venerdì 18 gennaio 2013

Preparazione per un nuovo Viaggio

Torniamo dallo Sri Lanka il 7 di febbraio 2012 e atterriamo a Malpensa in una gelida sera, quando ancora la città brulica di traffico.
Dai finestrini dell'aereo osservo con sconforto i cumuli di neve ai bordi della pista e rabbrividisco pensando che questa è la realtà che ci aspetta. 
Stare lontani anche solo per un mese insegna quanto è duro ritornare e quanto sarebbe perfetto non tornare più, ma ancora non è tempo di abbandonare il freddo che ci aspetta.
L'abbronzatura e i tratti rilassati del viso sono effimeri, tempo quindici giorni e tutto rientra, ma ciò che rimane nell'anima avrà tempo di crescere e di fortificarsi per non andarsene mai più.
I viaggi sono arricchimento per gli occhi e per la mente e aiutano ad affrontare quello che di brutto la vita ci presenta ogni giorno.
I viaggi sono il più duraturo investimento che si può fare, costano soldi e fatica ma sanno ripagare con gli interessi e soprattutto con una moneta che non ha eguali.
La naturale tendenza al viaggio e alla ricerca di cose non conosciute immagino sia una caratteristica dell'uomo curioso, che non si ferma di fronte ad un ostacolo ma che fa dell'ostacolo un motivo per andare oltre.
Il nostro pianeta è così vasto e così piccolo insieme che non credo sia possibile riuscire a passare un'intera esistenza nell'indifferenza di quello che c'è oltre la nostra porta di casa.
Riuscire con sacrificio a varcare quella soglia è una grande fortuna e un atto che noi dobbiamo principalmente a noi stessi e alla natura che, senza che noi lo avessimo chiesto, riesce a sorprenderci dall'infinitamente piccolo all'incredibilmente grande.
Ed è un misterioso meccanismo che funziona dall'alba dei tempi, quando ancora l'uomo non esisteva, un meccanismo perfetto, con tempi e regole spesso a noi sconosciute, un meccanismo prezioso quanto è preziosa e misteriosa la vita.
Spesso dimentichiamo il rispetto che è doveroso verso la natura e le sue manifestazioni, convinti come siamo di poter governare e controllare ogni cosa. Spesso dimentichiamo il rispetto verso i nostri simili.
La natura pare dormire e nel suo sonno sottomettersi ma prima o poi presenta il conto nei confronti del quale  noi non abbiamo alcun potere.
Vedere con i propri occhi la bellezza e temere di non ritrovarla uguale negli anni a venire a causa di azioni sconsiderate da parte dell'uomo è frustrante.
E' come avere un timer a orologeria e correre per riuscire a vedere cose che immancabilmente saranno diverse o non esisteranno più, prima che il timer scatti.
L'uomo alla fine è progredito per distruggere non per valorizzare o preservare.
E' per questo che desideriamo viaggiare ancora e tanto e spesso per riuscire a cogliere quel barlume di genuinità, dove ancora esiste, prima che tutto sia distrutto o umanizzato.
A distanza di un anno siamo qui, a riprogrammare il Viaggio.
E' il 18 gennaio 2013 e l'anno che è trascorso si è chiuso con amici che se ne sono andati, intraprendendo ognuno a suo modo un personale viaggio senza ritorno.
Qualcuno lo ha fatto suo malgrado, qualcuno con la consapevolezza a volte mal celata di non riassaporare più momenti che se ne sono andati e non si ripeteranno.
Siamo alla vigilia di una nuova partenza, sentiamo il vestito pesante come un involucro ormai giunto al termine del suo ciclo di vita e siamo pronti a scrollarcelo di dosso per rivedere ancora le ali e spiegarle forti e desiderose di volare.
Butteremo pochi indumenti nello zaino, i taccuini per fermare ogni attimo e le macchine fotografiche per cercare di acchiappare quegli attimi.
Abbiamo un aereo che parte di sera, nelle lunghe ore della notte attraverseremo terre e mari e quando il sole sorgerà, sarà un sole nuovo e noi saremo già lontani.


mercoledì 2 gennaio 2013

Countdown a Colombo

Per tornare da un viaggio in Oriente occorre prima di tutto gradualità.
Il passaggio dalla semplicità di cose e di anime alla complessità del tutto richiede una fase di transizione, una specie di limbo, affinchè il salto non sia troppo violento e il cuore non abbia troppo a che risentirne.
Hotel Colombo a Colombo è quello che si può definire un limbo.
Complessità di tutto in terra semplice, quel tanto che basta a farti sentire già la nostalgia di ciò che lasci pur non avendola ancora del tutto lasciata.
Le grandi metropoli in terre asiatiche si riservano sempre il lusso di concentrare brutture e paradossi ingannando i forestieri.
Capisco chi mi dice dopo un breve soggiorno a Dehli che non ha amato l'India, lo capisco perchè l'India mica l'ha vista. E' un po' come dire non mi piace il pesce dopo aver mangiato del tonno in scatola.
Ecco, Colombo è il tonno in scatola.
A filetti, in trancio, condito con olio extravergine di oliva, ma rimane tonno in scatola.
L'Hilton sorge nel quadrato proibito, dove ogni 100 metri una garitta militare ti costringe a scendere dal marciapiede e camminare con il fiato sospeso sull'asfalto della strada vedendo con la coda dell'occhio le canne dei fucili puntate addosso, dove a destra puoi andare ma a sinistra la strada è chiusa perchè c'è il quartier generale del sovrano, dove uscire dall'albergo significa prendere per forza un tuk tuk perchè la frotta di malintenzionati borseggiatori traffichini furfanti che staziona davanti agli hotel non ti darebbe pace.
L'albergo è immenso, la nostra stanza si affaccia direttamente sul cortile interno dove un lago colmo di pesci uccelli tartarughe e fiori ci separa dalla piscina. Siamo al sesto piano, il panorama è notevole, il mare alla nostra destra aumenta la nostalgia, ma non è lo stesso mare allegro burbero e di carattere. Questo sembra domato dalla città, è spento, silenzioso, c'è. E basta.
La stanza è confortevole, connessione a internet, bagno grande, salottino fronte vetrata e al mattino ci aspetta una colazione da perderci le ore per riuscire ad assaggiare tutto.
Muoviamo qualche passo sul lungomare che pare abitato solo dai gabbiani.
Postazioni militari nascoste tra dune di sabbia e baretti semichiusi lo fanno apparire un luogo dimenticato dalla gente.
Il traffico è tutto all'interno, nelle strade percorse da taxi tuctuc motorini.
Siamo in zona ambasciate e ci spieghiamo il dispiego spesso imbarazzante di forze militari.
Una lancia a pochi metri dalla riva pattuglia il tratto costiero e dalla finestra della camera è severamente proibito scattare foto.
Ci avventuriamo in alcuni centri commerciali, ci perdiamo in un quartiere mussulmano dove un vecchio dallo sguardo cattivo ci fa segno di tagliarci la gola, attraversiamo un ponticello dove il lago sottostante è pieno di pellicani e corvi, torniamo in camera.
Scopriamo il pub dell'albergo come un buon rifugio per la sera; un paio di birre e di whisky, qualche stuzzichino gustoso e soprattutto le nostre chiacchiere.
La hall dell'Hilton è smisurata, in particolare la zona relax comprende una tea room superlativa con i migliori tea dello Sri Lanka e tanto di storia per ognuno.
Un pomeriggio decidiamo di degustarne qualcuno per poi farne incetta per il rientro.
Ci facciamo incuriosire dal Soushong che presenta un profumo e un sapore torbati, un tea nero molto particolare che ci viene servito davanti al lago di carpe koi.
Dalla lista che ci viene mostrata cominciamo a fare una scelta di quelli che poi porteremo a casa e scopriamo che alcuni, oltre ad essere particolarmente pregiati, sono rarissimi e non sempre sono disponibili.
Hai finito la tua tazza e sali un attimo in camera così io rimango sola a raccogliere le idee, i pensieri e le emozioni di questo mese speciale che sta per terminare.
Mi alzo, mi avvicino al ragazzo in livrea che ci ha serviti e chiedo gentilmente di mettere la consumazione sul conto della nostra camera.
Lui mi guarda sorridendo: "no madame, I cant. This is my courtesy...."
Rimango senza parole, balbetto qualcosa poi guardo la targhetta appuntata alla divisa e leggo il suo nome: Chamil.
Questo gesto non è una semplice cortesia. Le grandi catene alberghiere come l'Hilton hanno molto personale che vi lavora come si lavorerebbe in una grande azienda. Non è contemplato che qualcuno possa di sua iniziativa omaggiare o prendersi libertà di alcun tipo.
Ma Chamil è andato oltre quella targhetta che sotto al logo Hilton riporta il suo nome.
Chamil è stato galante e si è prodigato affinchè in due giorni potessero arrivare tutte le miscele che abbiamo ordinato, comprese quelle rare che risultavano introvabili.
E' sufficiente una singola persona a fare di un luogo un posto speciale, anche qui a Colombo, anche qui in un hotel a cinque stelle dove sei solo un cliente che arriva consuma e se ne va.
Lasciamo Colombo nella notte affidandoci ad un auto dell'Hilton molto silenziosa e confortevole.
Percorriamo strade secondarie, attraversiamo quartieri dove madonne illuminate a giorno sorgono vicino a riproduzioni in scala di templi buddhisti, arriviamo infine in aeroporto dove la penombra e il silenzio fanno supporre sia appena stato abbandonato.
Ormai è fatta, tra poco ci imbarcheremo, giusto uno scalo a Dehli per prolungare di qualche ora l'atterraggio in Italia.
Sgraniamo il nostro rosario di ricordi ancora caldo.
Arrivederci Sri Lanka.

In viaggio per Colombo

La sindrome da rientro che ormai respira dentro di noi è come il tempo: inesorabile.
Manca una settimana al nostro imbarco e dobbiamo risalire a Colombo lasciandoci alle spalle Galle e tutto il resto. Ci chiediamo se un viaggio in treno possa servire a mitigare questo "autunno" che ci opprime nonostante noi continuiamo a far finta di nulla e le goccioline di sudore ricamano le nostre magliette.
Scopriamo con delusione che tutta la linea ferroviaria da Galle verso Colombo è interrotta per rifacimento binari. Perfetto, non si può lasciare Galle...magari fosse così.
Questo rimarrà un buon motivo per ritornare in Sri Lanka, dove non essere riusciti a prendere un treno è come non averne assaporato una porzione.
I bus sono numerosi e si può scegliere con leggere differenze di prezzo tra quelli ultra moderni dotati di tendine con il pizzo e aria climatizzata e quelli vecchio stile con tendine in plastica , quando ci sono, e niente aria climatizzata.
La nostra scelta cade su una via di mezzo ma principalmente ci interessa l'orario, che non sia all'alba per intenderci ma nemmeno nel pieno del pomeriggio assolato.
Perchè l'autunno è solo nell'anima, fuori il termometro segna 30-35 gradi e anche i varani a Galle sudano.
Salutiamo i bastioni, i bambini, i militari, i cani, i venditori notturni fantasma, le murene, le terrazze, i corvi, i cobra e il loro incantatore, le scolopendre azzurre e le scimmie dorate.
Qui a Galle lasciamo un altro pezzo di cuore.
E' come se il viaggio fosse già finito - mi dici sconsolato.
Abbiamo cinque giorni da passare nella capitale, per organizzare le nostre foto, fare qualche passeggiata e prepararci al rientro. Una camera di decompressione al contrario, diversamente da quando siamo arrivati un mese fa.
All'andata decomprimere il brutto, al ritorno prepararsi ad affrontarlo di nuovo, ma più ricchi dentro.
E questa ricchezza che sentiamo esploderci dentro tanto da non sapere dove metterla una volta atterrati a Milano tra neve e terremoti, decide di non abbandonarci così, alla vigilia, ma di crescere ancora, legandoci un po' di più a questa terra.
Prendiamo posto sull'autobus sedendoci dietro per poter stivare i nostri zaini senza creare disturbo a nessuno. 
Siamo gli unici stranieri e i pochi singalesi salgono guardandoci incuriositi; con puntualità incredibile si chiudono le porte e lasciamo Galle.
Il nostro abituale silenzio delle partenze è rotto solo da qualche commento a ciò che passa dal finestrino.
La costa ovest è bizzarra, intervallata da distese immense deserte e da agglomerati di resort, alberghi, negozi, bettole dove turisti accaldati e bruciati dal sole girano come formiche in un formicaio.
Lo Sri Lanka è una lacrima dalle mille sfaccettature e vedendo quanto è diverso l'ovest mi perdo in pensieri nostalgici per un est ancora quasi immacolato che non ci è stato possibile visitare.
L'autobus procede veloce nei tratti fuori dai centri abitati, rallentando e spesso fermandosi quando entra nei formicai; è un viaggio per un bel tratto a singhiozzo ma non ho fretta di arrivare, vorrei metterci tutto il tempo del mondo.
A metà corridoio un muso a punta con due spilli al posto degli occhi fa capolino dallo schienale.
E' una bambina singalese in viaggio con la mamma e il fratellino più piccolo.
Avrà dieci anni ma ne dimostra qualcuno in meno; è minuta e sottile come un noodle, i capelli lunghi e neri le arrivano a metà schiena e le sue mani lunghe e affusolate danno l'idea di potersi spezzare da un momento all'altro. Sbircia curiosa in ginocchio sul suo sedile e la madre si gira a guardarci sorridendo, quasi scusandosi di tanto interesse. Dobbiamo sembrare due esseri molto strani, con i nostri tatuaggi e i nostri impianti sotto pelle. Le sorridiamo e quando i nostri sguardi si incrociano, si nasconde timida e divertita insieme.
Affronta la sua paura e si mette nel corridoio, sobbalzando di tanto in tanto alle manovre brusche dell'autobus; ci fissa ormai senza timore e noi chiediamo alla madre se possiamo scattare qualche foto con lei. Il ghiaccio è rotto, la piccola ride e guarda sua madre con gioia, si sente importante, si sente bella.
Torniamo ai nostri sedili ma le chiediamo se vuole sedersi con noi per il viaggio. La madre le fa cenno di andare e dopo poco si alza per portarci tre arance succose da consumare insieme.
Erano le loro arance, per il loro viaggio e ce le ha cedute senza esitazione.
Non parla, probabilmente conosce solo il singalese così ci adoperiamo per comunicare a gesti.
Peserà meno del mio zaino, è educata, si muove con grazia e ogni tanto si ferma a fissare ora il mio braccio ora il tuo. Poi punta gli spilli nei miei occhi ed è come se parlasse.
E' grata, è emozionata, è incuriosita, è felice, anche lei come noi vorrebbe che quel viaggio in autobus non finisse mai.
I formicai sulla strada cominciano a diradare così la corsa dell'autobus diventa più dolce e meno intermittente, la piccola sbadiglia, appoggia la testa alla mia spalla e si addormenta.
Quasi non respiro, quasi non mi muovo, vedo di abbracciarla per contenerla meglio, per evitare che un improvviso sobbalzo la faccia svegliare e cerco con lo sguardo la madre per ringraziarla e per tranquillizzarla: è qui, è calma, si è addormentata, ci penso io.
Poi cerco il tuo, di sguardo, e non troviamo le parole e forse invece le troviamo tutte.
Troviamo il modo di dirci che tutto questo è giusto, è naturale ma che tu sei stato lontano, non l'hai abbracciata nè le hai tenuto la manina fragile tra le tue perchè da noi questo può essere male, può essere sporco, può essere innaturale; troviamo il modo di dirci che non vogliamo tornare dove questo può essere visto come male e che vogliamo stare qui, perchè qui le ferite guariscono e sono le persone a guarirti e a insegnarti che in fondo la vita è molto più semplice di quanto ci sforziamo di disegnarla; troviamo il modo di commuoverci perchè disabituati a gesti di pura empatia umana che ci arrivano addosso con la potenza di un vuoto d'aria perchè ci manca il fiato e non possiamo respirare forte, perchè magari si sveglia e finisce questa magia; troviamo il modo di dirci che non dobbiamo dimenticare, quando saremo di nuovo nell'oblìo, della dolcezza di una bimba e di sua madre e di zio tibia e della palletta gialla e del guardiano con il machete e della zuppa della sorella di Sunetra e della visione del fantasma venditore di Galle e via e via, come nella filastrocca di Samarcanda.
Tante perle da tenere attaccate una all'altra, un rosario da sgranare nei momenti in cui ci sembrerà di avere sognato e invece sono tutti qui, li tocchiamo, sono esistiti e ce li portiamo appresso.
Inesorabilmente passano le ore e siamo alle porte di Colombo.
L'autobus nel frattempo si è riempito ma rimaniamo gli unici occidentali.
Una coppia mussulmana ha preso posto accanto a noi e le urla del neonato avvolto nel telo color ruggine hanno svegliato la nostra piccina. Ha alzato lo sguardo verso di me e si è messa a ridere un po' imbarazzata, non si è accorta del tempo che è volato e che si è addormentata. Si alza e vola tra le braccia della madre, parla fitto fitto con lei, forse le sta raccontando di tutte le cose strane che ha visto. Le foto dentro la macchina fotografica, i disegni sulla pelle, il nostro strano modo di parlare.
Dentro allo zaino ho ancora una scatola di pastelli a cera che avevamo comprato nella nostra cartoleria di fiducia a Galle, quando volevi disegnare qualcosa.
Portaglieli - mi dici in un soffio. E quando mi avvicino chiedendo a sua madre se potevo regalare i pastelli alla piccola, incrocio di nuovo il suo sguardo a spillo. Con quelle mani di cristallo prende delicatamente la scatolina di cartone e sorride. Il viaggio ormai sta per finire, per entrambi, e gli spilli mi sembrano più piccoli.
Non sappiamo dove scendere, chiediamo al signore mussulmano di fianco a noi e ci rassicura dicendo che conosce la fermata, ci avvisa quando siamo vicini.
La piccina scende appena prima, la vediamo farsi strada nel corridoio ormai affollato e prima di scendere volge gli spilli. Ciao piccolina, buona fortuna.
L'autobus si ferma esattamente davanti al nostro albergo, l'Hilton Colombo.