lunedì 17 dicembre 2012

Ritorno a Marakollya Beach

Il tuk tuk procede sobbalzando sulla strada sterrata, un varano ci attraversa lesto il cammino e tra i rami i cinguettii striduli ci danno il bentornato.
Superiamo la distesa paludosa dove i cormorani stanno appollaiati su rami secchi e contorti e subito dopo la curva incontriamo Mr Laxsman. Il tuk tuk rallenta e lui ci riconosce subito, sorridendo ci stringe le mani "my friends, how are you" e la maschera rigorosa e altezzosa cade lasciando trasparire una sorpresa sincera nel rivederci.
Gli chiediamo se ha una cabana disponibile per qualche notte e lui ci fa cenno di precederlo.
Mentre ci allontaniamo mi volto per osservare il suo passo lento e pacato, lo sguardo che si perde tra i rami e la strada, penso che si sta recando al lavoro e vuole godersi ancora qualche attimo di libertà nel silenzio della natura.
Congediamo il nostro autista e appoggiamo gli zaini sotto alla grande tettoia di legno riassaporando ancora una volta ma come se fosse sempre la prima, il bagliore abbacinante della luce riflessa sulla spiaggia e il blu del mare. Ci sentiamo a casa, ci sentiamo un po' proprietari di questo angolo di paradiso e attendiamo con ansia Mr Laxsman.
C'è una cabana libera per tre notti e la prendiamo al volo. Felici.
Nulla se non questo posto mi ha dato il senso di vertigine delle incredibili distanze e il piacevole senso di isolamento che ne consegue.
Rumesh è un giovane singalese spigliato e entusiasta della vita.
Lavora tutto il giorno, alla mattina riassetta la spiaggia, aiuta in cucina e si presta in piccole commissioni.
Alla sera accende le torce, brucia gli incensi votivi, gioca con i bambini di una coppia tedesca e quando Mr Laxsman si ritira arriva sorridente con gli occhi di brace con un bicchiere colmo di Arrack, il rum dello Sri Lanka, che ci porge senza volere in cambio nulla, se non due chiacchiere con noi.
Ci racconta che ha fratelli e cugini che vivono a Milano dove lavorano in rosticcerie e ristoranti ma che lui desidera rimanere qui, nella sua terra. Abita poco distante, verso l'interno, e torna a casa una volta al mese quando ha il riposo dal Mangrove.
Ci rivela che Mr Laxsman è un capo rigido e diligente ma comunque un buon capo, lo prende un po' in giro per la sua ossessione alla precisione negli orari e nella sistemazione delle cose.
La sua presenza è gioiosa e discreta, basta fargli un cenno che si precipita volando sulla sabbia ma sa capire quando desideriamo privacy e solitudine.
Una sera, finita la cena, sentiamo un cane guaire e il suo guaito insistente si trasforma in un attimo in un pianto disperato. Due aiutanti di Mr Laxsman corrono verso l'ingresso del Mangrove agitando le mani e urlando, nel buio riesco solo a vedere una palletta gialla correre forte verso la foresta.
Seduti sotto al nostro porticato riattacca il guaito e subito dopo il pianto. Tu mi guardi, io aspetto solo un tuo sguardo, che arriva. Mi alzo di corsa con la torcia in mano e mi precipito verso il buio cercando non so bene cosa, comunque una palletta gialla. Ed eccola lì, sotto ad un motorino, mimetizzata nella sabbia.
E' il cane più miniaturizzato che abbia mai visto da che sono qui. E' un microbo giallo con le fattezze di un cane adulto e con una voce così stridula e insistente che gli ha sicuramente valso la sopravvivenza fino a oggi.
Mi siedo sulle ginocchia, abbassandomi il più possibile e parlandogli dolcemente lo faccio avvicinare.
Scodinzola forte, annusa le mie mani e decide che può fidarsi.
Ti vedo da lontano, sotto la luce del portico, che stai già ridendo guardandomi mentre torcia in una mano, cane nell'altra, arrivo con un sorriso che va da orecchio a orecchio.
Piange perchè è affamato e gli diamo l'unica cosa che abbiamo a disposizione: il latte in polvere.
Arriva anche Rumesh ridendo e tutti insieme lo guardiamo divertiti mentre divora tutta quella polvere di latte che gli imbianca il tartufo e le orecchie. Lo teniamo a dormire con noi, è troppo piccolo e affamato, qualcuno meno gentile potrebbe fargli del male per farlo smettere di guaire.
Ci mettiamo a letto e lo mettiamo sul tappetino ai nostri piedi, lasciandogli la porta aperta in caso volesse uscire. Dopo qualche ora lo sento zampettare fuori e ad un certo punto mi arriva il suo pianto disperato in lontananza. Mentalmente scuoto la testa, non è possibile addomesticare uno spirito libero. Noi gli abbiamo solo tolto un po' di fame. 
I giorni passano intensi, vorremmo fermarci oltre ma Mr Laxsman ci dice dispiaciuto che è tutto prenotato.
E' giunto il momento di spostarci di nuovo e salutiamo nel mattino acerbo questo angolo di paradiso, Mr Laxsman e Rumesh.
Sul tuk tuk rimaniamo in silenzio, come spesso accade quando dobbiamo terminare di assorbire anche un'ultima goccia di un posto che stiamo lasciando.
Una nuvoletta di polvere davanti a noi fa rallentare il tuk tuk.
Il piccolo cane ci sta puntando, è uscito dai cespugli e viene correndo verso di noi, ci guarda scodinzolando.
Lo salutiamo con gli occhi lucidi e ci chiediamo increduli se davvero ci abbia riconosciuto o è stato un caso. 
Ancora oggi voglio pensare che quando mi sono voltata a guardarlo fermo, in mezzo alla strada, seduto come un cane adulto, osservandoci mentre ce ne stavamo andando, lui ci abbia riconosciuto.

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