domenica 28 dicembre 2014

Todos Santos: un guazzabuglio di storia e curiosità

A bordo di uno sbiadito cherokee che brontola come la mia vecchia bidella del liceo, attraversiamo per il largo la nostra penisola e raggiungiamo Todos Santos, dove le montagne della Sierra incontrano il deserto e subito dopo il Pacifico, aperto, immenso, inquieto.
Siamo esattamente sul Tropico del Cancro e abbiamo fatto un viaggio di 90 km su una super strada che taglia sconfinate radure di cactus, saguari e polvere rossa.
A proposito, sapete cosa sono i saguari? Sono i cactus a candelabro o con le braccia, (nome scientifico pachycereus pringlei). E per quelle braccia possono volerci anche 70 anni prima di vederle sbucare, quindi meritano profondo rispetto!
Entriamo nel paesino di Todos Santos non senza constatare quanto Odile, l'uragano di fine ottobre, abbia manifestato ampiamente il suo passaggio.
Palme tranciate a metà, abitazioni con il tetto divelto, cartelli stradali piegati innaturalmente su sè stessi, aiuole devastate.
Ma l'atmosfera cordiale e folcloristica è rimasta nonostante tutto.
Sull'unica via a doppio senso di marcia si affacciano piccoli negozi di ceramiche, tappeti fatti a mano,  manufatti in cuoio, cappelli di paglia alla moda texana e un nugolo indefinito di ristorantini dall'aspetto invitante.
L'Hotel California si trova su quella via, con le sue lettere in bronzo discreto attaccate alla facciata, seminascosta da piante incredibilmente verdi.
Avete capito di cosa sto parlando?
Vi aiuto:


Ecco, la leggenda ruota attorno a questo fantastico edificio ben conservato e dall'aspetto affascinante.
Parrebbe che la celebre canzone sia stata scritta proprio all'interno delle fresche e poderose mura da Don Henley, batterista, autore ma soprattutto voce degli Eagles.
Le leggende sono molteplici, dal significato simbolico del testo (filo satanico) al luogo della sua creazione, mai confermato e mai smentito, ma per tutti Todos Santos.
Entrando nel foyer si respira un'aria accogliente e immancabilmente misteriosa.
I colori sono accesi, il mobilio ben tenuto ma consumato, i dipinti alle pareti intensi e evocativi e al centro un lampadario, che potrebbe essere un Venini autentico, si integra amabilmente nella girandola dei rossi e degli amaranto.
L'accesso alle stanze è preceduto da un corridoio in penombra che esalta l'ambientazione da leggenda americana.
Insomma, nel complesso è un luogo da visitare, perchè che sia vera o no la leggenda, di fascino l'Hotel California ne ha da vendere.
Proseguiamo al giardino dei cactus, anfiteatro di un ristorante che se non avesse il giardino si classificherebbe appena dopo i mediocri. 
Pasto veloce, piuttosto dimenticabile.
Il vero gioiello della via è una minuscola bottega di due stanze piene zeppe di libri nuovi e usati e cartoline, alcune stampate, molte dipinte a mano: la Librerìa Tecolote.
L'arzilla signora inglese che ci accoglie è simpatica, solare, gentile e quando si accorge che tra le varie cose ho scelto un'edizione di Don Quisciotte per bambini appartenuto alla bambina Lilia del Pilar Hernandez Garcia della 1°D mi sorride con gli occhi prima che con la bocca.
Quel piccolo gioiello illustrato scalda il cuore.
Vorrei fosse più vicina a casa, la sua libreria è come un luogo d'incontro per amanti della lettura, un circolo culturale multietnico dove scambiare due parole buone.
Ma il carattere forte dell'Oceano Pacifico ci attende.
Grazie alle 4 ruote motrici riusciamo a varcare vegetazione, viottoli sterrati in alcuni casi con pozze d'acqua e là, dopo le maestose dune, sentiamo la sua voce.
Roboante, impetuosa, imperiosa.
Lo scorgiamo da lontano con i suoi cavalloni alti metri infrangersi sulla spiaggia deserta e i suoi spruzzi arrivano a bagnarci la faccia.
Camminiamo altri 5 minuti contro vento fino ad arrivare alla battigia.
La risacca è forte, fare il bagno è impossibile, così rimaniamo su questa lingua di sabbia sterminata a guardare l'orizzonte, pensando che di fronte a noi, navigando, troveremmo le isole Hawaii.
Salsedine e iodio in abbondanza, cavalli che giungono placidi da lontano e in cielo 7 pellicani in formazione fila indiana che volano alti sul mare.
Si rimane in silenzio, il rumore delle onde e del vento azzittisce la voce lasciando un varco pericoloso per i pensieri.
Rientrare è difficile, come se una strana magia ci tenesse prigionieri ma l'aria comincia a raffreddarsi e il vento diventa nemico.
Sporchi di sabbia, sole e mare rientriamo con il sole che va a morire alla nostra sinistra, colorando immancabilmente il cielo di rosa rosso e arancio.

il giardino dei cactus



la leggenda

il foyer
















sabato 27 dicembre 2014

Diario di amore e mistero

Insomma, non potevo evitare di dirvelo anche qui: è uscito una breve recensione su questo piccolo prezioso libro che è Dietro lo Steccato


e da domani potete trovarlo di nuovo nella libreria Fiaccadori che proprio in questi giorni aveva esaurito le copie a disposizioni.
Quindi: precipitatevi per dindirindina!!!!

p.s. Grazie come sempre a Andrea Violi!

giovedì 25 dicembre 2014

Mangiare chocolates sulla spiaggia, ovvero cronaca di un'esperienza culinaria mistica

Trovarsi su una spiaggia al tramonto in Messico, di fronte ad una birretta ghiacciata e tacos e sentirsi offrire chocolates fresche non è da tutti i giorni.
Ci guardiamo con aria interrogativa, l'abbinamento cioccolato fresco (?) e birra non ci sembra così felice come la bella faccia sorridente di Ramon, il nostro cameriere, quando ci propone il piatto.
Poi, l'illuminazione: dalla barchetta appena arrivata i pescatori portano dentro al ristorante reti piene di conchiglie dall'aspetto di vongole giganti di colore rossastro.
Ramon ce le indica con eccitazione: almeja chocolates fresche appena pescate!
Allora se ne può riparlare!
Le chocolates (bivalve giganti dal nome poco accattivante "megapitaria squalida") sono il piatto prelibato della Bassa California Sud e vengono servite aperte, vive e con uno spruzzo di lime.
Premesso che mangiare pesce crudo rappresenta sempre un'incognita, decidiamo di assaggiarne una porzione (7 chocolates), cui fa seguito, immediatamente al primo assaggio, una seconda per la gioia di Ramon ma onestamente anche per la nostra.
Devo ammettere che non ho mai mangiato un mollusco così buono e intenso, in grado, a mio avviso, di gettare un'ombra sulle tanto preziose ostriche.
Le chocolates hanno una consistenza decisa ma amabile, non scivolano tra lingua e palato ma nemmeno necessitano di buone doti di masticazione; il sapore è delicato, esaltato da uno spruzzo di lime e supportato da un lieve sapore di mare.
Insomma, mangiatene una e non vi fermerete a quella.
Ottime varianti sono aggiungere uno spruzzo di salsa di soya o di salsa piccantissima al jalapeno ma vi posso assicurare che nature e lime sono la morte loro.
Grande grande scoperta culinaria e soprattutto, il giorno dopo, tutto bene, nessun incidente intestinale!
Tanto che la sera della vigilia, cioè ieri, oltre al pesce di 3 kili cucinato alla griglia, abbiamo concluso la serata con chocolates a volontà.
Feliz Navidad!!!!



venerdì 19 dicembre 2014

DonnEuropa

Succede che proprio mentre arriva la prima ristampa di Dietro lo Steccato (parentesi:grazie a tutti coloro che lo hanno reso possibile), faccio capolino su un giornale specialissimo e interessante.
Si chiama DonnEuropa, leggetelo e nel frattempo leggete cosa ho scritto io!


Un grazie a Paola Casella che mi ha dato questa opportunità! Buon lavoro Paola!!

Torniamo a noi, l'emozione di pubblicare un libro è qualcosa di estremamente particolare e insieme delicato. Vedi il tuo lavoro, lo tocchi, lo sfogli, lo annusi e poi lo vedi andarsene in giro, nelle case di persone care o di perfetti sconosciuti.
Lo pensi lì, su un comodino, nella libreria, appoggiato sul tavolo della cucina, magari sottolineato, con le orecchie o con un bel segnalibro e ti chiedi come sia possibile che un pezzo di te viva altrove, nemmeno sai dove.
E vogliamo parlare di quella assurda sottile vergogna che ti infiamma le guance quando qualcuno ti dice: ah, ma io ti ho letto?  
E dell'oscuro sentimento di possesso che ti prende quando distribuisci il libro a sconosciuti, che dire?
Insomma, può sembrare paradossale che chi scrive possa provare tali emozioni ma forse per un esordiente è normale e soprattutto, almeno per me, è durato poco.
Alla prima ristampa, appena sfornata, ancora calda, la mia vergogna si è trasformata magicamente in ruota di pavone e il senso di possesso è stato sostituito da una incontenibile voglia di spedire il mio libro a tutto il mondo, tant'è che ne ho fatto dono anche all'amico messicano paleontologo, Jorge.
L'aspetto economico non vi sfiori il pensiero, qui non si sta parlando ahimè di una Rowling o di uno Smith! 
E' proprio puro sano cristallino orgoglio.
E' crederci, è non mollare, è avere momenti di sconforto che ti fai passare con un po' di yoga, se non altro per trasferire lo sconforto su posizioni inarrivabili :)
E infine, se non provi, se non ti metti in gioco, è inutile anche sognare.
Perciò grazie a tutti voi, che se mi state leggendo un motivo ci sarà e ormai siete tanti.
Grazie al mio editore, il FunCoolLab, unico inimitabile insostituibile inarrivabile, che ci ha creduto prima di me e forse più di me. E lui lo sa bene.





sabato 13 dicembre 2014

Una comida mexicana

Comer significa mangiare, va da sè che comida sia il pasto.
Devo dire che qui in Baja California si trova un po' di tutto, abituati come eravamo allo Sri Lanka che alla vista di una bottiglia di olio extravergine di oliva si tirava un sospiro di sollievo.
Esistono supermercati dalle dimensioni straordinarie, veri e propri luoghi di perdizione dove poter comprare dalle tortillas dai colori più disparati, alle carabine a piombini, dalle paperelle di gomma fino agli pneumatici per fuoristrada di grandi dimensioni.
I costi complessivi di una spesa media sono decisamente contenuti, molto meno che in Oriente, e la qualità è medio alta.
Il livello della carne è altissimo, quello dei formaggi lascia a desiderare, mentre riguardo alla verdura niente da eccepire eccetto forse per le dimensioni: una cipolla di qui è come una grande matrioska in grado di contenere almeno 4 cipolle delle nostre.
Il pesce è buono e economico, il piatto forte sono i camarones, i gamberi sgusciati e cucinati spesso alla griglia con abbinamento di salse più o meno piccanti.
Avere un barbecue in casa è come dire da noi "ho lo scolapasta", insomma un must in tutti i sensi.
Ma un conto è cucinare in casa propria, da occidentali intendo, e un conto è uscire e sperimentare.
Ieri sera è quello che abbiamo fatto, evitando i soliti camarones alla griglia e buttandoci in qualcosa di più ardito.
Il ristorante era pressochè deserto, i turisti devono ancora arrivare e quindi il pescado (il pesce fresco appena pescato) non era disponibile. Punto a favore, significa che mai ci avrebbero rifilato del surgelato mascherato da pesce fresco.
Tavoli di legno con luci soffuse, sotto ad una tettoia di paglia e lacci di cuoio, pulizia ineccepibile.
Veniamo omaggiati nell'attesa dei nostri piatti di un assaggio di cebolla en sugo de jalapeno, vale a dire cipolla a fettine lievemente brasata accompagnata da un sugo oleoso a base di peperoncino piccante. 
Ovviamente deve piacere il piccante perchè il sapore soave della cipolla viene esaltato dall'aroma forte ma nel contempo garbato di un peperoncino ridotto ai minimi termini nella sua forma ma non nella sua essenza.
Spazzolato il piatto con una buona cerveza (birra), ci portano le nostre portate.
Piatto numero uno: due tortillas ben cotte sormontate da una dadolata di carne di filetto di maiale morbido e saporito in salsina piccante,  guarnito con griglia di formaggio fuso e, come se non bastasse, avocado tagliato a spicchi formaggiato pure lui.
Insomma, leggero!
Piatto numero due: petto di pollo ripieno con riso nero e insalata. Decisamente più sobrio del precedente, non fosse per il ripieno abbondante e intenso al formaggio.
Ma nessuno si è lamentato e soprattutto nessuno ha fatto brutti sogni.
Il cibo messicano alla fine inganna perchè se proprio non esageri con questa abbondanza di colori rossi, di peperoncini più o meno assassini e di sapori dolci come base di tutti i piatti, una birra fresca ti fa digerire il tutto prima ancora di toccare il cuscino.
Quello che non manca mai su tutte le tavole è la tortilla, una specie di piadina piccola, generalmente di mais, pressochè azzima, da farcire con ciò che si vuole.
Simile al concetto del pane toscano appositamente insipido per essere utilizzato al meglio come scarpetta o come bruschetta, la tortilla è la regina della cucina messicana.
Oggi abbiamo appuntamento a mezzogiorno per un assaggio di tacos e camarones sul lungomare con un geologo paleontologo messicano che ci racconterà come nuotare con gli squalo balena e quante ossa di balena preistorica ha pulito dalla polvere e dalla terra dei secoli.
Insomma, mica pizza e fichi!


mitica cipolla al jalapeno



piatto numero uno ovvero un condominio di strati


piatto numero due: l'insostenibile discrezione del petto di pollo


lunedì 8 dicembre 2014

Momenti di gloria

Succede che scrivi un post, lo pubblichi come sempre e come sempre lo annunci su twitter.
Succede che il giorno successivo scopri che il tuo articolo, proprio il tuo, appare su una delle testate  on line più seguite in Messico.
Riapri la pagina, la riguardi, controlli e non ti rimane che dire grazie, perchè grandi passioni portano a grandi sforzi e quando arrivano le soddisfazioni ti sembra di avere compiuto l'impresa del secolo.
Quindi grazie a All About Mexico Daily e al suo staff per avermi notato e apprezzato!!!

Que vaja bien! 


Gracias!!







domenica 7 dicembre 2014

Messico e nuvole

E' di pochi giorni la mail di una cara amica che mi scrive immaginando il Messico una terra immersa in una calda luce arancione mista a polvere di storia antica e sovrastata da un cielo grande come solo i cieli possono esserlo da questa parte dell'emisfero.



L'enorme palla del sole che tramonta è un bruscolino rispetto all'enormità di un cielo che vira dal rosa del mattino, al blu del giorno fino all'arancio della sera e dove puoi appendere tutti i tuoi pensieri dimenticandoteli.
E' una natura silente, questa, fatta di cinguettii misurati e fruscio di vento, di terra rossa che quando la bagni diventa una poltiglia collosa che macchia i piedi, di cactus giganti e solitari su cui le volpi si arrampicano all'alba a caccia di uccellini addormentati, di voci di gufi nel buio totale della notte e di voli rapidi di piccoli pipistrelli polverosi, di sonagli sotto ai sassi e cavalli liberi sui sentieri.
E' una natura che pare sonnecchiare dopo la violenza delle piogge che quando arrivano, e ti pare impossibile dopo tutto questo blu e questa polvere, piegano palme, cactus, cartelli di acciaio, scoperchiano le case, trascinano auto e creano fiumi dove prima c'erano strade.
Come in una guerra furiosa che dura pochi giorni.
Ma poi tutto rinasce ed è quella stessa pioggia che fa fiorire i cactus, mettere le foglie agli arbusti e creare nuovi paesaggi.
E' una terra di uomini forti e orgogliosi, con baffi irriverenti e l'attaccatura dei capelli bassa sulla fronte, con sguardi penetranti e rughe come solchi, con mani pesanti e nodose e con suoni dolci a volte bizzarri di quando ti parlano gentili.
Le donne non sono da meno, mujeres abbondanti dallo sguardo sfrontato ma che sanno abbandonarsi a dolcezze di mamma quando chiedi loro una porzione in più del piatto che ti hanno appena cucinato.
Non si piangono addosso, l'aspetto serioso nasconde un'indole gioiosa ma mai per nulla.
Non si abbandonano a piaggerie con secondi fini nè cercano di spillarti denaro solo perchè sei straniero.
Amano le donne e amano la bellezza che emanano.
"Ah, Italia"
E ti aspetti pizza spaghetti e mandolino.
Poi ti sorprendono con: "Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Vacanze romane!!" e pronunciando lollobrigida strascicano la g aspirandola soavemente, quasi la vedessero, la nostra "Lollo", e bramassero anche solo per un suo sguardo.
Difficilmente ti parlano in inglese, spesso non lo sanno e se lo sanno ti rispondono in spagnolo.
E quando tu parli loro nel tuo spagnolo zoppicante sempre bisognoso di conferme, fanno "si" con la testa e ti suggeriscono le parole o ti correggono quelle che hai detto.
E' un popolo terribilmente irresistibilmente profondamente romantico, che vede l'amor come il motore del mondo, struggendosi in canzoni e ballate dal ritmo coinvolgente e dalle parole suadenti.
Qualcuno sulla collina all'uscita di La Paz ha scritto con sassi bianchi su roccia rossa "te amo" con un grande cuore irregolare, un messaggio che nemmeno la pioggia può cancellare.



domenica 30 novembre 2014

Vivere nel mondo

Dopo la filippica dell'ultimo post mi accingo a cose positive: com'è vivere nel mondo?
Il senso della libertà è quello che prevale. Non avere orari o quasi, non avere una meta se non quella dettata dai desideri e dalle circostanze, spesso fortuite, come quella ultima.
Occorrono una buona dose di coraggio, una notevole flessibilità, profondo spirito di adattamento, una sana curiosità e pazienza a esaurimento, perchè viaggiare è anche fatica, attesa, ritardi, inghippi.
Ma il vero nomade non è propriamente colui che viaggia, quello è il viaggiatore.
Il vero nomade è colui che vive nel mondo spostandosi a ritmo irregolare e compiendo distanze a volte incomprensibili.
Insomma, volendo fare un esempio: come giudicate uno spostamento dalla Malaysia al Messico?
Che so, non c'erano terre di mezzo prima di fare un balzo così lungo che quando qui mi sveglio là vanno a letto?
Punti di vista. Chiedetelo a Samantha Cristoforetti sullo Sojuz che probabilmente ora ha una visione della terra come noi ce l'abbiamo di un mappamondo, nemmeno tanto grande in verità.
Aggiungiamoci la lista, ahimè nera, degli stati inaccessibili per problemi vari e il campo si restringe così le distanze diventano davvero relative.
Così accade che ci si ritrovi a respirare ogni volta nuovi odori, vedere tramonti inaspettati che hanno il potere di sorprenderti sempre, masticare nuove parole e assaporare nuovi suoni, vivere nuove avventure, gustare strani cibi ma, in una frase, fare ogni giorno nuovi ricordi.
I ricordi sono il nostro personale libro, da sfogliare nei momenti più impensati, da snocciolare a chi ha voglia di sentirseli raccontare, con gli occhi sgranati e una luce magica negli occhi.
I ricordi sono condivisione, profonda e vera, che supera ogni barriera di lingua e di età.
I nostri ricordi, miei e di mio marito, sono il modo di abbracciare tutto il mondo e di portarcelo dentro.
Baja California


India

 Sri Lanka

Bangkok Chao Praya

Singapore

Malaysia

Italia


Spagna

e soprattutto, il mondo, siamo noi
dove volgiamo lo sguardo,
là è la nostra destinazione








giovedì 27 novembre 2014

Il nomadismo

E' presto per tirare le somme, sì voglio dire non è ancora terminato novembre e già mi accingo a fare riflessioni su questo 2014 che è passato come un razzo (2014 vero? ultimamente con orologio e calendario ho qualche dissapore).
Ma qualcuno ha già cominciato a chiedermi cose riguardo al tipo di vita ormai consolidato che stiamo facendo, al recente cambio di rotta lasciando l'Oriente e l'immancabile domanda se mi manca l'Italia.
Parto dal fondo.
L'Italia, come forse ho già scritto, è un po' che mi manca, a onor del vero non la riconosco da parecchio tempo e forse è uno dei motivi per cui l'ho lasciata.
Ma non è cambiata - sento già la voce di chi mi risponderebbe così - è sempre la solita, solo peggiorata.
Bene, cioè male.
Una volta Alberto Sordi che faceva il piacione con la lana mortaccina o il vigile "de la curva de la morte" o ancora il medico della clinica privata, mettendo in evidenza i difettucci dell'italiano medio, lo faceva con allegria e tutti si rideva.
Le litigate politiche erano alla Don Camillo e Peppone, al massimo volavano due schiaffoni e che vuoi che sia, poi si andava tutti dalla maestrina del cuore in punto di morte e si faceva pace di fronte a cose di gran lunga superiori.
Da bambini la paura più grande era del buio o del brutto voto della maestra, non di salire su un autobus e venire picchiato.
Poi le cose han cominciato a cambiare ma verso il peggio.
Sto andando a parare al "si stava meglio quando si stava peggio", vero?
E' vero e non è vero. Certo è, che sembra un po' a tutti che lo stare meglio ci abbia rubato la nostra italianità, se mai ne abbiamo avuta una.
Lasciamo perdere la nostalgia, la dietrologia, i luoghi comuni seppur in questo caso veri, e veniamo alla pratica. In soldoni, cosa mi dovrebbe mancare dell'Italia?
Gli scioperi? Le tasse? Il ladrocinio a danno del cittadino medio (ovunque ti chini c'è uno zucchino che rimbalza, perdonatemi l'immagine ma rende)? I lavori sotto pagati, quando ce n'è uno? 
Paese che vai, governo che trovi. Verissimo.
Parliamo allora del nostro patrimonio culturale, unico, impareggiabile, che tutti ci invidiano.
Cosa mi dovrebbe mancare? Vedere i monumenti lasciati nell'incuria? La chiusura dei teatri? Le carenze nell'istruzione pubblica? Le scritte impunite sulle statue e sui palazzi storici? Il vomito e il piscio nelle vie del centro della mia città?
No, è un'altra l'Italia che mi manca e che ho vissuto per poco perchè dal delitto Moro in poi le cose sono cambiate. Non tanto perchè abbiano ammazzato Moro, ma perchè qualcuno che sapeva ha taciuto.

Ero partita dal voler esprimere qualche riflessione su questa nuova vita e sul recente cambio di rotta e mi sono persa in un flusso nostalgico polemico che non porta a nulla.
Inoltre già sento in sottofondo il tema "The way we were" dal film con Barbra Streisand.
Eccovela, se ve la volete sentire o risentire rileggendo mentre vi date una martellata sui denti:


Animo animo! 
Perdere il filo del discorso sembra essere il mio nuovo mestiere e quindi rimando a domani il post che volevo scrivere oggi.
Comunque si stava meglio quando si stava peggio e quando si stava peggio non c'era internet perciò nessuno lo diceva!


GUARDARSI ALLE SPALLE PUO' ESSERE RIDONDANTE..........




lunedì 24 novembre 2014

Dove abita il silenzio

Ho sempre pensato all'Oriente, prima di abitarci intendo, come ad un luogo lontano dai rumori, tranquillo, avulso dai ritmi frenetici occidentali, un posto dove sedersi ovunque capiti e meditare, socchiudendo gli occhi e abbandonandosi al flusso dei proprio pensieri.
Incensi che bruciano, stoffe leggere che si muovono alla brezza del vento, un canto lontano di monaci che pregano, un'armonia sottile che permea ogni cosa....dite la verità, ci avete pensato un po' tutti, vero?
Mi dispiace incrinarvi un'immagine così sapientemente romantica e bohemienne, che fa molto figli dei fiori  tutti "peace and love", ma la verità fa sempre un po' male.
Siamo realisti, gli ashram in India esistono ma te li devi andare a cercare (spesso pagare) e per farlo ti muovi in un caos di persone mucche autobus risciò capre elefanti scimmie e topi che 24 ore al giorno rumorosamente esistono, senza tregua.
La Thailandia non è da meno, con quella lingua adorabile che sembra una musica ma che ti risuona nelle orecchie notte e dì, insieme a campanelli, tuk tuk, gong e immancabili clacson.
Vogliamo parlare dello Sri Lanka? I monaci cantano le preghiere attraverso megafoni posizionati un po' ovunque, a partire dalle 4 del mattino, il furgoncino del pane fresco passa per le strade alle 5 con una bizzarra musica di Natale suonata con lo xilofono a volume altissimo e durante il giorno sono costanti il vociare  (ma di che parlano tutti?), il traffico, i canti dei monaci e i clacson. Quando alla notte potrebbe esserci un poco di silenzio, attaccano le rane toro che, vi posso assicurare, muggiscono.
Trovare un momento che sia silenzio assoluto è praticamente impossibile.
L'Oriente è RUMORE, è frenesia, è vita, è incontrare sempre qualcuno che ha voglia di fare la tua conoscenza preservandoti da un isolamento che spesso cerchi ma inutilmente.
Ora che sono dall'altra parte del mondo, in un mondo che non ho mai conosciuto, si presenta una situazione bizzarra.
Uno dice : Mexico! e pensa ai sombreros, a danze e birra a tutte le ore, alla gente che ti cerca, alle feste tutte  tortillas e tequila, e invece....
E invece SILENZIO, lui, l'insospettabile, l'irraggiungibile, a metà tra bestia mitologica e sogno proibito.
Viviamo in una vallata sul mare dove il primo vicino è a 500 metri di distanza che se morisse ce ne accorgeremmo dagli avvoltoi in cielo, la strada principale che ci collega alla città più vicina (distante 20 km) è un'unica fettuccia di asfalto che corre lungo la costa e per raggiungerla devi attraversarla, questa valle, così che tra te e la strada c'è un mondo di cactus, cespugli, montagne e terra rossa.
Svegliarsi alla mattina è prepararsi un caffè, sedersi fuori davanti alla linea dell'orizzonte, quando il sole è ancora basso alle tue spalle, e ascoltare.....il SILENZIO.
La notte è priva di luci artificiali, non ci sono lampioni e non ci sono case e quelle poche sono solo luci tremolanti in distanza. 
Ma quando in quell'oscurità alzi gli occhi al cielo, a quella volta bucata da miliardi di stelle, allora senti che non c'è bisogno di luce, respiri forte come se un po' di quelle stelle potessero entrarti dentro ai polmoni e donarti un po' di quell'eternità.




martedì 18 novembre 2014

Tra il dire e il fare

Immaginate, quante volte avreste voluto essere irreperibili o semplicemente non esistere.
Telefoni che non funzionano (tenerli spenti non vale, prima o poi con una scusa vengono riaccesi), nessuno che possa raggiungervi (ma proprio nessuno, nemmeno in caso di emergenza), nessuna notizia dal mondo e nessuna possibilità di cambiare idea e di tornare alla reperibilità.
E' per questo che io amo tanto volare.
Provare il brivido del non luogo e del non tempo mi emoziona ogni volta e in questa occasione mi sono proprio tolta la voglia.
Il meditabondo soggiorno in Malaysia ha fatto germogliare in noi un seme che era lì, dimenticato da tempo; faceva capolino dalla terra asiatica di tanto in tanto, con assoluta discrezione e addirittura un che di nostalgico, come se appartenendo ai tempi andati non potesse più tornare.
Negli ultimissimi tempi poi la frequenza con cui si parlava o soltanto si nominava il Sud America stava aumentando in modo imbarazzante, fino a quando per un'occasione più che fortuita qualcuno ci ha nominato il Messico.
Con noi queste cose sono pericolose, non ci mettiamo molto a fare i bagagli, prendere un biglietto e buttarci nella vita. Questo è il nostro mestiere.
Così, "tra il dire e il fare" noi abbiamo fatto.
Chè le chiacchiere stanno a zero da un po' di tempo.
Abbiamo volato all'indietro nel tempo, letteralmente, viaggiando di notte ma una notte che non finiva mai, lunghissima, sospesi nel cielo nero illuminato solo dalle luci dell'aereo.
Saldi ai nostri seggiolini, abbiamo mangiato, bevuto, dormito, parlato, riso, guardato film, letto, scritto, come se la vita fosse tutta lì. 
Abbiamo avuto l'abilità di azzerare l'attesa e di rendere il presente la sola cosa possibile.
Non ho mai pensato per un attimo a come sarebbe stato, allontanarmi così tanto dall'Oriente e catapultarmi in un mondo completamente diverso, quasi agli opposti.
Eppure.
Eppure sono solo pochi giorni che calpesto il suolo (arido) messicano e provo quella bizzarra sensazione di esserci già stata, di ritrovare le cose come le avevo lasciate pur essendo la prima volta che sono qui.
Sono circospetta nelle mie riflessioni, in realtà osservo tutto e lascio depositare in un angolo nascosto di me.
Non mi lascio andare a facili entusiasmi, a parte per la meraviglia insindacabile dei paesaggi, delle spiagge, dei tramonti, della natura così dannatamente ostile eppure viva.
Eppure.
Eppure c'è un lumicino piccolo piccolo che si è acceso, laggiù, dove nascono le cose, e lasciamolo lì.
Potrebbe arrivare un vento forte e spegnerlo oppure potrebbe crescere fino a diventare un fuoco.
La nostra è ormai una corsa contro il tempo.
La lista di posti inaccessibili diventa ogni giorno più lunga, drammaticamente.
Adesso qui è sera, scrivo davanti ad un tramonto che non fa rumore, solo qualche cicala e il richiamo buffo di un geco.
Cosa sarà domani, come sarà, è futuro, è ignoto, è distante una lunga notte.





venerdì 14 novembre 2014

Pensieri da un grattacielo

Concedersi il lusso di oziare anche quando si è in giro per il mondo, senza per forza dover rincorrere metropolitane o fare code davanti ai musei, è un'esperienza impagabile, soprattutto se invece di essere in un albergo dai ritmi scanditi, si vive in un appartamento normale.
La tentazione di fingersi abitanti residenti, uscendo per fare la spesa o per portare le camicie in lavanderia, è forte e inevitabile, poichè queste azioni quotidiane devono essere comunque svolte.
Ma l'atteggiamento, quello che ti fa attraversare la strada come se fosse un'abitudine o che ti fa evitare di fissare le Petronas come se le vedessi ogni volta come fosse la prima, ecco, per quello esiste una predisposizione.
Del resto le lunghe soste in posti in cui ci sentiamo "come a casa" un poco ci trasformano i connotati, non così tanto da farci sembrare del posto, come quella volta in Sri Lanka in cui una guida di un parco mi chiese se ero locale, lasciandomi a bocca aperta.
Qui, a Kuala Lumpur intendo, viviamo al trentesimo piano di un condominio a due passi dalle Petronas e dal centro commerciale Suria, il che consente di uscire anche all'ultimo momento per una spesa veloce, un cinema, una commissione in posta o in banca, insomma una vera pacchia.
L'unico vero neo è l'insuperabile spavento che si prende ogni mattina, svegliandosi, quando ci si affaccia sorridenti alla finestra o al balcone dimenticandosi di essere ad un'altezza che smorza in millisecondo lo slancio energico alla giornata che inizia.
Va detto poi che la nostra camera da letto, con due pareti interamente a vetrata, è stata ricavata in un cubo che sporge dal grattacielo con una buona parte del pavimento quindi sul vuoto.
Insomma, per chi è nato nella bassa Padana è pur sempre un trauma...
Però, ecco lo volevo dire, queste altezze elevano i pensieri e mi spingono a sognare ancora di più, se mai ve ne fosse bisogno.
Svegliarsi al mattino, nel silenzio ovattato della città avvolta in una nebbia surreale, superare il trauma altezza e prepararsi un caffè che duri possibilmente il tempo della consultazione di giornali italiani, inglesi, americani, singalesi e malesi (chè bisogna restare informati!), seduti magari sul divano, predispone inevitabilmente al buon umore.
E' in quei momenti che nascono le idee come funghi dopo un temporale.
Sarà l'altezza, sarà il silenzio, ma la mente viaggia come se non ci fosse un presente.
Insomma, forse l'avrete capito che noi siamo già pronti per una nuova avventura......

da su a giù

da giù a su

...e di notte i fuochi d'artificio illuminano il cielo!




martedì 11 novembre 2014

Becchi e piume




Ci sono luoghi che meritano descrizioni prolisse, articolate, strutturate e ci sono invece luoghi per i quali sarebbe sufficiente una carrellata di foto minimamente accettabili.
Il Bird Park di Kuala Lumpur rientrerebbe nell'ultimo caso, una vera e propria oasi per gli uccelli che lo abitano, la maggior parte completamente liberi.
Raggiungibile via metropolitana o autobus, il Parco è appena decentrato rispetto a KLCC, tant'è che è sufficiente alzare la testa e vedere le Petronas in distanza, ma quelle, è noto, sono come il prezzemolo nello skyline di Kuala Lumpur.
Un sentito consiglio: è bene arrivare non più tardi delle 10 del mattino o il caldo opprimente vi schianterà al suolo, tra zampe di fenicotteri e becchi di pellicani, il che per alcuni potrebbe risultare simpatico ma vi garantisco che la reazione dei pellicani alle invasioni umane è alquanto imbarazzante (la cacca a mitraglia non piace a nessuno).
Di dimensioni decisamente più modeste del Jurong Park di Singapore e con un numero inferiore di esemplari, a noi personalmente è piaciuto di più.
Volete mettere la bellezza di passeggiare fianco a fianco, meglio fianco a ala, con un trampoliere che tranquillo e forse anche un po' annoiato non vi cede il passo nel vialetto?

Grazie ad un semplice ma geniale sistema di reti aeree spesso impercettibili, ci si ritrova dentro ad una enorme voliera dove la maggior parte degli uccelli è libera di scorrazzare in lungo e in largo.



Le reti sono assicurate qua e là ad enormi tralicci che fanno molto Jurassic Park e i diversi settori sono separati tra di loro da porte a doppio battente con bussolotto interno in modo da non mescolare aironi con pavoni o piccioni con tucani.
A proposito dei tucani: ma avete un'idea di quanto sono grandi?
Uno pensa ai tucani e subito ricorda i becchi gialli esagerati ma nessuno pensa mai alla loro stazza perchè per portare in giro un tale becco ci vuole il fisico!

e ci vuole fisico anche a reggerne uno, di tucani......

nell'immagine a seguire  notare lo sguardo completamente perso da totale godimento




Ho avuto un buon quarto d'ora di black out nel cervello mentre mi spupazzavo tucano e gufo; solo per il fatto di averne uno sulle ginocchia e uno su una spalla, il mio cervello ha fatto "click" e i gentili inservienti del Parco mi hanno dovuto letteralmente strappare i pennuti dalle braccia in un clima di generale imbarazzo.
Perchè io me li sarei portati a casa, per dire....
Esclusa a forza l'ipotesi "furto" al Bird Park, il gentile marito mi ha trascinato verso il settore dei pappagalli che non mi hanno mai entusiasmato più di tanto, ma forse perchè non mi sono mai ritrovata con un bicchiere di latte in mano in mezzo a loro......


Il colore rosso era "assordante" almeno quanto la voce stridula.
Rischiando le dita ogni volta che tentavo di accarezzarne uno, all'esaurimento del latte siamo usciti dalla zona pappagalli per vagare nel parco, perchè tante emozioni vanno poi compensate con un poco di normalità.
Fenicotteri, egrette, piccioni crestati giganti, struzzi ed emu ben chiusi dietro a doppie grate di sicurezza e finalmente, all'orizzonte, loro, i pellicani.

quello è un piccione, giuro
notare l'uomo somministratore di becchime sulla destra

eravamo quasi amici....

Gli immancabili pavoni hanno offerto un ricco spettacolo con la noncuranza di attori consumati:

DAVANTI


DIETRO

CHIUSO



Cascate artificiali, laghi con carpe koi, ponti sospesi su agglomerati di fenicotteri rosa, gruppi di ibis rossi come il fuoco e un raro pavone albino.
Il Bird Park di Kuala Lumpur è un luogo vivo e entusiasmante, io ci tornerei volentieri, magari con una borsa più grande, chè il tucano e il gufo insieme tengon posto.......
















mercoledì 5 novembre 2014

Eat, sleep, base jump, repeat!!

Cediamo facilmente alle imprese da brivido, non si può negarlo.
Amanti delle cause perse (ma solo per smentirle) e delle avventure bizzarre (che spesso troviamo normali), una volta saputo dell'evento dell'anno a Kuala Lumpur, abbiamo atteso con trepidazione "quel" giorno: il Base Jump dalla Menara Tower.
I base jumper sono arditi paracadutisti che decidono di lanciarsi da vette inconsuete quali precipizi naturali, gru, grattacieli, tralicci e ponti.
Nel caso specifico di Kuala Lumpur è dalla Menara Tower, la torre delle telecomunicazioni alta 421 metri, che base jumper di ogni nazionalità si lanciano da soli, in coppia o in gruppo in un clima davvero entusiasmante.
Pagando un biglietto di 179 ringit a testa (43 euro) si può salire e far ciondolare i piedi fuori dell'esiguo parapetto a 421 metri, opportunamente imbracati e assicurati a cavi di acciaio.
Ora, il fatto di essere imbracati non esclude, ve lo posso assicurare, il brivido di essere ad un'altezza realmente poco comprensibile per chi non è avvezzo a scalate o lanci, ma è solo una ovvia e indispensabile misura di sicurezza.
Dalla finestra del nostro appartamento li vediamo, questi puntini pazzi, attraversare lo spicchio di cielo come strani uccelli paradiso che, prima di toccare terra, spiegano ali colorate sopra la testa.
Arriviamo vicini alla torre e quei puntini diventano via via più grandi, sentiamo il fruscio del paracadute che si apre e le urla di chi incoraggia o elogia fino a che li incontriamo paonazzi mentre, a bordo di un motorino che li riporta alla torre, scalpitano per arrivare, salire e rilanciarsi ancora.
L'enorme fungo da sotto costringe ad un movimento che è già una vertigine: cioè se non fletti all'indietro completamente la testa non riesci a vedere la fine della torre, a meno che non ti sdrai sull'asfalto a faccia in su.
Il pubblico che ci precede nell'ultimo anello è praticamente invisibile da quaggiù e la cosa comincia a farsi un poco inquietante.
Entriamo, biglietteria, regali vari in borsina di tela da riutilizzare con una punta di vanto in Occidente, attesa ingannata da 15 minuti di cinema 6D (un'esperienza da rifare tutti i giorni: legati a strani sedili rigidi, indossiamo occhiali 3D e quando le immagini partono, parte tutto ovvero poltrona, vento, suoni, sensazioni e voliamo ridendo come bambini immaginando ma poi nemmeno tanto, di essere a bordo di uno di quei carrelli da miniera sulle rotaie dismesse in un canyon. E via con i saliscendi, i binari interrotti o attraversati da treni impazziti, entriamo in gallerie, cunicoli, sfidiamo altezze proibite, entriamo in corsi d'acqua e purtroppo, l'unico grande difetto, dopo soli 15 minuti tutto finisce) e finalmente saliamo in ascensore.
Prima sosta il punto di osservazione, all'inizio del fungo. Dietro ad enormi vetrate, ben al sicuro, possiamo ammirare da una notevole altezza il panorama di Kuala Lumpur, intervallato di tanto in tanto da qualcuno che piroetta o si lancia a missile da più in alto.
Pochi minuti, il tempo di qualche foto, e saliamo al punto di lancio.
Quando l'ascensore si apre sulla stanza dove gentili ragazzi provvedono alla tua imbracatura, si avverte subito quella sensazione di vuoto, pericolo e insieme vertigine stimolante che deriva non solo dalla porta aperta in fondo al corridoio senza grattacieli in prospettiva, ma anche e soprattutto da un silenzio strano, un coagulo di suoni rarefatti come quando nevica e tutto sembra dilatato.
Bene, qui la dilatazione è l'altezza, tutta quella che c'è tra noi e l'asfalto.
Imbracati a puntino ci fanno uscire sull'anello esterno che è separato dal parapetto da un vetro trasparente.
Una passerella dedicata ai base jumper finisce la sua corsa nel cielo e l'irrefrenabile quanto misterioso desiderio di percorrerla di corsa per lasciarsi andare nel vuoto, mi fa friggere per un attimo le ginocchia.
Per un attimo rimaniamo a fissarli, questi ragazzi e ragazze con scarpe da ginnastica, maglietta, casco e para ginocchia, dare uno sguardo giù, attendere il segnale, prendere la rincorsa e lanciarsi con entusiasmo.
Il nostro assistente se la ride, deve essere abituato all'espressione che fanno le persone quando vedono qualcosa di così innaturale eppure tremendamente affascinante.
"Volete andare fuori?"
Il fuori è oltre il vetro, scavalcando il piccolo parapetto per sedersi sull'esiguo davanzale di lamiera.
Se ci pensi su un attimo è finita, così rispondiamo sì con una enfasi che è più un auto incoraggiamento che una convinzione.
Ci accompagna oltre il parapetto con tranquillità, fissa il moschettone ad un cavo di acciaio sul quale può scorrere, un'ultimo controllo all'imbracatura e...via, nel vuoto.
La prima cosa che si fa è guardare giù, perchè non ti capaciti immediatamente di dove càspita sei finito.
Poi prendi tempo guardando chi si lancia, in attesa della sufficiente confidenza a sedersi sul davanzale.
Infine speri che i 45 minuti di tempo che ti hanno dato non passino mai perchè i tuoi occhi non si stancano di guardare i base jumper, le loro evoluzioni, gli atterraggi laggiù, lontano e speri che nessuno venga a farti tap tap sulla spalla per dirti che devi rientrare.
In realtà nessuno viene a chiamarci, probabilmente grazie alle poche persone che decidono di sedersi dove ci siamo seduti noi, così l'unico motivo per cui dopo più di un'ora decidiamo di rientrare è il sole, così forte e intenso che temiamo di aver preso una solenne scottatura.
Leviamo l'imbracatura, un ultimo sguardo al "fuori" tra le urla a perdersi di chi si lancia e poi via, in ascensore, con la porta che si chiude alle nostre spalle.
In un attimo veniamo privati di quella luce e di quel silenzio inconsueto che ci hanno fatto sognare e una volta a terra, riguardiamo in alto come se stessimo guardando ancora un sogno.
























PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA'

Una sana auto promozione non ha mai fatto male a nessuno, così interrompo momentaneamente racconti e reportage per annunciare che finalmente la "creatura" è su Amazon 


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Grazie!!!!

p.s. di solito in queste occasioni sono doverosi i ringraziamenti ma vorrei evitare di annoiarvi con frasi melense da notte degli Oscar (e ahimè non sto indossando un vestito lungo nè reggendo un microfono, quindi..). 
In ogni caso sappiate che ho due genitori super, un Giacomo che fa editing come se non ci fosse un domani e io, insomma, me la cavo.
Chi? Mio marito?

  .............(cit.)
"Non voglio parlare di noi. E' come essere entrati in possesso di un tesoro nascosto.
Lo cerchi per tanto tempo e immagini il giorno in cui lo troverai e vorrai gridarlo al mondo..."