venerdì 6 luglio 2012

Goa, sfaccettature dell'India

Nel breve corso di un mese l'India ci ha attraversato con le sue mille sfaccettature e ci ha spesso lasciati  silenziosi nei nostri pensieri.
Dopo la breve sosta a Mumbay, arriviamo a Candolim, nel Goa, assetati di natura e di mare.
Il Per Avel è un alberghetto discreto e pulito, a pochi metri dalla spiaggia, dove si respirano pace e serenità; la proprietaria è una attempata signora indiana con un grosso paio di occhiali in osso e l'aria dura di chi è abituato a sbrigarsela da sola, come quella sera che l'abbiamo vista affrontare un avventore inglese ubriaco e molesto con grinta e decisione.
Si è circondata di due soli aiutanti, l'uomo alto e magro delle colazioni, che parla poco e dondola molto il vassoio nel tentativo di risultare impeccabile, e la ragazza addetta alle pulizie delle stanze, che ogni giorno indossa un sari diverso, impalpabile e frusciante come la sua grazia nell'incedere silenzioso per il cortile.
Ci bastano poche ore per affezionarci ad un posto che da quel momento in poi avremmo chiamato casa.
Per vivere il Goa esistono due possibilità: affidarsi al percorso già tracciato per i turisti e perdersi, ma solo metaforicamente, nei mercatini finto hippy di Arambol insieme a figli di papà con improbabili rasta e aria pseudo bohemienne oppure penetrare la foresta dove il verde delle foglie diventa più intenso, interrotto solo da discreti agglomerati di capanne, e dove le strade sono strisce di terra rossa punteggiate ogni tanto da mucche parcheggiate a ruminare il nulla. E perdersi, ma non solo metaforicamente, a Terekhol, Keri Beach, dove la strada finisce, interrotta dalla foce del fiume che si butta nell'Oceano.
I cani qui sono tutti uguali, vivono allegramente sulla spiaggia e giocano a rincorrersi e a mordersi le orecchie; paiono ridere mentre danzano e compiono piroette. Ti scrutano diffidenti ma non troppo se ti avvicini e hai del cibo.
Nel Goa si attende la sera e con la sera un tramonto che non ti vuoi mai perdere, fosse anche il centesimo che vedi; una birra e un Old Monk, rhum dolcissimo indiano, e la visione del sole che si tuffa nell'acqua sciogliendosi costituiscono il nostro speciale rito.
Parole e risate nel vento, qualche guaito di cani lontani, grida di bambini insieme ai cani e poi il silenzio e la piacevole brezza della notte che arriva.
Questa bolla che chiamiamo mese ma che in realtà è un contenitore così elastico da far durare i giorni mesi e un mese un attimo, contraendosi insieme alla nostra anima, sta per terminare e il pensiero di tornare è come a sette anni, alla fine dell'estate, quando sistemavo la cartella per l'inizio della scuola e pensavo che non era possibile che fosse già finita....
Ad alimentare le nostre difficoltà ad andarcene da Candolim ci si mette il signor Fernandez, taxista-noleggiatore di motorini-barista. Ci salutiamo consegnando il motorino che ci ha accompagnato per oltre 700 km di entroterra e foreste e ci diciamo a presto con la speranza nel cuore.
Ma dopo una ventina di minuti di corsa in taxi verso l'aeroporto, ad un semaforo il Sig.Fernandez si avvicina con il suo taxi per salutarci di nuovo: ci aveva seguiti aspettando il primo momento possibile di sosta per dirci ancora a presto. Ha il sorriso pieno e gli occhi un poco umidi. Come noi.
Candolim -Mumbay - Milano Malpensa.
Chissà perchè i ritorni sono sempre così difficoltosi.
All'aeroporto di Mumbay ci troviamo a dover sostare, in attesa del nostro volo di rientro, in un enorme capannone dove, improvvisamente, viene a mancare la luce.
Quando lasci l'India è un po' così, ti viene a mancare quella speciale luce di ogni giorno e senti aprirsi nell'anima una ferita di cui avrai cura per sempre.
E' quello che io chiamo Mal d'India, una sindrome incurabile, che ti accompagnerà per sempre e farà sì che ogni giorno i ricordi diventino perle immutabili.



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