venerdì 13 settembre 2013

God save the tuk tuk


E’ stato il mio primo impatto con l’Oriente.
Era il 2007 e uscendo dall’aeroporto di New Dehli, con la sensazione di farmi strada in un mare di miele fatto di persone e voci, salendo su un taxi giallo con la tappezzeria che odorava di incenso, li ho visti, tutti parcheggiati in fila.
Piccole noci colorate con tre ruote, baldacchini strombazzanti, caracollanti navicelle impavide, i tuk tuk.
E nei viaggi a seguire sono diventati il nostro mezzo preferito per le piccole e anche medie distanze, scoprendo l’irresistibile fascino di spostarsi a velocità ridotta e di potersi fermare ogni qualvolta l’attenzione viene rapita.
Il tuk tuk è aperto sui due lati, tutti i sorrisi e le mani e le voci di chi sta fuori sono per noi e le distanze, quelle tra le persone, si accorciano.
Si suda, l’aria condizionata è proporzionale alla velocità dell’autista: se va abbastanza lanciato in rettilineo, si gode del vento che sferza la faccia e scompiglia i capelli.
E non viene il mal di gola o il torcicollo.
Il rumore del motore è così scoppiettante e ringhioso che copre le voci e bisogna urlare forte per parlarsi come nelle gite scolastiche, in fondo al pullmino, con la musica alta e il vocio dei compagni di classe.
Scarta di lato con rapidità di fronte al sorpasso in doppia, a volte in tripla fila delle corriere che incontra: è piccolo ma non teme nulla.
Chi guida è come il capitano di una barca, solo con il suo timone, la ciurma dietro fiduciosa  a cercare ogni tanto il suo sguardo dallo specchietto retrovisore.
Salire su un tuk tuk è un’esperienza ogni volta diversa.
Perchè c’è l’autista buddista, con santini attaccati ovunque, collane di fiori freschi, piattini con offerte votive, rosari arrampicati qua e là; c’è quello muslim e lo riconosci dalle scritte arabe sulla scocca e da adesivi raffiguranti la mecca e poi c’è il tuk tuk semplicemente, in una parola, “tamarro all’ennesima potenza” ed è quello con le vetrofanie degli attori di Bollywood (filone indiano di film musicali dove tutti sorridono danzano ogni minuto, si consumano drammoni amorosi e si indossano abiti da mille e una notte), il tappetino di pelliccia sintetica che ricopre il cruscotto e le luci da albero di Natale che lo illuminano come una nave da crociera.
I tuk tuk non sono mai anonimi anche quando lo sembrano. 
I gadgets e gli accessori che possono essere installati su questi piccoli capolavori non hanno limite al gusto per il non gusto. Lame e punte rotanti installate sulle ruote che danno sull’interno della strada, sedile posteriore plasticato, stereo potentissimo in grado di sventrare il mezzo alzando semplicemente il volume (che generalmente è al massimo), clacson da corriera o ambulanza, insomma un concentrato di circo ambulante.
Ognuno si ingegna come può e il risultato è sempre stupefacente.
Si viaggia lenti ma con la sensazione di andare fortissimo e il rischio è quasi sempre pari a zero.
Qualunque sia il tuo carico di bagagli l’autista sistemerà con cura e perizia ogni zaino, trolley, borsa e te compreso senza problemi, incastrando tutto (persone incluse) con rapidità e professionalità.
I tuktukkari generalmente hanno un cugino o un caro amico da proporvi che possiede un ristorante o un albergo o un safari organizzato o un negozio di stoffe, gemme e altre amenità che sembrano sempre un affare da non lasciarsi scappare.
In realtà questo è un modo per ottenere una commissione ogni volta che raggiungono l’obiettivo, ovvero portarti dove vogliono loro.
In Thailandia questo fenomeno è molto più accentuato, così come in India; qui in Sri Lanka lo abbiamo riscontrato molto all’uscita delle stazioni ferroviarie o in grandi città come Colombo e Galle, ma qui nel sud gli autisti sono più discreti.
L’importante è sapere sempre dove si vuole andare e non deviare mai il proprio percorso, essere fermi e decisi declinando l’invito a fare una sosta nel tal posto e solo in caso di estrema insistenza chiedere di fermare il tuk tuk per scendere e cercarne un altro. Di solito a questo punto anche il più insistente dei procacciatori desisterà per non perdere almeno le rupie del trasporto.
Il prezzo della corsa va trattato sempre e comunque, perchè il primo prezzo è generalmente molto molto lontano dal reale e se il prezzo rimane alto, girare i tacchi salutando e andarsene. Nel 90 per cento dei casi sarà l’autista a seguirvi e accettare la vostra offerta.
Diverso è il discorso per i meter tuk tuk, ovvero quelli che hanno installato il tassametro; fiduciosi di pagare il giusto, si finisce spesso a constatare che casualmente durante la corsa si è rotto oppure l’autista ha dimenticato accidentalmente di accenderlo.....
Esiste infine il tuk tuk di tendenza, quello no limits che blocca il traffico per fare evoluzioni a centro strada su una ruota, piroettando sfidando le leggi della fisica e attentando ogni volta alla vita degli spettatori divertiti.
La banda dei tuk tuk show si riconosce dalle pinne di squalo sul tettuccio (una o tre pinne sono indicative del livello di bravura dell’autista), dalle condizioni impeccabili della carrozzeria (sembrano appena usciti da un autolavaggio) e dalla musica a tutto volume che esce dalla cabina.
Ma i tempi stanno cambiando e molto velocemente.
Auto sfacciatamente copiate dalle marche più in voga in Europa circolano titubanti su strade dove fino a un paio di anni fa incontravi solo tuo tuk, mucche, biciclette, motociclette e bus.
A Colombo i ricchi singalesi si regalano auto originali di grandi case automobilistiche e le ostentano impacciati ai semafori dove gli ultimi barboni siedono stanchi e disillusi, perchè tanto per loro non è cambiato nulla o quasi.
E fa quasi male vedere perdersi nel tempo la vera essenza di un popolo perchè la progressiva diminuzione dell'utilizzo dei tuk tuk è solo il sintomo di qualcosa di più subdolo e più profondo che sta coinvolgendo non solo lo Sri Lanka, ma molte altre terre che stanno vendendo la propria purezza in cambio del denaro.
Ed è così che ci si ritrova a cercare di correre più forte di questa "malattia" e di arrivare in posti dove la malattia ancora non è arrivata, fino a quando saranno finiti i posti.
E allora sarà un'altra storia.