mercoledì 8 agosto 2012

Lu Boa Hut- Koh Jum

Otto bungalow sul mare arrampicati su palafitte a ridosso della collina su cui la foresta si inerpica.
Ci arriviamo dopo mezz'ora di mototaxi...un rudimentale sidecar in ferro smaltato con sedile laterale e vano portabagagli agganciato non si sa come ad uno scooter a due tempi.
Fantastico!
Percorriamo una strada sterrata in mezzo alla foresta e incontriamo case, persone, piantagioni di alberi della gomma e le immancabili mucche.
L'ultimo tratto è sulla spiaggia, unico ingresso del Lu Boa, ultima o prima struttura del lato ovest dell'isola.
Lontani dal mondo, qui siamo proprio ai confini.
Ci viene destinata la casetta centrale che ha un porticato profondo un paio di metri che gira sui tre lati.
Ci si può accomodare sul divano imbottito e osservare il mare tra i rami o i gechi sul soffitto oppure, se è mattina, assistere alle corse sfrenate delle scimmie sui rami.
La stanza principale ha un grande letto in legno sovrastato da una zanzariera che di notte diventerà l'unica barriera certa tra noi e tutto ciò che al di fuori vola striscia o zampetta.
Lasciare il coffee mate (latte condensato) aperto seppur dentro ad un sacchetto sul comodino è garanzia di svegliarsi nella notte dal rumore sordo di scarafaggi bianchi e neri impazziti per il profumo zuccherino che cadono di schiena sul pavimento di assi di legno.
Il confine tra il dentro e il fuori qui è molto labile, direi qualcosa di astratto.
La casa infatti ha prese d'aria sui quattro lati così generose che anche una piccola scimmia, se lo decidesse, potrebbe entrare. Insomma, ci si sente molto Robinson Crusoe.
Il bagno è superbo: è una elle con il pavimento in ceramica, un vaso di coccio con il mestolo di legno è il nostro sciacquone, la doccia è tra pietre e conchiglie, lo specchio è di legno e sovrasta una mensola fatta con la corteccia di un albero e il lavabo, tondo, poggia su un grande tronco di legno.
La prima notte trascorre un poco turbolenta, i rumori cui non siamo abituati ci tengono in allerta così alle tre del mattino andiamo a turbare le passeggiate notturne di paguri e granchi frenetici.
La lunga scia della via lattea sopra di noi e la foresta buia e viva dietro di noi.
In questi posti e dentro di noi depositeremo sguardi e parole che non dimenticherò mai.
Per miscelare il caffè del mattino con il coffee mate usiamo la foderina di plastica trasparente di un pacchetto di sigarette. Facciamo bollire l'acqua con la resistenza da viaggio comprata qualche tempo prima in un grande magazzino di Candolim (India), strumento rivelatosi preziosissimo in quanto introvabile.
Koh Jum ha un'unica strada che la percorre, un'arteria di terra rossa e pietre che in pochi tratti è stata asfaltata e che corre tra le case degli isolani, spesso seduti sotto i loro porticati o a lavare bambini dentro tinozze capienti e corre tra piantagioni di alberi della gomma e ne respiri un'odore che riconosci subito tanto è particolare. 
Ogni albero ha il suo scodellino in plastica nera o bianca ad una altezza variabile da terra e gli scodellini posti più in basso mi fanno pensare che forse sono stati messi da bambini lavoratori.
Ogni tanto in mezzo al bosco si può trovare un grosso tavolo di legno sormontato da rudimentali presse in ferro brunito dove la cupola di gomma estratta dallo scodellino viene trasformata in un tappetino rettangolare dagli angoli smussati che risulterà bianco se è appena stato steso ad asciugare oppure giallo se ormai è quasi asciutto.
A volte vicino a queste presse sorge una capanna dove all'imbrunire i lavoranti si riuniscono, accendono il fuoco e aspettano una nuova giornata di lavoro. Spesso sorridono, quasi sempre se ci vedono salutano divertiti.
I bambini alla mattina sono sempre in gran tenuta: camicine bianche perfettamente stirate e inamidate e calzoncini corti impeccabili i maschietti, abitini blu al ginocchio con i bottoncini sulla schiena e i capelli raccolti a treccia o chignon le bambine. Escono dalle scuole e giocano nel nulla dei loro cortili, magari con un vecchio e paziente gatto o con i pulcini della gallina di casa. Niente wii, niente video games.
Le donne alla sera si radunano in cerchio, c'è chi rammenda, chi monda le verdure, chi semplicemente e con garbo racconta la giornata e osservandole non si può non provare una leggera invidia per la semplicità e la genuinità della loro vita.
Sì, perchè a dispetto di tutte le nostre conquiste e di tutti i nostri traguardi, non bisogna dimenticare che questi stessi risultati spesso sono le sbarre delle nostre prigioni di stress e preoccupazioni e corse affannate per riuscire a pagare quattro mura che nemmeno puoi godere perchè sei perennemente al lavoro. 
La signora rotonda che mette la benzina nel nostro motorino (il fido destriero) con una bottiglia di pepsi è la stessa che ci serve nel market dall'altro lato della strada. Prima la benzina, poi attraversiamo per acquistare i loro fantastici dolcetti fatti in casa e aspettiamo che lei riponga la bottiglia e che ci raggiunga ridendo.
La città, il centro, è costituita da una piccola e stretta strada a esse asfaltata e su cui si affacciano mini bazar, agenzie di viaggio, ristorantini e un internet point.
Lì è il punto in cui il mare fa una delle sue rientranze e finge di essere fiume.
Scorrazziamo per foreste, cave di terra, il centro del paese, il nulla e in ogni dove cartelli stridenti ci dicono ogni volta dove è arrivata la furia del mare quando è arrivato lo tsunami oppure dove si trova la via di fuga più vicina per arrivare ad un sicuro ricovero, in genere si tratta di una moschea posta su un'altura.
Impossibile rimanerne indifferenti.














particolare del bagno


il nostro ingresso





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