mercoledì 22 ottobre 2014

Andata e ritorno sul tetto di Kuala Lumpur

Il simbolo per eccellenza di Kuala Lumpur sono le Petronas, le torri gemelle costruite tra il 1995 e il 1998 e fino al 2004 le più alte del mondo.
Tanti sono i numeri che ruotano attorno alle Petronas, così tanti da far girar la testa:
- 32mila finestre
- 452 metri di altezza ciascuna
- 88 piani
- 29 ascensori per torre
- 13mila metri cubi di cemento armato di fondamenta a torre
e potrei continuare ancora per un buon numero di righe, ma a lungo andare i numeri annoiano.
A circa 172 metri da terra le torri sono unite da un ponte in acciaio e vetro che è letteralmente appoggiato alle due facciate e sostenuto da enormi tiranti di acciaio; la mancanza di una vera e propria giunzione fissa consente al ponte di adattarsi alle oscillazioni naturali delle due torri senza spezzarsi.
La pianta di ciascuna torre rimanda alla simbologia islamica, due quadrati ruotati a formare una stella inclusa in un cerchio.
Numeri e simbologia, un binomio affascinante senza dubbio.
Personalmente io le ho trovate sorprendenti.
Le Petronas ingannano.
Le vedi da sotto, pieghi il collo e l'occhio sale su su fino al pennone che svetta nel cielo e pensi che dopotutto non sembrano così alte. Gli altri grattacieli vicini, e parliamo di 30 o 40 piani di cemento, arrivano giusto a metà delle torri, eppure...ma siamo sicuri siano così alte?
Ma quando sali e ti fermi sul ponte sospeso (skybridge) a 170 metri e guardi giù, ecco lì cominci a riflettere che se gli autobus giù in strada sembrano mattoncini di lego colorati allora l'altezza è davvero importante.
Poi ti ricordi che non sei ancora in cima, anzi nemmeno a metà.
Procedi con un ascensore che è a tutti gli effetti una stanza chiusa sulle cui pareti è proiettato un finto cielo che scorre salendo di piano in piano, forse per rendere meno claustrofobica la salita; quando sul display al "ding" leggi 86 e le porte si aprono, uscendo tu vedi dai finestroni il pennone dell'altra torre proprio di fronte a te, quel pennone che forava il cielo quando lo guardavi da giù, e ecco lì, la cosa, si fa davvero seria.
I mattoncini lego sono diventati puntini che vedi giusto perchè è sera e hanno acceso i fanali; del resto le persone non le distingui più e perfino gli alberi sono macchie indistinte verdi.
Sembra di guardare un plastico che riproduce una città e nel silenzio ovattato di questa stanza ottagonale che salendo si è rimpicciolita, guardi la torre gemella proprio di fronte a te e cominci a capire che quei 452 metri sono ingannati da una struttura slanciata e aerea ma sono effettivamente reali.
Le Petronas sono sempre presenti.
Ti sposti con la metropolitana, con l'autobus, con la monorotaia, con il taxi, con il treno e ti sembra di aver percorso tanta strada, ti ritrovi in quartieri periferici di Kuala Lumpur dove le baracche e le vecchie case in legno ancora non sono state sostituite dai grattacieli.
Ma dietro alle spalle senti una presenza, ti giri, guardi all'orizzonte e loro sono là, a darti il punto di riferimento in mezzo al brulichio di una metropoli.
Le Petronas sono eleganti.
Sotto al sole cocente, con la pioggia e tra i fulmini, nella nebbia di certe mattine burrose, ti strizzano l'occhio nel loro vestito elegante, mai sgualcito, sempre perfetto.
E quando arriva la sera si illuminano discretamente, con la classe che hanno certe donne veramente belle, consapevoli che non hanno bisogno di trucchi e inganni per fare colpo.
E non ti stanchi mai di guardarle, respiri il futuro, avverti la potenza mentale dell'uomo che le ha progettate.
Certe sere io le guardo, chiudo gli occhi e mi sento un po' in Metropolis, un po' in Blade Runner, poi riapro gli occhi e mi dico semplicemente che sono fortunata ad averle per un po' di fronte a me.
Salire sulle Petronas è molto più semplice di quanto pensassi.
All'interno di una delle torri, al piano interrato, c'è la biglietteria e un comodo display ti mostra gli orari delle visite e i biglietti rimasti a disposizione per la giornata in corso.
Non è possibile acquistare biglietti per il giorno successivo.
Il costo è di circa 20 euro a persona, occorre arrivare almeno con una decina di minuti di anticipo.
Noi abbiamo scelto l'ora del tramonto ed è stata un'ottima scelta, le luci della città e delle torri sono molto suggestive.
La visita è rigorosamente guidata e con tempi prestabiliti ma devo dire che i tempi pensati per ogni momento (il ponte sospeso e l'ottantaseiesimo piano) sono sufficienti.
Un ologramma prima di prendere l'ascensore fornisce qualche informazione tecnica e immerge il visitatore nel giusto clima futuristico.
Si sale a 170 metri e si cammina, devo dire con emozione, sul ponte sospeso, lo skybridge.
Essendo tutto a vetrate si può ammirare con tutta calma il panorama e fare foto.
La guida ci illustra il punto di finta giunzione tra il ponte e la torre che in realtà è solo un incastro libero che consente una notevole escursione in caso di forte vento o movimento improvviso di una o di entrambe le torri.
Fa un certo effetto, devo ammetterlo, pensare di essere dentro a questo tubo di acciaio e vetro "appoggiato" sul vuoto.
Si sale infine al piano 86, l'ultimo piano visitabile dal pubblico.
Una stanza ottagonale a vetrate e comode poltroncine ci accoglie quando il cielo è ormai scuro.
Plastici del progetto, targhe commemorative, immagini dell'inaugurazione e cannocchiali fissi davanti ad alcune vetrate sono gli unici arredi del piano, il resto lo fa l'incredibile panorama.
La reazione delle persone con noi è univoca: si parla sottovoce, con un timido rispetto o un'inconscia paura.
La discesa è altrettanto silenziosa ma quando si esce dalla torre e si guarda in alto avvolti dal trambusto della strada, si prova già un poco di nostalgia per quella stanza sulle nuvole.

dallo skybridge

a 170 metri su Kuala Lumpur

86esimo piano: vis à vis con il pennone gemello


e il mondo là sotto è un lontano confuso formicaio di luci e colori









giovedì 16 ottobre 2014

Kuala Lumpur, una città che cresce

Quando si vive per tanto tempo a contatto diretto con la Natura, dimenticando quasi gli orpelli e le comodità della vita moderna, nel momento stesso in cui si riassapora la grande metropoli si compie una balzo così brusco che è quasi come chiudere una porta alle proprie spalle e aprirne un'altra.
I due mondi sono compartimenti stagni e immancabilmente ovunque ti trovi sentirai la mancanza di dove non sei.
A Kuala Lumpur ci si sveglia senza il cinguettio insistente degli uccelli e il richiamo potente delle scimmie, non prendi il caffè osservando il passaggio discreto di un varano nel giardino e non ti abbandoni a passeggiate romantiche su spiagge sterminate al calar del sole.
A Kuala Lumpur bevi il caffè con lo sguardo che fa lo slalom tra grattacieli che di così alti non ne avevi mai visti tutti insieme, apri gli occhi con il sottofondo lontano del traffico grazie ai vetri robusti delle finestre che ti fanno sentire un po' un pesce nell'acquario e la tua resistenza alla passeggiata è di un'ora prima di desiderare furiosamente di entrare in un refrigeratissimo centro commerciale dove, anche senza comprare, ti tufferai senza ritegno alcuno nel dimenticato mondo del consumismo.
Per anime inquiete e mai ferme come le nostre, i repentini cambiamenti sono essenziali, sono lo stimolo al pensiero e all'ideazione, sono la sveglia al troppo dormire.
Ci aspettavamo Kuala Lumpur come un grande villaggio dove, ai piedi delle famosi torri, una distesa di vecchie case e macchie di foresta la fanno da padrone.
Non che avessimo una gran preparazione aggiornata in merito, devo essere sincera, ma quando si parte per una destinazione sconosciuta è come incontrare una persona con cui ti sei scambiato lunghe lettere ma solo con il pensiero.
In realtà Kuala Lumpur oggi è una pulsante metropoli in divenire; lo tocchi con mano dal numero di grandi cantieri dove le fondamenta possono contenere un intero quartiere, dalla qualità delle costruzioni appena terminate, da quella sottointesa progettualità che percepisci quando per andare da un quartiere ad un altro (coprendo distanze kilometriche) hai a disposizione il walkway, un geniale tunnel refrigerato sopraelevato che ti fa camminare senza fatica e ti accorcia magicamente le distanze.
Giusto fuori dal centro ritrovi le casette, qua e là, e qualche macchia di foresta ma Kuala Lumpur si muove veloce e presto tutto verrà riassorbito in quella che diventerà una moderna e futuristica città.
Non si parla di cementificazione folle e di abbattimento di polmoni verdi essenziali bensì di futuro, progresso, pulizia, ordine.
Spesso nel progresso, ahimè, non esistono mezze misure, un paese se rimane rurale rinuncia alle comodità e se evolve in metropoli dimentica la semplicità.
Esiste semmai, ed è questo il difficile da realizzare, una progettualità razionale e rigorosa che se da un lato garantisce il progresso dall'altro lo fa con il minor impatto possibile.
In una parola: Singapore.
A Singapore, che io amo tanto, dall'alto dei grattacieli puoi scorgere intere macchie di foresta così fitte da non riuscire a vedere la strada che le attraversa, i cittadini sono stati educati a non lasciare rifiuti in giro, il rispetto civico e una dura ma efficace repressione degli atti criminosi mi consente, io donna, di girare anche alle 4 del mattino da sola senza avere il minimo problema.
Queste dovrebbero essere le metropoli del futuro, dal momento che non è possibile per l'uomo, per sua natura, tornare alla primitiva semplicità rinunciando al progresso.
Fino a che questo meccanismo funzionerà, l'unica strada possibile a mio avviso dovrebbe essere questa che è un po' come dire "limitiamo i danni e facciamo tutti contenti".
Onestamente credo che prima o poi, e il poi ormai sarebbe da omettere, arriveremo allo stop obbligato che me lo figuro come quando stai correndo in macchina con la musica a tutto volume e improvvisamente finisci la benzina o il motore si grippa. Imprechi, prendi a calci la ruota come se potesse servire a qualcosa, ma poi prosegui a piedi.
A piedi.
Comunque, ho divagato molto.
Kuala Lumpur è interessante, sta vivendo la fase del trapasso quindi è probabile che tra un anno o due tutte queste considerazioni saranno superate.
I cantieri sono tanti e l'ordine con cui vengono amministrati lascia a bocca aperta.
I camion che vi lavorano e che trasportano fuori i detriti vengono lavati accuratamente prima di raggiungere la strada principale per evitare di sporcarla e questa la dice tutta.
La rete della metropolitana è ancora piuttosto carente ma devono completarla e quella che c'è funziona, è veloce e puntuale con vagoni puliti e nuovi; su alcune tratte hanno fatto i vagoni rosa per sole donne con bambini, dove i sedili sono disposti in modo tale che possono entrarci anche eventuali passeggini e carrozzine.
Non esiste quasi spazzatura in giro. Non esistono cassonetti, raccolta differenziata lasciata a marcire sotto al sole, cestini pubblici ricolmi mai svuotati. Il segreto credo sia in una buona amministrazione e in una corretta risposta del cittadino, tutto qui.
Prettamente mussulmana, con una piccola percentuale di induisti, Kuala Lumpur appare come una città tollerante.
Nei supermercati esistono settori "halal" (cibo per mussulmani ovvero privo di maiale e alcol) accanto alle normali scansie dove si può trovare di tutto.
In quasi tutti i negozi che vendono alcolici campeggiano avvisi in cui si precisa che è severamente vietato vendere ai mussulmani e ai minori di 18 anni.
Noi occidentali siamo visti con assoluta indifferenza; nessuno si avvicina a pressarci per proporci non so quale pacchetto turistico ma nel momento in cui chiediamo informazioni riceviamo in cambio una cortesia e una gentilezza sorprendenti.
Spesso parlano un ottimo inglese, oltre al malese e al cinese.
I cartelli sono in malese e inglese ed è curioso come molte parole malesi siano di derivazione inglese o italiana e vengano scritte esattamente o quasi come si pronunciano.
Restoran è il ristorante, pos le poste, teksi il taxi, bas il bus. Poi ovviamente cerchi l'uscita della metropolitana e di fronte all'unica scritta "keluar" capisci che forse è proprio lei, l'uscita...
Il simbolo per eccellenza della città sono le Petronas, le torri gemelli situate a KLCC Kuala Lumpur City Center.
E come non cercare di andare fino in cima?




domenica 5 ottobre 2014

Nuove pagine da riempire

Quando l'estate stava per finire e l'autunno era dietro l'angolo, io lo sentivo.
Cominciava a strisciare silenzioso un profumo di uva e pomodori essiccati al sole che prendeva lo stomaco, proprio qui, al centro del petto, e scatenava un senso di urgenza verso il tempo che era passato, come se fosse stata l'ultima estate, come se non fosse più possibile tornare indietro e forse un po' era vero.
Avevo sette anni, poi otto, poi nove, anni in cui si è ancora come cullati in un nido fatto di giochi, di sole d'agosto che spacca l'asfalto, di neve a dicembre che ti colora il naso di rosso dopo ore passate a rotolarsi nei prati imbiancati, di tè caldo al limone mai più bevuto uguale, con i biscotti conservati dentro alle latte con il coperchio, di grembiuli bianchi che ogni anno erano più piccoli e si dovevano cambiare insieme al fiocco rosa e di corposi quaderni nuovi e sussidiari con la copertina da plastificare, perchè non si rovinassero dentro alla cartella.
Pagine bianche che odoravano di carta pulita, non ancora tracciata dalle matite e dalla stilografica, perchè allora si usava la stilografica da ricaricare con le cartucce Pelikan.
Quella era l'emozione: pagine bianche da riempire, un futuro sconosciuto, ore passate in classe che volavano via anche se allora non ti sembrava.
Iniziavi con il primo giorno, timidi e curiosi a disegnare la lettera I di innaffiatoio, odore di matite appena temperate, briciole di gomma e per qualcuno buchi nel foglio, i pensierini sotto cui la maestra  metteva il voto con la matita rossa o blu, la stessa austera maestra che un giorno con le lacrime agli occhi ci disse di tornare a casa che avevano trovano un uomo morto nel bagagliaio di un'auto, quell'uomo era Aldo Moro; erano gli anni della strage di Bologna e di Alfredino Rampi e noi a buttar giù righe su righe senza pensare, allora, che quel nido perfetto stava già incrinandosi un poco.
Anni spensierati, a vederli da qui, anni di pagine bianche.
E' settembre, quel profumo è un intenso ricordo molto presente, e noi siamo di fronte a nuove incredibili pagine bianche: Malaysia.
Quando ci penso non posso non ricordare Sandokan, le foreste, i fiumi infestati da coccodrilli, barbuti guerrieri con i capelli lunghi e il coltello tra i denti.
Ma quello era il fantastico Emilio Salgari e ora siamo nel 2014.
Il veloce passo dell'Asia intraprendente, ( quella parte di Asia ), e la radicata appartenenza alle tradizioni, si esprime qui a Kuala Lumpur nei moderni grattacieli e nei vicoli pieni di bancarelle di cibo.
Non togliete mai ad un orientale il cibo, quello che da generazioni si tramanda di famiglia in famiglia; ed è così che puoi vedere giovani manager in giacca e cravatta  seduti davanti ad una ciotola fumante di zuppa di noodles e tofu, commesse eleganti di Chanel gustarsi piatti enormi di riso pesce e verdure prima di ritornare, impettite e bellissime, a servire orde di giapponesi dal portafoglio gonfio di carte di credito.
La commistione di cibo e acciaio è qualcosa cui ti abitui da subito, mangi noodles sotto a quella meraviglia che sono le Petronas e ti sembra di farlo da sempre.
Passi da vicoli con i mattoni lerci di smog e le insegne dei negozi esageratamente illuminate a piazze dove giganti di vetro e acciaio sfrecciano verso il cielo, invitandoti ad entrare nei loro rassicuranti e condizionati ventri puliti e perfetti.
Geniali tunnel raffrescati ti portano da un quartiere all'altro semplicemente camminando sospesi sulle trafficate strade, lontano dal caldo che ti rallenta il passo e ti annebbia la vista.
Kuala Lumpur è una Bangkok con velleità da Singapore o una Singapore con l'umiltà di una Bangkok.
Una perfetta simbiosi.
E le pagine cominciano a riempirsi.