano, pronto a pagare una multa di 1000 dollari singaporensi (euro 600 circa). Il che non è una semplice minaccia ma una assodata verità.
Non si entra dentro la metropolitana con cibo o bevande nè tantomeno con accendini: 500 dollari di multa.
Non si fuma se non negli spazi consentiti e vi garantisco che sono pochi e poco segnalati.
Se tutto questo può apparire eccessivo, il risultato della totale assenza di sporcizia, cartacce, mozziconi di sigarette e le famigerate gomme da masticare attaccate alle suole, ripaga tale rigore.
Nei parchi si può camminare a piedi nudi: nessuna siringa o pupù di cane vi insidierà.
Little India si concede giusto i banchi di frutta e verdura sui marciapiedi con conseguente profumo intenso di spezie e incensi ma il tutto molto ordinato pur nel suo folklore.
Little India è movimento, musica, colore, calore, in una parola vita.
Gli edifici sono bassi, ben curati e le strade interne sono piene di piccoli locali dove si può mangiare, bere e in alcuni casi anche fumare.
Spostarsi in metropolitana è semplice quanto bere un bicchier d'acqua.
Nella città dell'efficienza, la metropolitana ne è il suo biglietto da visita.
Fruibile, intuitiva, pulita, veloce e apparentemente sicura, nonostante i monitor all'interno dopo una eloquente carrellata di attentati avvenuti all'interno delle metropolitane di tutto il mondo, invita tutti a segnalare con prontezza eventuali strane situazioni, bagagli abbandonati, personaggi sospetti.
Non esiste accesso ai binari così che la leggenda dell'uomo misterioso che butta le persone sotto i vagoni e scappa non può prendere piede.
Gli ambienti sono talmente luminosi e aerei che non si ha alcuna sensazione di essere sotto terra, l'aria condizionata amplifica la sensazione di benessere e le carrozze sempre pulite e in ordine mettono di buon umore.
I vagoni arrivano a intervalli di 5/7 minuti l'uno dall'altro e si attende pazientemente dietro la linea rossa lasciando il tempo e lo spazio a chi deve scendere di farlo; le porte di vetro si aprono in corrispondenza delle porte dei vagoni e non esistono nemmeno gradini o pericolosi inciampi.
Basta salire e godersi la corsa.
Fatta eccezione per il centro di Singapore, il resto della metropolitana ad un certo punto sbuca dalle viscere della terra e corre in superficie così che abbiamo potuto constatare che Singapore si sta espandendo anche nella sua periferia in maniera ovviamente armoniosa, pulita e ordinata.
A volte ci viene il dubbio che tutto sia fatto di Lego da un architetto molto abile.
Muovendosi in metropolitana è conveniente fare un abbonamento che copra più giorni in modo che si possa saltare da una linea all'altra senza dover ogni volta cambiare biglietto e poi, sinceramente, avere un abbonamento alla metro di Singapore fa sentire molto meno turisti!
In tutto questo trionfo di pulizia e ordine, la gente praticamente non esiste.
Nessuno vi starà appresso per vendervi tour organizzati, stoffe, sculture, ammenicoli vari.
Ma se chiedete troverete una gentilezza e una professionalità squisite.
Tutti si spostano con in mano nell'ordine:
- ipad o tablet con auricolari e batteria aggiuntiva (che non si sa mai che si rimanga a secco durante una chat su facebook)
- telefono con auricolari e batteria aggiuntiva (preferibilmente uno smartphone)
- doppio telefono per saltare da uno all'altro
- ipad e telefono insieme
Insomma, abbiamo visto ragazzi incollati allo schermo dell'iphone seguire una soap opera mentre stavano salendo le scale mobili, bambini in spalla a mamme intenti a guardare, dall'ipad della mamma, l'ultimo cartone animato prima di salire sui vagoni della metro.
Singapore è anche la città della tecnologia e tutti ne usufruiscono a piene mani.
Tutta la rete metropolitana è collegata in maniera commercialmente splendida.
Volendo puoi raggiungere la fermata successiva o il quartiere successivo a piedi ma camminando sempre sotto terra in quello che è a tutti gli effetti un enorme, grandioso, luminoso e tentatore centro commerciale.
Qui puoi trovare veramente di tutto: distese di ristoranti sushi, caffetterie con internet gratis (una palese imitazione di StarBucks), negozi di abbigliamento, scarpe, gioiellerie, elettronica, popcorn glassati (mi devono spiegare come fanno a mangiarli con avidità visto l'odore decisamente nauseabondo, eppure la coda di persone in attesa di un barattolo di popcorn aromatizzati al gusto di vaniglia era costante), banche, negozi di fotografia, negozi di biscotti, cartolerie e chi più ne ha ne metta.
Potresti quasi girare un'intera fetta di Singapore senza mai uscire alla luce del sole e senza nemmeno averne la percezione della mancanza. Più o meno.
Perchè fuori, sopra la terra intendo, Singapore strappa ohh di ammirazione per la plasticità di Marina Bay, la baia famosa per la sua piscina all'ultimo piano di un tris di grattacieli uniti tra loro da una costruzione che scimmiotta molto bene una nave da crociera, per i quartieri caratteristici e monoetnici (Little India, Arab Street, China Town, quest'ultima sinceramente deludente rispetto alla verace China Town di Bangkok perchè fatta solo per i turisti), per Orchard Road la strada dello shopping di lusso di alto livello con i suoi palazzi dalle vetrine che sembrano grandi acquari, per le cospicue macchie di rigogliosa vegetazione che non manca mai tra una strada e l'altra e per quella strana aria calda umida e priva di odori (se non sei a Little India) che ti fa sentire come uno sconosciuto tra sconosciuti e perciò, molto spesso, invisibile.
Abbiamo visitato tra le altre cose il Jurond Bird Park, venduto come il parco più grande e fornito al mondo di uccelli.
Ora, capisco che non sia proprio pensabile entrare in una grande voliera insieme ad aquile e avvoltoi, ma osservare i pappagalli dietro ad enormi grate di ferro sinceramente a me non ha fatto impazzire.
Il parco è abbastanza grande ma attraversato da una stradina di asfalto che porta su e giù i turisti che non amano camminare; ritengo che sia giusto per chi ha bambini molto piccoli e per coloro che hanno problemi di deambulazione o di pressione (fa molto caldo) ma per chi desidera camminare? per coloro che camminano hanno fatto dei sentieri dai quali bisogna prima o poi distaccarsi e farsi le stradine di asfalto.
La gigantesca voliera del Bioparco di Valencia ha da insegnare molto anche qui a Singapore.
In ogni caso, assolutamente degni di nota:
- i pellicani, ne hanno tanti e tutti liberi. Viene organizzato uno spettacolo informativo mentre un inserviente lancia loro pesci di varie dimensioni e poi, per chi lo desidera (IO IO IO IO) per la modica cifra di 2 dollari ti consegnano un guanto di gomma e un sacchetto di pesciolini da lanciare ai pellicani.
Ho sgomitato senza pietà davanti a gruppi di bambini vocianti e sono arrivata prima al luogo della pastura....irresistibili. Sono rumorosi, goffi, affamati come se non ci fosse più un domani ma soprattutto sono enormi.
- il pellicano rarissimo del Centro Africa, il Balaeniceps Rex volgarmente detto becco a scarpa: praticamente un fossile, una statua, qualcosa che non può davvero esistere. Ritto tra i cespugli e l'erba alta, in silenzio, sul momento ho pensato al cattivo gusto di mettere una statua raffigurante un uccello. Molto meglio non mettere nulla; poi l'essere ha girato la testa e mi ha fissato. Ho provato un brivido freddo calcolando la distanza tra me e lui e l'assoluta mancanza di recinzione
- una serie di aquile e pappagalli maestosi (ma pressochè poco visibili dietro a pesanti e fitte grate)
- civette gufi e nottole rinchiuse dentro a speciali gabbie di vetro tenute al buio (violentemente illuminate dai flash maleducati e impertinenti di un maleducato e impertinente giapponese che se ne è guardato bene dal rispettare i divieti)
In abbinamento al parco degli uccelli propongono in maniera altrettanto altisonante (e ahimè con la stessa sottile post delusione) il Singapore Zoo e il Wild Safari notturno.
Abbiamo lasciato perdere.
Una cosa interessante di Singapore è che quando riparti puoi recuperare l'Iva spesa su beni acquistati che superino almeno i 100 dollari; non è un granché, un po' meno del 5%, ma noi abbiamo provato e sono stati riaddebitati nel giro di poco tempo.
Singapore è il posto ideale dove fuggire almeno una volta all'anno, un po' come New York ma con il sapore orientale. Avere un bel carnet di carte di credito darebbe modo di sfogare le più bieche voglie di shopping ma vi sono cose e momenti che non è possibile acquistare.
Sono le cene seduti su sgabelli di legno a guardarsi negli occhi, a riassaporare dopo tanto una bottiglia di vino e scoprirsi innamorati come adolescenti ma adulti.
Sono gli ingressi in metropolitana sfoderando, direi quasi ostentando, l'abbonamento per vedersi aprire le sbarre, anche solo strisciando la borsa o il portafoglio e ridersela complici.
E' la cameriera della birreria che al momento di pagare il conto si ferma a chiacchierare e quando le diciamo con l'emozione a fior di pelle e un poco imbarazzati che siamo in luna di miele, ci porta un piatto di squisitezze omaggio per festeggiarci.
E infine, ma soprattutto, è tornare a casa, quella che ora è la nostra casa qui in Sri Lanka, e capire che casa è dove siamo noi e che il nostro ritorno in realtà è solo una partenza verso una nuova avventura, la nostra nuova famiglia.

Little India by night

Singapore city

Marina Bay Sand Resort
la piscina (accessibile solo ai clienti del resort) è sulla nave con vista mozzafiato
sulla baia e su Singapore

Marina Bay, la City

China Town
tempio della reliquia del dente


Jurond Bird Park, ingresso




Pellicano Becco a Scarpa
Balaeniceps Rex
altezza: 150 cm (cioè io e lui ci guardiamo pressochè nelle palle degli occhi)
apertura alare: 260 cm 
peso: 7 kg
lunghezza becco: 40 cm


Momenti di gloria!!!!!!!

il mio preferito

Probosciger aterrimus aterrimus



io e l'emù


...love is....



















mercoledì 2 ottobre 2013

Una giornata a Colombo. Diario di una sopravvivenza.


Il sud dello Sri Lanka ha i suoi bei vantaggi: semplicità della gente, tranquillità, folklore, belle spiagge, natura incontaminata o quasi.
Il rovescio della medaglia?
Ogni documento importante richiede un giorno di spostamento per e dalla capitale Colombo, il che di per sè non sembrerebbe nulla di così drammatico.
Non se possiedi un elicottero.
Non se possiedi un jet personale.
Non se sei un personaggio di Star Trek e hai il teletrasporto in cucina.
Insomma, escludendo queste tre fortunate situazioni, se devi andare a Colombo in giornata, inizia a pregare dalla mattina presto.
Esistono tre possibilità per raggiungere la capitale:
  • autobus (avete presente quei dirigibili su ruote lanciati a tutta velocità spesso guidati da un folle strafatto di betel? ecco, quelli)
  • treno (sì, che bello, il trenino che ti siedi, guardi fuori dal finestrino, fai un po’ di conversazione, leggi un libro e aspetti solo di arrivare in stazione....)
  • auto a noleggio con autista (praticamente un salto nel buio: l’autista si addormenterà? messaggerà con la fidanzata? consulterà facebook? eh sì, tra le tante cose intelligenti che sono arrivate in Asia dall’Occidente c’è anche e soprattutto facebook, praticamente un incubo)
La scelta è piuttosto ovvia e coerente con il nostro modo di viaggiare: treno.
Abbiamo nella memoria e nel cuore il viaggio in treno nel cuore dello Sri Lanka fatto a febbraio di quest’anno e di cui ancora non ho scritto.
Per farla breve: un autentico sogno.
Carrozze pulite, bei panorami tra foresta, paesini e oceano, costi ridicoli e puntualità, posti a sedere spartani ma comodi.
Sveglia alle 5, treno alle 6, stazione principale, il capolinea del sud, dove si formano le carrozze.
Arriviamo in anticipo, il treno è già sul binario uno, saliamo.
Un posto, un mezzo posto, un buco per la borsa, nulla. Pieno. Esaurito. Seconda e terza classe, anche la locomotiva dove siede il macchinista è piena.
Il che significa farsi tre ore abbondanti in piedi su un treno che quando arriva a Colombo sembra un carro bestiame poichè ad ogni fermata salgono quei 100-120 esseri umani come te disperati di salire. E le fermate sono tante.
Ora, capisco che può succedere di farsi un viaggio in piedi, di lunedì poi che è l’unico giorno della settimana in cui davvero si lavora, ma farselo sotto ai piedi e alle ascelle di qualcun altro.....ecco questo è stato troppo.
Mettiamo poi che non sei proprio una cima in fatto di altezza, non pesi più di 45 kg vestita e ai piedi non hai le scarpe antinfortunistica con le punte rinforzate in acciaio ma un paio di ciabattine infradito di gomma, ecco ad ogni fermata se non reagisci di gomito e non hai l’uomo che ti fa da scudo, a Colombo sì ci arrivi, ma sotto la suola di una scarpa.
Durante questo “indimenticabile” viaggio ho comunque scoperto che:
  • i singalesi generalmente non puzzano ma quando puzzano non scherzano e approfittando della ressa svuotano bene e volentieri eventuali gas in eccesso che si portano dentro
  • il concetto di “è pieno, non ci sta più nessuno” è stato sostituito da “saliamo tutti, c’è ancora posto tra un mento e l’altro”
  • la mia convinzione di aver modificato il mio personale concetto di prossemica era solo una convinzione. Mi spiego meglio: pensavo di poter reggere alla vicinanza eccessiva tra esseri umani lasciando che invadessero i miei 30 cm di salvezza ma in realtà ho scoperto che varcare quel limite mi scatena istinti omicidi e sete di sangue
  • esistono persone che hanno dormito in piedi senza nemmeno tenersi ad un supporto durante tutto il viaggio. E chi cade in tre centimetri di spazio? Il sonno poi doveva essere pesante vista la totale insensibilità alla mitragliata di gomitate del mio amato uomo scudo.
  • nessuno è salito a controllarci il biglietto e se lo ha fatto devono ancora rimuoverlo dalle suole di qualcuno
Il treno si è svuotato come il sacchetto dei numeri della tombola, solo alla penultima fermata, così ho potuto riabituare i polmoni a respirare, togliere dalla fronte il sudore dell’ascella che mi ha fatto ombra per tre ore e soprattutto riappropriarmi della funzionalità delle mie ginocchia che nel frattempo si erano calcificate.
Accompagnati dal pensiero nauseante di dover riprendere il treno per tornare a casa dopo poche ore, abbiamo affrontato con sprezzo del pericolo e profondissima dignità un ufficio governativo che racchiudeva al suo interno probabilmente tutte le ascelle pezzate trovate sul treno.
Il nostro contatto, quello che doveva velocizzare le nostre pratiche evitandoci 6 ore di attesa, aveva pensato bene di andarsene a pranzo proprio al nostro arrivo così un nanerottolo di turno con riporto unto svolazzante e in preda a delirio di onnipotenza si è offerto per sostituirlo chiedendo però un obolo ben più alto per i suoi servigi.
Benissimo, oggi va bene tutto, basta fare presto così da riprendere al volo (si fa per dire) il treno delle 10.15 senza dover aspettare quello delle 14.20.
Presto è solo un suono senza alcun riscontro oggettivo.
Quarantacinque minuti.
Quarantacinque lunghi minuti di attesa contro i cinque preventivati in cui oltre a essere insultato in dialetto parmigiano e a sentirsi decurtato l’obolo ogni dieci minuti persi, l’ometto ha avuto anche il coraggio di darci un bigliettino da visita per futuri servigi.
Se mai ci servirà uno stura lavandini, sappiamo chi chiamare, sempre però se non abbiamo fretta.
Il treno delle 10.15 ovviamente è perso, irrimediabilmente partito.
Il traffico a Colombo è sempre tanto ma a volte pare proporzionale alla voglia che si ha di andarsene da quel vespaio.
Quel lunedì maledetto la voglia di tornarsene a casa era superiore anche alla voglia di farsi un giro shopping da Odel, mecca del consumismo.
L’idea di noleggiare un’auto si insinua come il sogno di fare la pipì quando scappa davvero e si sta dormendo. Se non si corre in bagno si finisce di farla nel letto.
Ecco, non vorremmo trovarci a puntare un coltello alla gola al primo fermo al semaforo per prendergli l’auto, così cominciamo una lunga contrattazione con diversi autisti.
Salta fuori un ragazzotto al quale per un attimo ho paura a chiedergli i documenti perchè se questo ha 18 anni allora io sono ancora lontana dagli anta.
Trattiamo finalmente una cifra che ci sembra più che accettabile e saliamo su questa specie di mini van per bambole con gli immancabili vetri oscurati dalla pellicola che fa sembrare Colombo sotto uragano.
Non ci sembra vero, tra poche ore potremmo essere di nuovo a casa, nel soporifero e tranquillo profondo sud.
Ma è lunedì, siamo a Colombo e la giornata è tutt’altro che finita.
E la nostra pseudo tranquillità si incrina pericolosamente alla domanda:
“ehm...volete fare l’autostrada o PREFERITE LA STRADA NORMALE?”
Strada normale? Cioè intendi farsi tutta Colombo sulla costa e proseguire giù giù fino in fondo e oltre, passando settemila villaggi e sottovillaggi? ma che sei matto? io vorrei arrivare prima che tramonti il sole!
Alla risposta “Autostrada” l’imberbe sgrana gli occhi e con nonchalance si ferma e chiama la mamma, cioè no scusate chiama in ditta e chiede la strada.
Ottimo, vien quasi voglia di farlo sedere dietro e far guidare noi, ma non si può.
Raggiungere l’autostrada di Colombo quando sei a Colombo è un vero incubo perchè il traffico è tale che per compiere anche solo un tragitto di 4 km a volte può significare farsi un’ora di smog.
Ma esistono scorciatoie, trucchetti, vie secondarie che allungano il percorso ma in realtà lo accorciano in termini di tempo poichè più snello e veloce.
Certo, ma per conoscerli devi essere almeno maggiorenne da qualche mese e non è il nostro caso.
Così passiamo circa un’ora e mezzo tra frenate e ripartenze, frenate e ripartenze, tanto che abbiamo come una reminiscenza delle vomitate durante le gite scolastiche quando si viaggiava in fondo alla corriera per cantare insieme agli altri per poi finire davanti, vicino all’autista, bianchi come cenci e con un limone in bocca.
Capiamo il traffico, capiamo il fatto che non sei pratico di scorciatoie, ma per la miseria impara a usare i pedali che non siamo sull’autoscontro!
Vista la partenza decidiamo di fermarci (ancora) nel primo supermercato sulla strada per comprare bibite fresche e fortunatamente (aspetta...) ci imbattiamo in un Cargills mega rifornito.
Acqua, bibite e un ghiacciolo. Una persona davanti a noi alla cassa. E l’imberbe fuori in macchina in panico sparato da prima volta in autostrada.
Cassa bloccata.
Ovvio.
Arriva il “controllore sistemo tutto io” ma noi non ci fidiamo e cambiamo cassa.
Non ha il resto di 10 dico 10 rupie (pochi centesimi). Ripenso alla praticità del sud, del sud dello Sri Lanka intendo, quando non hanno dieci rupie e ti regalano una caramella.
No, qui è il Cargills, qui non si regala nulla. Se ti devo dieci rupie aspetti fino a che non si materializzano nella cassa della vicina.
Finalmente arrivano le dieci rupie, mollo il ghiacciolo diventato brodo e risaliamo in auto.
Via!
Beh, via è una parolona.
Il caldo ci sta mangiando le orbite degli occhi: possiamo accendere l’aria condizionata?
Inchioda (ancora) e ci dice che per quella c’è un sovrapprezzo.
Come come??? Eh sì, mica è colpa sua, è colpa della mamma, ehm della compagnia.
Benissimo, piuttosto di pagarti il sovrapprezzo facciamo una sauna gratis. 
Raggiungiamo a fatica dopo frenate e ripartenze l’imbocco dell’autostrada e stranito l’imberbe ci guarda e ci chiede cosa deve fare.
Mioddio.
Frena, prendi il tagliando che ti viene consegnato dall’ometto nella guardiola. No, non si paga subito, paghi alla fine.
Quale strada devi prendere? beh, quella davanti a te, non certo quella che ti fa uscire di nuovo...
Appena presa la grande strada a due corsie praticamente deserta (qui l’autostrada è ancora un bene di lusso) si piazza in corsia di sorpasso a manetta.
Dovremmo spiegargli che non è una gara e che il limite di velocità dei cento, a volte dei novanta, andrebbe rispettato.
Ma va bene così; controlliamo che non gli si abbassino le palpebre, cosa che non avviene perchè è tutto nuovo per lui e per un attimo avverto l’emozione di aver fatto provare per la prima volta l’autostrada a un autista diciamo così professionista.
L’emozione dura poco.
Un rumore di ghiaia sotto al freno a mano lo spaventa e spaventa ancora di più noi.
Cosa essere successo???? chiediamo titubanti.
Pezzi di strada.
Eh certo, è risaputo, l’autostrada a volte si stacca come un torrone a Natale e i pezzi finiscono arrovigliati sotto al freno a mano.
Ommioddio, ommioddio.
Lui sembra tranquillo fino al successivo rumoraccio.
Decide di frenare, ancora, e di mettersi a lato strada.
Gli facciamo notare che dovrebbe fermarsi dove trova una piazzola, una rientranza, non in carreggiata!!!
Riparte, dopo pochi kilometri si ferma, poi riparte.
Accosta e abbassa il sedile a fianco il suo: il motore è sotto ai sedili e il fatto che non ci sia odore di bruciato ci rassicura.
Riparte, frena, accosta, riparte, frena, accosta.
Decidi una volta per tutte, qui siamo al limite del vomito da più di un’ora!
Scende e solleva anche il suo sedile a motore acceso (e la cosa non mi tranquillizza per niente).
La cinghia della dinamo è svolazzante come una farfalla impazzita.
Ma ste macchine le controllate di tanto in tanto o le usate fino a che ce n’è un pezzo?
E poi: frena che ti rifrena cosa ti aspettavi?
L’imberbe chiama mamma, sì dai, la compagnia di taxi.
Strano, si accende una luce strana della batteria!!!
Ma tesoro, se la cinghia della dinamo è partita, la batteria non si ricarica e se continui a frenare e partire ci troveremo in un bel guaio che nemmeno voglio immaginare.
Noi vogliamo andare a casa!!!
Usciamo dall’autostrada a Galle, dove l’autostrada ahimè finisce.
Fermati, paga il pedaggio, sì sì devi proseguire diritto perchè se prendi la seconda uscita rientri in autostrada....
Percorriamo alla sconvolgente velocità dei trenta all’ora la strada che costeggia il mare e che dovrebbe (DOVREBBE) portarci nel sud profondo sud.
Frena, richiama casa, riparte, frena, riparte.
Non possiamo reggere oltre.
Vuoi muoverti per favore o dobbiamo scendere a pigliarti a calci?
Si muove e arrivato a circa 6 kilometri dal punto X inchioda.
Adesso che c’è???
Si gira e con lo sguardo che solo un imberbe tonto può avere ci comunica che il contachilometri dice 115 km e che la cifra pattuita copre quella distanza, oltre dovremmo pagare un sovrapprezzo.
Abbello, ma che ci credi tonti solo perchè siamo dei bianchi????
Al tuo attivo hai nell’ordine:
  • aria condizionata in sovrapprezzo
  • frena e riparti gratis
  • una cinghia rotta che erano “solo” pezzi di strada
  • un cambio in itinere del prezzo quando già sai che dobbiamo arrivare a casa
Ti spieghiamo fermamente che già balli nel manico ( e per chi non conosce l’espressione traduco: hai esagerato nel volerci fottere più soldi, sei già sul badile ovvero pronto per essere eiettato a mille kilometri di distanza tu e la tua cinghia preistorica).
Quindi: non ti meriti i soldi che ci hai già chiesto, se non ci porti a casa smontiamo immediatamente, non vedi una lira, anzi una rupia, e te ne torni a casa con la tua cinghia avvolta al collo.
Dopo frena e riparti mille volte (e spiegarti che ogni volta rischi di non ripartire più), ripartiamo e ci avviciniamo ai venti all’ora al profondo sud.
Improvvisamente inchioda ancora.
Ancora una discussione sul prezzo.
Ancora???
Tesoro (eufemisticamente parlando) ti abbiamo già spiegato come funziona.
Richiami casa e ci chiedi se puoi fare una deviazione nell’interno per un’officina dove in cinque minuti (CINQUE!! AHAHAHA TROPPO DIVERTENTE) ti risolvono il problema.
Forse non ci siamo capiti bene: tu porti il pacco (noi) a casa e poi ti fermi in tutte le officine dello Sri Lanka, ma TU ci riporti a casa.
Morale: frena e riparti (e non dire che ti avevamo avvisato), contrattazioni becere del prezzo, la macchina non riparte più.
Do you know “goccia che fa traboccare il vaso”??? (traduzione: capisci goccia che fa traboccare il vaso?). Bene, noi smontiamo e procediamo con un tuk tuk.
Siamo ormai vicini, non ti sopportiamo più da parecchi kilometri addietro e soprattutto siamo a posto così. Ti abbiamo pagato la benzina ( e già questo è sconveniente visto che di mestiere fai l’autista e dovresti essere a pieno regime) e ti levi dagli zebedei.
Avvistiamo un tuk tuk, lo fermiamo, contrattiamo il prezzo e ti molliamo sul ciglio della strada, tu, la tua preziosa aria condizionata, il tuo prezzo ritrattato, la tua cinghia che ormai pare la dentiera di tua nonna e buonanotte.
Minaccia di chiamare la polizia, l’esercito, ET, ma abbiamo tutti dalla nostra parte.
L’autista di tuktuk (e ha il suo interesse!), la donnina che vende i cocchi per strada e ovviamente noi che siamo esasperati.
Saliamo sul tuktuk diretti alla stazione di Matara per recuperare lo scooter e ci diciamo: beh, dopo questa non manca più nulla. Anzi no, manca la pioggia, ma c’è un sole che spacca le pietre...
Mai parole furono più profetiche.
Il tempo di recuperare lo scooter, infilarsi il casco e ripartire finalmente verso casa, quando la nuvola di fantozzi (che si sa è internazionale) molla uno scroscio d’acqua che a noi ( A NOI) ce fa un baffo.
E così ci ritroviamo sotto l’acqua ridendo.
Perchè alla fine tutto si conclude con una grassa grossa risata.
L’acqua lava, l’acqua purifica e poi.....ci si asciuga.
Così il giorno dopo, di fronte ad un’alba sconvolgente, dopo un sonno ristoratore, di fronte ad una tazza di caffè a guardare il nostro lago e le aquile, i corvi, le scimmie, i nostri cani che paiono sorridere pure loro, ci sentiamo dei sopravvissuti.
Ma non alle sfighe.
Al male di vivere.
Perchè la vita è anche questa.



martedì 1 ottobre 2013

Vita attraverso immagini

Matara, giorno di Poya (luna piena).
Le strade si affollano, tutti vogliono vedere la parata dei danzatori in costume tradizionale, la statua del Buddha portata a spalla, gli elefanti bardati con luci e drappi decorati.
Questo enorme circo luminoso attraversa la strada principale della città chiusa al traffico fino al tempio più importante, dove cominciano le preghiere e gli incensi bruciano costantemente tutti i giorni, ma stasera di più.


La folla e la città bardata a festa














tra la folla appare l'elefante















appare nel buio come una carovana spettrale














l'occhio tradisce paura o indifferenza o stanchezza
o forse tutte e tre insieme
ma lui è la star, l'attrazione della serata
ciondola ubbidiente tra voci urlanti e sguardi insistenti
forse in quell'occhio c'è solo rassegnazione e il vago ricordo di una foresta 








ma una cosa la posso fare - avrà pensato - una cosa per la quale nessuno può dirmi nulla se non pulire e in fretta: la pipì...












tanta polizia, come sempre



sacro e profano
questa sera vanno a braccetto
ma cosa sia  sacro e cosa sia profano è una questione molto personale




Equazioni


Non fa una piega.
Si festeggia quando la luna è piena e dal momento che questo avviene una volta al mese, ogni mese dell’anno, va da sè che si festeggia almeno (sottolineo ALMENO) una volta al mese per dodici mesi in un anno.
Ovviamente questo non esclude altre importanti e irrinunciabili feste quali: il compleanno del Buddha, il capodanno buddhista, la fine del Ramadam, il giorno dell’indipendenza.
Insomma, per non farsi mancare nulla, la settimana lavorativa qui in Sri Lanka, dove la tradizione è ancora forte e poco risente del ritmo metropolitano di Colombo, si traduce così:
il lunedì tutti al lavoro, il martedì qualcuno si riposa, il mercoledì essendo in mezzo alla settimana richiede una pausa di riflessione, il giovedì è un pre-pre festivo quindi qualcosa da preparare c’è sempre, il venerdì è pre festivo e non si tocca, sabato è festa e ci si riposa, domenica è pur sempre domenica e la si dedica ai pic nic con la famiglia sulla spiaggia perchè poi il lunedì si ricomincia a lavorare.
Totale giorni lavorati: uno.
Questo accade nelle settimane cosiddette normali; la settimana in cui si festeggia la luna piena (la Poya) le cose sono un pochino diverse.
Faccio l’esempio della recente poya di settembre che è caduta di giovedì.
Lunedì si lavora ma non tutto il giorno che è una settimana impegnativa, martedì càspita ci avviciniamo ai festeggiamenti e quindi ci si dedica alle provviste e ai festoni da mettere in strada e vicino ai templi, mercoledì ci si riposa perchè è un super pre festivo, giovedì è il gran giorno e si balla si mangia si canta si prega fino a notte fatta, venerdì è prefestivo (eh beh, non è che la poya abbia eliminato il sabato), sabato è festa e poi ci sono ancora i residui della poya da smaltire, domenica è l’ultimo giorno di relax e mica si rinuncia al pic nic con la famiglia.
Totale giorni lavorati: mezzo.
Insomma, qui non ci si ammazza proprio di fatica e devo dire che le cose funzionano ugualmente con ritmi un poco diversi.
Il risultato è che il concetto di stress è qualcosa di totalmente astratto.
Dopo diversi mesi immersi in questa atmosfera a dir la verità un po’ narcotizzante e soporifera, ti viene spontaneo chiederti com’era prima, in Europa, a vivere di corsa con quella cosa...come si chiamava??? ah, sì, lo stressssss.
Ovviamente come in tutte le cose esiste un rovescio della medaglia che però, tutto sommato, non è così terribile.
La gente raramente si lascia andare a episodi di isterismo, si mette le mani addosso, si insulta con la bava alla bocca o blocca il traffico per sputarsi addosso veleno perchè la freccia non l’hai messa-sì l’ho messa ma tu non l’hai vista - tua sorella tua mamma - ti spacco....etc etc.
La flemma con cui si muovono e affrontano ogni cosa agli inizi può risultare irritante.
Quando si atterra a Colombo con il nostro ben carburato passo occidentale e bisogna aspettare dai venti ai quaranta minuti che il tassista prenotato in aeroporto prenda il foglietto con indicata la destinazione, lo legga, ci rifletta, recuperi la macchina, trovi le chiavi, sistemi i bagagli, metta in moto e parta, potreste essere facilmente colpiti da un tic nervoso all’occhio destro e da un inizio di balbettìo inacidito.
Spesso ci si può trovare al supermercato alla cassa con una sola persona davanti che deve pagare un kilo di riso e due patate con la carta di credito.
Secondo voi quanto tempo ci impiegate a raggiungere l’uscita dopo aver ovviamente pagato?
All’inizio pensate che fortuna, una sola persona davanti a me.
Poi dopo quasi quindici minuti a non capire cosa ci vuole a strisciare una benedetta carta di credito nell’apposito marchingegno e schiacciare il pulsantino verde, cominciate con il set dei tic nervosi. Ma resistete, non cambiate cassa, tanto è questione di un attimo, adesso ce la farà.
All’ennesimo fallimentare tentativo appare come un’entità superiore il “controllore”.
In genere è molto serio, arriva con l’aria di chi ha cose più importanti da fare che non risolvere le incompetenze dei suoi sottomessi. Si avvicina alla tremante cassiera e senza parlare digita due o tre codici, striscia di nuovo la carta del malcapitato e se ne va con aria di sufficienza, senza nemmeno aspettare il risultato poichè è evidente che ha già risolto tutto.
Ma lo sguardo disperato della cassiera di fronte al fallimento del superiore, ci fa capire che forse se cambiamo cassa è meglio per tutti.
Nel frattempo il simpatico gelatino che avevate deciso di mangiarvi o la bibita ghiacciata che avete scelto con cura e che state disperatamente cercando di pagare, sono diventati brodo.
Nessun problema, un addetto provvederà a cambiarveli prontamente con un cenno che sta per: riprova, sarai più fortunato.
Quando finalmente, sull’orlo di una crisi nervosa, la cassiera batte il tuo conto e paghi, ecco il jolly nella manica: non ha il resto. Cioè una cassiera del supermercato più frequentato da turisti e non, ha finito gli spicci, non ha moneta, non ha pezzi piccoli, non ti molla, sei prigioniero e vorresti non essere mai nato per non essere mai entrato in quel supermercato. Ennesimo cambio gelato e bibita, nel frattempo la cassiera sparisce (forse è scappata?) per riapparire con gli spicci (rubati dalla cassetta per le beneficenze?).
Grazie, torni ancora! Sì, buonanotte...
Bisogna armarsi di tanta pazienza e soprattutto non prendersela.
Se non si è disposti a lasciarsi andare, a mollare il ritmo chè tanto arrabbiarsi non serve a nulla anzi li rallenta ancora di più, allora tanto vale tornare a casa e salvarsi il fegato.
La totale mancanza di lungimiranza che caratterizza questo popolo e forse tanti orientali si presenta quotidianamente dalle piccole alle grandi cose.
Del resto, in questo caso, un popolo che ha vissuto una guerra civile durata vent’anni e uno tsunami catastrofico, per naturale tendenza non pensa al domani ma si concentra sul presente.
Il problema è che a volte il presente non va oltre l’ora.
Esempio: fare il bollino blu al motorino (eh sì, si viaggia dietro a camion che ti trasformano nell’uomo nero ma se ti fermano e non hai il bollino blu dell’automezzo che guidi son grane. Il bollino blu in realtà non si chiama così, è semplicemente un certificato che attesta il grado di inquinamento del veicolo. Non hanno ancora trovato un nome a questo documento e per il momento lo chiamano permesso di guida, da non confondersi con la patente che però si chiama allo stesso modo. Va beh, dettagli).
Si va quindi nell’apposito ufficio già dotati di fotocopia del libretto e la signora dietro allo sportello richiede l’originale. L’originale è rimasto a casa, ma essendo questa una fotocopia non va bene lo stesso? no. Non va bene. Vuole l’originale.
Si ritorna il giorno dopo con l’originale. La signora lo guarda, lo passa alla collega che lo guarda. Poi lo ripassa alla prima signora che dice: mi serve una fotocopia.
Ovvio. Ma è quella che ho cercato di consegnarle ieri.
Ieri? Domani? oggi è oggi e mi serve una fotocopia.
Magia, la fotocopia è nella borsa, eccola qui.
E restituisce l’originale. Ma questo allora non le serve?
No, dice candidamente e si prende la fotocopia che è la stessa del giorno prima, solo che oggi è oggi.
Una cosa però va detta: dove c’è organizzazione organizzata (e intendo ufficio, registri, ammenicoli vari che vanno dal computer al registratore di cassa) allora sappiatelo c’è il caos. Come dire: dove si tenta di incasellare tutto all’occidentale qui ci rimangono dentro (qui....a volte non solo qui...).
Il massimo dell’efficienza e della rapidità noi l’abbiamo trovata:
  • dal verduraio che in quattro e quattr’otto vi prepara il conto scritto a matita sul fogliettino di carta e ha sempre il resto. Se manca, il garzone attraversa la strada, cambia i soldi e il tempo di un sorriso voi siete liberi
  • dal pescatore che vi vende il pesce dopo una sana e appropriata contrattazione, ve lo fa pulire se lo desiderate e nel modo che desiderate, vi regala anche i resti per i cagnolini e ha sempre il resto a disposizione, oltre che una doppia borsa di sicurezza per evitare di arrivare a casa con mezzo pesce sparpagliato per strada o peggio sui vestiti
  • dal venditore ambulante di leccornie dolci e salate che dal suo carrettino materializza sacchettini di carta (ah la mancanza di plastica che meraviglia!) e spicci
L’equazione è presto fatta:
gestione=caos
semplicità=efficienza