domenica 29 luglio 2012

buon viaggio Zeewo

...alla fine sei partito. Chissà se hai avuto paura o se te ne sei andato con il sollievo che solo questo viaggio può dare a chi non vuol più restare perchè restare fa troppo male.
Buon viaggio Zeewo, ti auguro fantastici aracnidi e mirabolanti tentacoli ma soprattutto che il viaggio ti sia lieve....

giovedì 26 luglio 2012

ultimi giorni a Bangkok...China Town

China Town ovunque si insedi, Bangkok New York Londra, è a tutti gli effetti un mondo a parte, una città nella città.
I vicoli sono stretti e stipati di merce, ceste, merci nelle ceste, anatre arrostite con il collo riverso e il becco semichiuso, teste di grossi pesci, verdure, frutti essiccati, farmacie con vecchi scaffali pieni di otri di vetro trasparenti contenenti serpenti scorpioni tenie cavallucci marini per sempre destinati a vivere morti in un brodo giallognolo.
E poi ancora amuleti, bambini, massaie, garzoni addormentati tra sacchi enormi di aglio e peperoncini essiccati.
Ogni cosa è catalogata rigidamente per cui troverete la strada del pellame (zaini borse cinture portafogli valigie borsette), la strada delle spezie (una visione per gli occhi:grandi sacchi di iuta con polveri coloratissime e odorose), la strada delle verdure (fresche rigogliose invitanti e di molte non ne conoscerete nemmeno il nome e l'utilizzo), la strada del cibo (se vi avventurate con un briciolo di fame non ne uscirete indenni, i profumi sono deliziosi quanto la merce esposta), la strada della bigiotteria (dai piercing alle collane di pietre, dalle spilline colorate ai rosari buddhisti), la strada della plastica (plastica declinata in tutte le sue forme: tazze piatti scodelle bacinelle posate e oggetti assolutamente inutili di cui vi innamorerete perdutamente).
Qui risiede l'anima del commercio.
Non comprate mai se non siete in grado di intavolare una trattativa e se non lo farete riceverete tra risolini e occhiatine tutto il loro disprezzo e scherno.
Il cinese commerciante batte un prezzo e ve lo scrive sulla sua onnipresente calcolatrice e qui comincia la sfida. Il gioco al ribasso può protrarsi fino allo sfinimento, generalmente il vostro.
Non abbiate paura, non esitate, la trattativa per loro è importante quanto per voi portare a casa l'oggetto dei vostri desideri. L'unico lingua che serve è quella dei numeri, non serve capirsi a parole e se siete fortunati qualcuno di loro, per impostare meglio la trattativa, vi offrirà una tazza di te.
E una volta conclusa l'operazione, pur sapendo che il cinese non ci avrà mai rimesso, vi sentirete di aver compiuto il miglior affare della vostra vita.
Ma rientra nel gioco, siamo a China Town!










Wat Pho il tempio del Buddha reclinato

Ho visto molte immagini del Buddha reclinato senza mai capirne l'unicità, fino a che non l'ho intravisto da una finestra del tempio che lo contiene. E solo lì, di fronte ad una emozione fortissima, ho capito quanto le immagini possano essere disattese dal vedere di persona l'oggetto dell'immagine.
Il Wat Pho è uno dei templi più antichi e solo per questo merita tanto rispetto.
Arriviamo dal fiume e tu non mi dici nulla, l'hai già visto ma come sempre lasci al mio sguardo "vergine" l'emozione di scoprirlo da sola. Grazie.
Ci avviciniamo al templio che contiene questa immensa statua ed io penso che in fondo è una grande statua dentro ad una costruzione ben fatta.
Troppo semplice. In una terra dove la semplicità regna non bisogna mai sottovalutare la grazia con la quale proprio questa semplicità viene mostrata.
Prima di entrare mi fai percorrere il perimetro del templio e lì lo vedo, o meglio, ne vedo una porzione.
Scorgo da dietro una enorme finestra il sorriso di beatitudine del Buddha, un sorriso che rincuora e che fa aprire la bocca di sorpresa perchè solo il suo sorriso occupa tutta la luce dell'apertura.
E' ingabbiato, quasi stretto dentro mura che paiono costruite attorno a lui e rifletto sul fatto che forse la serenità è dentro di noi anche quando siamo chiusi in prigioni che dovrebbero angosciarci.
Entriamo.
La luce come sempre non è mai violenta bensì naturale così che l'occhio debba abituarsi con calma e pazienza. E nel frattempo ci si ambienta, si respirano gli odori del legno e degli incensi, si percepisce a fior di pelle la pace e la tranquillità, si ascolta il rispetto fatto di silenzio. Questi luoghi sono fatti per far riposare l'anima e predisporla ad elevarsi.
Lungo tutto il corpo del Buddha una fila di ciotole di rame appese prevede un rituale magico: con un sacchetto di monetine lo si percorre in religioso silenzio rotto solo dal tintinnare di ciascuna moneta che metterai nella ciotola affidandole un pensiero. E quando sarai arrivato all'ultima ciotola ti sentirai il cuore più leggero.
Procediamo con ordine: Lui è magnificente, mi avvicino e non mi capacito di quello che sto ammirando e che il mio sguardo non riesce a comprendere tanto è grande.
Potrei stare comodamente in una sua mano.
La pianta dei piedi è decorata in fine madreperla su sfondo nero con diversi soggetti: carpe, ruote del destino, divinità, numeri fortunati. Un capolavoro di manifattura senza precedenti.
Lo sfarzo qui nella sua semplicità è volutamente mostrato, condiviso, amato, apprezzato, onorato.
Non vi è nulla di colpevole, non esiste il senso di colpa, solo devozione e speranza.
Senza le nostre scarpe e in fila indiana poniamo le monetine nelle ciotole e monetina dopo monetina, cullati dal tintinnio ipnotico, accendiamo tre incensi, una candela e poniamo la lamina d'ora sul Buddha.
Rituali che vanno al di là della scuola di pensiero che li ha generati; la speranza e il bisogno di serenità ci accomuna.
Usciamo con il sorriso.
Ci aspetta una bellissima navigazione per i canali interni del Chao Phraya e la barca che ci porterà ha, immancabilmente, una statuetta del Buddha contornata da una ciotola di riso e da una coroncina di fiori freschi.
Come non sorridere?




















martedì 24 luglio 2012

Chao Phraya

Chao Praya, o più correttamente Menam Chao Phraya, è composto da tre parole: Menam acqua e madre e Chao Phraya eccelso.
La madre di tutti i fiumi ha un corso gonfio e vivo, mi ricorda un enorme serpente avido e mai in pace.
Non so tradurre il fascino che si prova quando si entra all'Oriental, uno dei punti di imbarco più emozionanti del suo lungo percorso e uno dei nostri preferiti.
Il nome deriva dallo storico albergo in stile coloniale che precede l'ingresso all'imbarco; l'hotel, costruito verso la fine dell'800, ha visto nomi celebri del calibro di Lauren Bacall, Sean Connery, Audry Hepburn, Sophia Loren, Kissinger, Mick Jagger varcare le soglie del suo incredibile atrio.
Procedendo dritto, superata la fila di tuctuc in attesa di clienti e qualche bancarella di golosità thailandesi, si entra per un corridoio dove un agglomerato fitto di tettoie e passatoie in legno priva lo sguardo della luce ma è immediato il raggiungimento del pontile dove i taxi barconi si fermano con puntualità svizzera e con organizzazione meticolosa raccogliendo i passeggeri. E lì lo sguardo si perde tra il correre delle acque e la riva opposta, così lontana e così raggiungibile insieme.
Il fiume è vivo e i thailandesi lo utilizzano come una metro galleggiante.
Non si deve lasciare Bangkok senza averla vissuta da questo fiume pulsante dove puoi vedere e toccare con mano il contrasto tra i grandi palazzi e gli alberghi lussuosi e talvolta storici (come l'Oriental) e le catapecchie dignitose con i panni stesi a pelo dell'acqua e enormi varani che catturano il sole distesi sotto i loro porticati.
Le banchine sono di legno, rappezzate qua e là come capita mentre un'attenta e accurata legenda delle fermate lungo il fiume mi fa riflettere sul fatto che nel nostro occidente molto spesso non troviamo altrettanta chiarezza per autobus e treni.
Utilizzano un codice segreto per navigare il fiume che ci sfugge, (e poco dopo scoprirò che vale anche per il mare), legato a tempi velocissimi di "imbarco - sbarco" scanditi dal fischio prolungato o interrotto del ragazzo che attracca la corda del battello.
Ondeggiamo un poco sul molo e con un salto veloce siamo a bordo.
Ciò che a noi sembra un sogno, per la gente del posto è la normalità.
Come la ragazza addetta ai biglietti, la "bigliettaia".
Ha un astuccio rigido in latta ottagonale con due aperture longitudinali che ricorda l'astuccio pieno di semi degli aborigeni.
Lo scuote, le monete all'interno tintinnano e chiunque capisce che si deve fare il biglietto.
Comunicazione.
Straccia due bigliettini bianchi e rossi fatti di carta sottile come velina; rapidamente sistema soldi, fornisce resti e biglietto e riesce ad individuare nella calca chi è appena salito.
Se devi scendere devi portarti verso l'uscita della barca, attendere pazientemente l'ormeggio e scendere veloce con scioltezza. Ci si abitua. Basta osservare gli altri, i pendolari, e seguirli senza indugio.
Ma appena si plana sulla banchina della nuova fermata, vorresti già prendere un'altra barca e godere dell'aria frizzante che si sente navigando il fiume. Navigando il fiume! abbiamo navigato il fiume tante e tante volte che ora prendere un autobus pare un insulto!
La Thailandia mi sta entrando nel cuore con la dolcezza tipica orientale ma forse perchè è stata sempre lì, ad attendermi.
Questo post meritava spazio solo per la navigazione del Chao Phraya...ma la navigazione ci ha consentito di vedere altri Templi assolutamente non trascurabili e soprattutto di farci un giro per i canali secondari.
Altre avventure, altre letture.
Se andate a Bangkok fatevi un giro sul Chao Phraya. Non rimarrete delusi. E sicuramente ne farete più di uno!

l'ingresso dell'attracco Oriental















attesa sul molo






La bigliettaia

martedì 17 luglio 2012

Wat Phra Kaew, il Tempio del Buddha Smeraldo

Se credete che visto un tempio li avete visti tutti, in parte sbagliate.
Vi sono templi in Thailandia con particolarità che non possono essere sottovalutate.
Il Wat Phra Kaew, ad esempio, è una costruzione imponente, regale, così maestosa da sembrare finta; intarsi di avorio, foglie d'oro, ebani, stucchi, bellissime statue di demoni, guerrieri, leoni e kinnari, le creature metà donna e metà rapace, e all'ingresso soldati in divisa impeccabili nonostante il caldo. 
I diversi edifici religiosi sono separati da viottoli di ghiaia bianca così il riverbero della luce che si riflette sulle altissime cupole dorate  è accecante.
Il Wat Phra Kaew è il tempio più sacro della Thailandia poichè all'interno di uno degli edifici è conservato il Buddha di smeraldo.
A dispetto dello sfarzo quasi pacchiano degli esterni, gli interni, pur riccamente affrescati o pannellati in pregiato legno intarsiato, invitano al silenzio e alla meditazione. 
Per entrare in un qualsiasi luogo sacro in Oriente occorre portare rispetto con il proprio abbigliamento e soprattutto lasciare fuori le scarpe, ma quest'ultimo dettaglio vale anche per qualsiasi negozio o abitazione.
Il Buddha è generalmente in fondo al tempio, in posizione centrale e rialzata così che tutti possano vederlo e nessuno possa sovrastarlo.
Ci si avvicina a capo chino e ci si inginocchia senza mai mostrargli i piedi; ci si allontana volgendo sempre il volto e mai le spalle e non senza aver acceso un incenso o, in alcuni casi, aver attaccato una foglia dorata alla sua statua.
Lasciamo le nostre scarpe al di fuori dell'ingresso e varchiamo la soglia lasciando la luce accecante dietro di noi; solo il Buddha è illuminato ma in maniera fioca, aggraziata.
E' una rappresentazione del Buddha molto importante così ci inginocchiamo tra diversi turisti e molti thailandesi che ogni giorno vengono per pregare e per portare doni.
L'atmosfera è emozionante, si respira il silenzio delle preghiere sincere, delle richieste fatte dal cuore di chi ancora crede e umilmente chiede un po' di respiro e di gentilezza, perchè qui la vita, al di là dei sorrisi, può essere maledettamente dura e cattiva.
Per un attimo penso alle nostre chiese dove l'ingordigia di chi le amministra ha fatto scemare la fede facendole svuotare e allontanare così la fede.
Non so cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, se esiste un Dio vero ed uno meno vero, penso solo alla semplicità dell'animo umano e al suo bisogno di avere risposte anche nelle non risposte.
Io non credo. Un poco invidio l'atto di fede di coloro che affidano i propri pensieri ad un'entità che non conoscono ma che amano e temono nel contempo.
Così rimango in rispettoso silenzio, osservo con discrezione i volti di chi ha un dio o una divinità cui rivolgere i propri pensieri.
Io sento solo una grande energia buona.
All'uscita la forte luce ci colpisce di nuovo, socchiudiamo gli occhi e davanti a noi una fila di monaci dalle età più diverse forma un lungo rosario di grani arancioni e crani rasati.
Passeggiano come se non toccassero terra, sorridendo miti e scherzando con i bambini incuriositi.
Il confine tra il sacro e il profano qui è molto labile, vince l'accettazione incondizionata e questo ci piace.
E' una terra dove si è esente dal giudizio e dal senso di colpa, immediatamente senti le spalle leggere e puoi ancora credere di poter aprire le ali.




Maestoso esterno del Wat Phra Kaew











Un guerriero di pietra a guardia del Buddha









Corridoio di presenze
Uno sguardo alla superba Kinnari 



domenica 15 luglio 2012

la casa di Jim Thompson

Le metropoli, soprattutto in Oriente, non rendono mai onore al paese in cui sono situate. Sono per lo più un ricettacolo del peggio che una terra nella sua complessità può offrire: denaro facile, occidentalizzazione, delinquenza, catrame, spietata povertà e spietata disparità tra classi abbienti e classi meno abbienti, sporcizia, freddezza, imponenza architettonica a discapito di garbata poesia rurale.
Bangkok è diversa. Bangkok ha un'anima ancora pulsante che emerge ad ogni angolo di strada.
E' per questo che si atterra a Bangkok e vi si rimane diversi giorni. Affascina, ti rapisce, ti diverte, ti fa riflettere.
Ci inoltriamo di mattina presto in una zona poco battuta dai turisti ma in realtà è solo "dietro l'angolo" del quartiere di Ayutthaya rispetto al formicaio di traffico che ogni volta lascia senza fiato.
Ogni piccolo spazio o pertugio è un brulicare operoso di fornelli a cielo aperto, macchine per il caffè, ciabattini, friggitorie di pesce e verdure, sarti, piccoli market dove tutto è piccolo colorato aggraziato: mini confezioni di dentifricio, colluttorio, crema per il corpo, saponette, alcol denaturato, fazzoletti di carta. Una versione lillipuziana di ciò che troveremmo in un nostro ipermercato con l'aggiunta dei colori, sempre vivaci e solari. Pare di entrare in un negozio di accessori per case di bambole.
In questo minuscolo quartiere non si parla altro che il thai ma ci si intende ugualmente.
La ragazza che ci prepara con cura un ottimo caffè sul marciapiede se la ride con gli altri avventori, tutti rigorosamente thailandesi. Credo si stiano domandando cosa ci facciamo lì, tra di loro!
Strano, a volte quando siamo a casa ci poniamo la stessa domanda...
Fermiamo un tuctuc al volo e ci facciamo portare alla casa di Jim Thompson.
Jim Thompson è stato un imprenditore statunitense che negli anni 50/60 ha fatto rifiorire il mercato della seta proprio in Thailandia. Si trasferì a Bangkok dove costruì una casa come sua dimora sulle rive del Chao Praya, l'immenso e gonfio fiume che attraversa Bangkok per gettarsi nel Golfo Thailandese. La sua vita divenne leggenda dopo la sua misteriosa morte. Si narra che la sua vera identità fosse quella di agente segreto e durante un viaggio nella giungla malese scomparve senza lasciare alcuna traccia, nemmeno un cappello. Dopo la sua scomparsa la casa divenne museo e il suo lavoro legato alla via della seta continua ancora oggi con splendidi manufatti venduti in tutto il mondo.
La sensazione di pace che si prova varcando l'imponente cancello in legno è immediata.
Un angolo di pace nel cuore di Bangkok scelto da Thompson come sua reggia; tra le mura vi si respira ancora la volontà di creare un rifugio di serenità per il corpo e per lo spirito, un luogo oserei dire sacro che, in religioso silenzio, violiamo.
Mangrovie, scoiattoli, piccole piscine d'acqua naturali che ospitano oziose tartarughe acquatiche e fameliche ma plastiche carpe koi.
Gli arredi all'interno della casa sono colmi di grazia e nel contempo non sono mai sfacciati ma di una sobria eleganza.
Ogni stanza è abitata da libri e fiori recisi e tutto il legno di cui è costruita sembra avere vita.
La camera da letto ha una enorme vetrata che si apre su un porticato che guarda il giardino e al di là di quel giardino scorre silenzioso il Chao Praya.
Quando scendiamo dal tuctuc la temperatura è elevata, il caldo umido ci rallenta i passi ma non appena entriamo nel giardino della casa, nonostante i giochi di luce tra le fronde degli alberi, improvvisi aliti di vento e il rumore placido del fiume ci ristorano.
Non solo non arriva il frastuono delle strade ma nemmeno il caldo soffocante dell'asfalto.
Per un breve attimo chiudo gli occhi e immagino mattine ancora fumose che entrano nella casa insieme al cinguettio degli uccelli. E lui, l'americano che si è costruito il sogno, scende dal suo letto in tek, a piedi nudi procede verso il porticato godendo del contatto con tutto quel legno e osserva, ogni giorno con lo stesso identico stupore, quella meraviglia.
Penso che chi ha creato tutto questo dovesse avere un'anima tormentata e abbia cercato di chiudersi in una personale Bangkok che lo facesse sentire libero e protetto insieme.
Si respira così intensamente ancora la sua presenza che in questa casa, benchè ora sia un museo, entrerei sempre chiedendo permesso.




camera da letto









nuvole di carpe koi












particolare di interni












oltre la siepe il Chao Praya

mercoledì 11 luglio 2012

Thailandia

Sette dicembre 2009: sorvolare l'India fa uno strano effetto, quasi come passare per la strada di casa senza fermarsi per entrare.
Voliamo paralleli ad un orizzonte dove il sole sembra spremuto come un'arancia..adoro volare verso la notte, mi fa sentire ancora di più in un non luogo e quindi inattaccabile e irraggiungibile.
Ci lasciamo alle spalle un anno di difficili delusioni e partiamo per restare lontani due mesi.
Ho ridotto il mio zaino rispetto all'ultimo viaggio in India, questo è più leggero, perchè so che mi serviranno poche cose materiali, lascio spazio solo nel mio cuore e nei miei occhi, posti contenitori di merce preziosa che nessuno perderà e nessuno mi porterà via. Nel bene e nel male.
Il nostro volo non è diretto, dobbiamo fare un veloce cambio a Doha ma una bambina si sente male, non riprende i sensi, ha intrapreso suo malgrado un lungo volo dopo un delicato intervento chirurgico così l'atterraggio di emergenza che dobbiamo fare a Sofia, in Bulgaria, ci fa perdere la coincidenza e ci costringe a passare una notte a Doha, dopo ore lunghissime di attesa a Sofia prigionieri nel tubo di un aereo.
La notte a Doha è come transitare in un non posto. No alcol, no locali, no cibo fino alla mezzanotte, nessuno per strada. Fantasmi di costruzioni nuovissime che scimmiottano moschee e palazzi vela completamente disabitati. E fuori il deserto. Il silenzio. Il buio.
Dormiamo poche ore per poi tornare all'aeroporto all'alba dove gli sguardi profondi e intensi del personale arabo, le facce gonfie della polizia aeroportuale, le lunghe tuniche nere da cui sbucano occhi ancora più neri, mi rendono inquieta.
La mia mente è proiettata nella terra del sorriso e qui di sorrisi non ne incontriamo uno.
Atterriamo a Bangkok nel cuore della notte.
Ci pare di aver vissuto una lunga notte, notte a Milano Malpensa, notte a Doha, notte a Bangkok.
Stiamo rincorrendo il sole e sappiamo, dentro di noi, che lo troveremo.
Qui, siamo in Thailandia.

lunedì 9 luglio 2012

Conclusioni sull'India

Quando un viaggio può definirsi concluso? e soprattutto, può un viaggio definirsi concluso?
Se un popolo e la sua terra entrano così in profondità nel tuo animo e nella tua mente, il viaggio non potrà mai concludersi. Conclusione è un termine definitivo che prevede un inizio e una fine, e dopo questo, il nulla o dell'altro. Non posso dire quindi che il nostro viaggio in India si sia concluso, per lo meno non con quel senso di inesorabilità che il termine porta con sè.
L'India, una volta che entra, non se ne va più, non se ne andrà mai.
Ed è per questo che affrontare un nuovo viaggio, verso un'altra meta, all'inizio risulta quasi un atto di tradimento perchè nessun posto potrà darti quelle emozioni.
Ma sbagliavo, o almeno in parte.
Nei viaggi che sono seguiti a questo mio primo importante viaggio, ho scoperto che c'è posto per tante terre, per tutte quelle che ti colpiscono dritto al cuore e ...non si concludono mai.
E ogni terra con il suo popolo ti riserva altre emozioni, altri particolari, altre visioni che arricchiranno la tua mente e il tuo spirito e ne diverranno parte.
Ho sofferto molto dell'assenza dall'India (nota bene dall'India e non dell'India), così tanto che sarei voluta tornarci ancora. Ma la vita è breve, nella sua complessità, e quando la tua mente si apre all'idea di            conoscenza scopri che ormai hai aperto le ali e devi volare.
E dove ti senti a casa, quella è la tua casa.


domenica 8 luglio 2012

..e ancora...

...immagini legate a episodi, momenti, giornate.
Vedete com'è difficile lasciare l'India?
pescatore a Vaga Beach, al confine nord con il Goa. Pescatore cui hai chiesto un'esca e ha finto di non capire: aveva paura che gli rubassi il mestiere!










La forza della donne












L'eleganza degli uomini












Un fiore del Goa per me, sul mio cuscino..al risveglio....











ogni sera a Candolim












notte in stazione a Dehli

Immagini che resteranno nel tempo

Esiste un libro che ho cercato per tanto tempo, trovandolo solo usato a prezzi folli perchè non più in ristampa, questo libro è "L'odore dell'India" di Pasolini.
Durante una bellissima mattina passata con una cara amica nella mia libreria preferita, mi capita tra le mani e a distanza di quasi 4 anni dal viaggio non esito un attimo.
Pasolini ha una voce tagliente, non usa mezzi termini, nel bene e nel male. Uso il presente perchè credo che gli scrittori che continuano ad essere letti dopo la loro morte perpetuano la loro presenza finchè qualcuno continuerà a leggerli. E così penso di Pasolini, che ho amato e odiato nel contempo, anche se odiare è forse un termine improprio. Non sono d'accordo su certe sue visioni, ecco tutto, ma è questa la purezza con cui si affronta uno scrittore di questo calibro. Avere l'onestà di esprimere un'opinione è un lusso che pochi sanno permettersi.
Me la voglio concedere con lui, per onestà e rispetto.
L'odore dell'India è' una perla preziosa, un dono, un confronto, un momento di riflessione, che ho letto in pochi giorni ma solo perchè non finisse troppo presto; Pasolini descrive poche significative immagini di una terra che io ho amato diversamente da lui.
Non di più o di meno, diversamente.
Probabilmente lui ha avuto uno spirito critico superiore, chi è innamorato a volte tende ad amare difetti che, chi non è innamorato, acuisce.
Quindi siamo uguali: non abbiamo avuto sguardo critico.
Beh, forse lui un pochino di più rispetto a me.
Ha compiuto il viaggio nel 1961 insieme a Moravia e Elsa Morante, mica bazzecole!
E leggere poche frasi di immagini che resteranno nella mia mente e nella mia anima per sempre a distanza di così tanto tempo, non solo avvalora la sua teoria sul fatto che l'India non cambierà mai ma mi fa sentire vicina a lui.
Abbiamo avuto a distanza di quasi 50 anni le stesse percezioni e le stesse visioni.
Con la differenza che lui sapeva già, mentre le scriveva, che sarebbero rimaste immutate nel tempo.
Io lo posso confermare. Cinquant'anni sono una vita.
"Una rivelazione: il modo in cui gli indiani dicono di sì......La non violenza è nelle sue radici, nella ragione stessa della sua vita. Magari qualche volta difende la sua debolezza con un po' di istrionismo o di insincerità:ma sono piccole ombre ai margini di tanta luce, di tanta trasparenza. Basta guardare come dicono di sì. Anzichè annuire come noi alzando e abbassando la testa, la scuotono circa come quando noi dichiamo di no: ma la differenza del gesto è tuttavia enorme."
Thaita o Taitha o non so come si scrive, aveva gli occhi simili a due spilli, neri come la pece e il sorriso bianco e candido di chi non conosce il betel.
Taitha ci veniva a salutare ogni sera al tramonto chiedendoci ogni volta se desideravamo un massaggio ai piedi. Si accucciava sulla spiaggia del Goa e faceva la sua offerta.
Al nostro diniego, - magari domani, magari un altro giorno -, ciondolava con il sorriso la testa a destra e a sinistra, si alzava rispettoso e passava ad altri turisti.
Ho catturato il suo sorriso, aperto, genuino, privo di rancore per un diniego.
E nella luce del sole che andava sciogliendosi nell'acqua del mare, anche se sfuocato, il suo sorriso valeva lo spettacolo del tramonto. 
Taitha era un giovane uomo, della nuova generazione e abituato probabilmente al turismo bizzarro di noi occidentali, ma, come disse Pasolini tanto tanto tempo fa, "...pieni di figli, ne coltivano la dolcezza: la loro dolcezza frastornata si perpetua in quella, tenera, dei figli...".
Taitha nella sua insistenza, era dolce e questo ricordo di lui.
Se mi soffermo a pensare alle persone belle che ho conosciuto in India, alle loro dolcezze gratuite (Fernandez che si scomoda con il suo taxi per rincorrerci e salutarci di nuovo ma è solo uno tra i tanti) mi riconosco in quello che Pasolini scrive "..in questa tragedia, resta nei nostri animi qualcosa che se non è allegria, è quasi allegria: è tenerezza, è umiltà verso il mondo, è amore..." riportando le parole di un indiano.
Tu volevi pescare, eravamo sul mare, e volevi pescare.
Non esistono qui i negozi "caccia e pesca" ma esistono le donne indiane!
Camminando sul Fort Aguda a Candolim ho trovato una donna che vendeva cappellini e magliette.
Ma noi donne abbiamo uno speciale sguardo, a volte, che parla per noi.
Cosa stai cercando? mi dice in un inglese che capisco a stento.
Un amo e un filo da pesca, indiano.
Non devo essere stata troppo prolissa ma nemmeno poco chiara. La signora si mette a ridere, chiama il figlio dalla spiaggia, gli parla in hindi e mi dona un regalo prezioso.
E' una noce di cocco, in realtà una fetta di noce di cocco, avvolta da filo blu di nylon che termina in un piccolo uncino. Mi sento fortunata, mi sento privilegiata, mi sento così semplice che credo che nemmeno le rupie possano mettermi al pari con quella donna. Le lascio un obolo importante che la fa ridere e mostrarmi i denti e gli spazi dove prima c'erano denti. E scappo di corsa a casa, al Per Avel, per farti trovare quel dono prezioso, che ancora conserviamo, sul comodino.
Il gioco di un bambino, il sogno di un uomo.
L'India è anche questo e non solo questo.
Grazie PierPaolo, ovunque tu sia, perchè mi hai concesso di sentirti vicino non foss'altro per uno sguardo su qualcosa di immutato ( e di immutabile come diresti tu) e su una sintonia di visioni che solo l'India può regalare. Per le anime sensibili. Per le anime che cercano senza fermarsi mai.


piccoli pesci per un grande amo














prezioso amo












bambino felice












Thaita ci osserva dietro ad un mare dove il sole si sta sciogliendo






venerdì 6 luglio 2012

Quando si torna

Quando si torna da un viaggio è come infilarsi un paio di scarpe strette.
Devi metterle a tutti i costi ma sai che ti faranno male, che durante la giornata avrai mille e più tentazioni di levartele per gettarle via, proverai a sfilarle appena appena per patire meno male e avere un po' di sollievo, poi ti accorgerai con il passare dei giorni che il cuoio cede e il dolore va scemando.
Ma sono i tuoi piedi che cedono, il cuoio è sempre quello duro e rigido delle tue vecchie scarpe che dimenticherai di indossare fino a quando le toglierai di nuovo.
E questo significherà che avrai iniziato un nuovo viaggio.

Goa, sfaccettature dell'India

Nel breve corso di un mese l'India ci ha attraversato con le sue mille sfaccettature e ci ha spesso lasciati  silenziosi nei nostri pensieri.
Dopo la breve sosta a Mumbay, arriviamo a Candolim, nel Goa, assetati di natura e di mare.
Il Per Avel è un alberghetto discreto e pulito, a pochi metri dalla spiaggia, dove si respirano pace e serenità; la proprietaria è una attempata signora indiana con un grosso paio di occhiali in osso e l'aria dura di chi è abituato a sbrigarsela da sola, come quella sera che l'abbiamo vista affrontare un avventore inglese ubriaco e molesto con grinta e decisione.
Si è circondata di due soli aiutanti, l'uomo alto e magro delle colazioni, che parla poco e dondola molto il vassoio nel tentativo di risultare impeccabile, e la ragazza addetta alle pulizie delle stanze, che ogni giorno indossa un sari diverso, impalpabile e frusciante come la sua grazia nell'incedere silenzioso per il cortile.
Ci bastano poche ore per affezionarci ad un posto che da quel momento in poi avremmo chiamato casa.
Per vivere il Goa esistono due possibilità: affidarsi al percorso già tracciato per i turisti e perdersi, ma solo metaforicamente, nei mercatini finto hippy di Arambol insieme a figli di papà con improbabili rasta e aria pseudo bohemienne oppure penetrare la foresta dove il verde delle foglie diventa più intenso, interrotto solo da discreti agglomerati di capanne, e dove le strade sono strisce di terra rossa punteggiate ogni tanto da mucche parcheggiate a ruminare il nulla. E perdersi, ma non solo metaforicamente, a Terekhol, Keri Beach, dove la strada finisce, interrotta dalla foce del fiume che si butta nell'Oceano.
I cani qui sono tutti uguali, vivono allegramente sulla spiaggia e giocano a rincorrersi e a mordersi le orecchie; paiono ridere mentre danzano e compiono piroette. Ti scrutano diffidenti ma non troppo se ti avvicini e hai del cibo.
Nel Goa si attende la sera e con la sera un tramonto che non ti vuoi mai perdere, fosse anche il centesimo che vedi; una birra e un Old Monk, rhum dolcissimo indiano, e la visione del sole che si tuffa nell'acqua sciogliendosi costituiscono il nostro speciale rito.
Parole e risate nel vento, qualche guaito di cani lontani, grida di bambini insieme ai cani e poi il silenzio e la piacevole brezza della notte che arriva.
Questa bolla che chiamiamo mese ma che in realtà è un contenitore così elastico da far durare i giorni mesi e un mese un attimo, contraendosi insieme alla nostra anima, sta per terminare e il pensiero di tornare è come a sette anni, alla fine dell'estate, quando sistemavo la cartella per l'inizio della scuola e pensavo che non era possibile che fosse già finita....
Ad alimentare le nostre difficoltà ad andarcene da Candolim ci si mette il signor Fernandez, taxista-noleggiatore di motorini-barista. Ci salutiamo consegnando il motorino che ci ha accompagnato per oltre 700 km di entroterra e foreste e ci diciamo a presto con la speranza nel cuore.
Ma dopo una ventina di minuti di corsa in taxi verso l'aeroporto, ad un semaforo il Sig.Fernandez si avvicina con il suo taxi per salutarci di nuovo: ci aveva seguiti aspettando il primo momento possibile di sosta per dirci ancora a presto. Ha il sorriso pieno e gli occhi un poco umidi. Come noi.
Candolim -Mumbay - Milano Malpensa.
Chissà perchè i ritorni sono sempre così difficoltosi.
All'aeroporto di Mumbay ci troviamo a dover sostare, in attesa del nostro volo di rientro, in un enorme capannone dove, improvvisamente, viene a mancare la luce.
Quando lasci l'India è un po' così, ti viene a mancare quella speciale luce di ogni giorno e senti aprirsi nell'anima una ferita di cui avrai cura per sempre.
E' quello che io chiamo Mal d'India, una sindrome incurabile, che ti accompagnerà per sempre e farà sì che ogni giorno i ricordi diventino perle immutabili.