mercoledì 2 ottobre 2013

Una giornata a Colombo. Diario di una sopravvivenza.


Il sud dello Sri Lanka ha i suoi bei vantaggi: semplicità della gente, tranquillità, folklore, belle spiagge, natura incontaminata o quasi.
Il rovescio della medaglia?
Ogni documento importante richiede un giorno di spostamento per e dalla capitale Colombo, il che di per sè non sembrerebbe nulla di così drammatico.
Non se possiedi un elicottero.
Non se possiedi un jet personale.
Non se sei un personaggio di Star Trek e hai il teletrasporto in cucina.
Insomma, escludendo queste tre fortunate situazioni, se devi andare a Colombo in giornata, inizia a pregare dalla mattina presto.
Esistono tre possibilità per raggiungere la capitale:
  • autobus (avete presente quei dirigibili su ruote lanciati a tutta velocità spesso guidati da un folle strafatto di betel? ecco, quelli)
  • treno (sì, che bello, il trenino che ti siedi, guardi fuori dal finestrino, fai un po’ di conversazione, leggi un libro e aspetti solo di arrivare in stazione....)
  • auto a noleggio con autista (praticamente un salto nel buio: l’autista si addormenterà? messaggerà con la fidanzata? consulterà facebook? eh sì, tra le tante cose intelligenti che sono arrivate in Asia dall’Occidente c’è anche e soprattutto facebook, praticamente un incubo)
La scelta è piuttosto ovvia e coerente con il nostro modo di viaggiare: treno.
Abbiamo nella memoria e nel cuore il viaggio in treno nel cuore dello Sri Lanka fatto a febbraio di quest’anno e di cui ancora non ho scritto.
Per farla breve: un autentico sogno.
Carrozze pulite, bei panorami tra foresta, paesini e oceano, costi ridicoli e puntualità, posti a sedere spartani ma comodi.
Sveglia alle 5, treno alle 6, stazione principale, il capolinea del sud, dove si formano le carrozze.
Arriviamo in anticipo, il treno è già sul binario uno, saliamo.
Un posto, un mezzo posto, un buco per la borsa, nulla. Pieno. Esaurito. Seconda e terza classe, anche la locomotiva dove siede il macchinista è piena.
Il che significa farsi tre ore abbondanti in piedi su un treno che quando arriva a Colombo sembra un carro bestiame poichè ad ogni fermata salgono quei 100-120 esseri umani come te disperati di salire. E le fermate sono tante.
Ora, capisco che può succedere di farsi un viaggio in piedi, di lunedì poi che è l’unico giorno della settimana in cui davvero si lavora, ma farselo sotto ai piedi e alle ascelle di qualcun altro.....ecco questo è stato troppo.
Mettiamo poi che non sei proprio una cima in fatto di altezza, non pesi più di 45 kg vestita e ai piedi non hai le scarpe antinfortunistica con le punte rinforzate in acciaio ma un paio di ciabattine infradito di gomma, ecco ad ogni fermata se non reagisci di gomito e non hai l’uomo che ti fa da scudo, a Colombo sì ci arrivi, ma sotto la suola di una scarpa.
Durante questo “indimenticabile” viaggio ho comunque scoperto che:
  • i singalesi generalmente non puzzano ma quando puzzano non scherzano e approfittando della ressa svuotano bene e volentieri eventuali gas in eccesso che si portano dentro
  • il concetto di “è pieno, non ci sta più nessuno” è stato sostituito da “saliamo tutti, c’è ancora posto tra un mento e l’altro”
  • la mia convinzione di aver modificato il mio personale concetto di prossemica era solo una convinzione. Mi spiego meglio: pensavo di poter reggere alla vicinanza eccessiva tra esseri umani lasciando che invadessero i miei 30 cm di salvezza ma in realtà ho scoperto che varcare quel limite mi scatena istinti omicidi e sete di sangue
  • esistono persone che hanno dormito in piedi senza nemmeno tenersi ad un supporto durante tutto il viaggio. E chi cade in tre centimetri di spazio? Il sonno poi doveva essere pesante vista la totale insensibilità alla mitragliata di gomitate del mio amato uomo scudo.
  • nessuno è salito a controllarci il biglietto e se lo ha fatto devono ancora rimuoverlo dalle suole di qualcuno
Il treno si è svuotato come il sacchetto dei numeri della tombola, solo alla penultima fermata, così ho potuto riabituare i polmoni a respirare, togliere dalla fronte il sudore dell’ascella che mi ha fatto ombra per tre ore e soprattutto riappropriarmi della funzionalità delle mie ginocchia che nel frattempo si erano calcificate.
Accompagnati dal pensiero nauseante di dover riprendere il treno per tornare a casa dopo poche ore, abbiamo affrontato con sprezzo del pericolo e profondissima dignità un ufficio governativo che racchiudeva al suo interno probabilmente tutte le ascelle pezzate trovate sul treno.
Il nostro contatto, quello che doveva velocizzare le nostre pratiche evitandoci 6 ore di attesa, aveva pensato bene di andarsene a pranzo proprio al nostro arrivo così un nanerottolo di turno con riporto unto svolazzante e in preda a delirio di onnipotenza si è offerto per sostituirlo chiedendo però un obolo ben più alto per i suoi servigi.
Benissimo, oggi va bene tutto, basta fare presto così da riprendere al volo (si fa per dire) il treno delle 10.15 senza dover aspettare quello delle 14.20.
Presto è solo un suono senza alcun riscontro oggettivo.
Quarantacinque minuti.
Quarantacinque lunghi minuti di attesa contro i cinque preventivati in cui oltre a essere insultato in dialetto parmigiano e a sentirsi decurtato l’obolo ogni dieci minuti persi, l’ometto ha avuto anche il coraggio di darci un bigliettino da visita per futuri servigi.
Se mai ci servirà uno stura lavandini, sappiamo chi chiamare, sempre però se non abbiamo fretta.
Il treno delle 10.15 ovviamente è perso, irrimediabilmente partito.
Il traffico a Colombo è sempre tanto ma a volte pare proporzionale alla voglia che si ha di andarsene da quel vespaio.
Quel lunedì maledetto la voglia di tornarsene a casa era superiore anche alla voglia di farsi un giro shopping da Odel, mecca del consumismo.
L’idea di noleggiare un’auto si insinua come il sogno di fare la pipì quando scappa davvero e si sta dormendo. Se non si corre in bagno si finisce di farla nel letto.
Ecco, non vorremmo trovarci a puntare un coltello alla gola al primo fermo al semaforo per prendergli l’auto, così cominciamo una lunga contrattazione con diversi autisti.
Salta fuori un ragazzotto al quale per un attimo ho paura a chiedergli i documenti perchè se questo ha 18 anni allora io sono ancora lontana dagli anta.
Trattiamo finalmente una cifra che ci sembra più che accettabile e saliamo su questa specie di mini van per bambole con gli immancabili vetri oscurati dalla pellicola che fa sembrare Colombo sotto uragano.
Non ci sembra vero, tra poche ore potremmo essere di nuovo a casa, nel soporifero e tranquillo profondo sud.
Ma è lunedì, siamo a Colombo e la giornata è tutt’altro che finita.
E la nostra pseudo tranquillità si incrina pericolosamente alla domanda:
“ehm...volete fare l’autostrada o PREFERITE LA STRADA NORMALE?”
Strada normale? Cioè intendi farsi tutta Colombo sulla costa e proseguire giù giù fino in fondo e oltre, passando settemila villaggi e sottovillaggi? ma che sei matto? io vorrei arrivare prima che tramonti il sole!
Alla risposta “Autostrada” l’imberbe sgrana gli occhi e con nonchalance si ferma e chiama la mamma, cioè no scusate chiama in ditta e chiede la strada.
Ottimo, vien quasi voglia di farlo sedere dietro e far guidare noi, ma non si può.
Raggiungere l’autostrada di Colombo quando sei a Colombo è un vero incubo perchè il traffico è tale che per compiere anche solo un tragitto di 4 km a volte può significare farsi un’ora di smog.
Ma esistono scorciatoie, trucchetti, vie secondarie che allungano il percorso ma in realtà lo accorciano in termini di tempo poichè più snello e veloce.
Certo, ma per conoscerli devi essere almeno maggiorenne da qualche mese e non è il nostro caso.
Così passiamo circa un’ora e mezzo tra frenate e ripartenze, frenate e ripartenze, tanto che abbiamo come una reminiscenza delle vomitate durante le gite scolastiche quando si viaggiava in fondo alla corriera per cantare insieme agli altri per poi finire davanti, vicino all’autista, bianchi come cenci e con un limone in bocca.
Capiamo il traffico, capiamo il fatto che non sei pratico di scorciatoie, ma per la miseria impara a usare i pedali che non siamo sull’autoscontro!
Vista la partenza decidiamo di fermarci (ancora) nel primo supermercato sulla strada per comprare bibite fresche e fortunatamente (aspetta...) ci imbattiamo in un Cargills mega rifornito.
Acqua, bibite e un ghiacciolo. Una persona davanti a noi alla cassa. E l’imberbe fuori in macchina in panico sparato da prima volta in autostrada.
Cassa bloccata.
Ovvio.
Arriva il “controllore sistemo tutto io” ma noi non ci fidiamo e cambiamo cassa.
Non ha il resto di 10 dico 10 rupie (pochi centesimi). Ripenso alla praticità del sud, del sud dello Sri Lanka intendo, quando non hanno dieci rupie e ti regalano una caramella.
No, qui è il Cargills, qui non si regala nulla. Se ti devo dieci rupie aspetti fino a che non si materializzano nella cassa della vicina.
Finalmente arrivano le dieci rupie, mollo il ghiacciolo diventato brodo e risaliamo in auto.
Via!
Beh, via è una parolona.
Il caldo ci sta mangiando le orbite degli occhi: possiamo accendere l’aria condizionata?
Inchioda (ancora) e ci dice che per quella c’è un sovrapprezzo.
Come come??? Eh sì, mica è colpa sua, è colpa della mamma, ehm della compagnia.
Benissimo, piuttosto di pagarti il sovrapprezzo facciamo una sauna gratis. 
Raggiungiamo a fatica dopo frenate e ripartenze l’imbocco dell’autostrada e stranito l’imberbe ci guarda e ci chiede cosa deve fare.
Mioddio.
Frena, prendi il tagliando che ti viene consegnato dall’ometto nella guardiola. No, non si paga subito, paghi alla fine.
Quale strada devi prendere? beh, quella davanti a te, non certo quella che ti fa uscire di nuovo...
Appena presa la grande strada a due corsie praticamente deserta (qui l’autostrada è ancora un bene di lusso) si piazza in corsia di sorpasso a manetta.
Dovremmo spiegargli che non è una gara e che il limite di velocità dei cento, a volte dei novanta, andrebbe rispettato.
Ma va bene così; controlliamo che non gli si abbassino le palpebre, cosa che non avviene perchè è tutto nuovo per lui e per un attimo avverto l’emozione di aver fatto provare per la prima volta l’autostrada a un autista diciamo così professionista.
L’emozione dura poco.
Un rumore di ghiaia sotto al freno a mano lo spaventa e spaventa ancora di più noi.
Cosa essere successo???? chiediamo titubanti.
Pezzi di strada.
Eh certo, è risaputo, l’autostrada a volte si stacca come un torrone a Natale e i pezzi finiscono arrovigliati sotto al freno a mano.
Ommioddio, ommioddio.
Lui sembra tranquillo fino al successivo rumoraccio.
Decide di frenare, ancora, e di mettersi a lato strada.
Gli facciamo notare che dovrebbe fermarsi dove trova una piazzola, una rientranza, non in carreggiata!!!
Riparte, dopo pochi kilometri si ferma, poi riparte.
Accosta e abbassa il sedile a fianco il suo: il motore è sotto ai sedili e il fatto che non ci sia odore di bruciato ci rassicura.
Riparte, frena, accosta, riparte, frena, accosta.
Decidi una volta per tutte, qui siamo al limite del vomito da più di un’ora!
Scende e solleva anche il suo sedile a motore acceso (e la cosa non mi tranquillizza per niente).
La cinghia della dinamo è svolazzante come una farfalla impazzita.
Ma ste macchine le controllate di tanto in tanto o le usate fino a che ce n’è un pezzo?
E poi: frena che ti rifrena cosa ti aspettavi?
L’imberbe chiama mamma, sì dai, la compagnia di taxi.
Strano, si accende una luce strana della batteria!!!
Ma tesoro, se la cinghia della dinamo è partita, la batteria non si ricarica e se continui a frenare e partire ci troveremo in un bel guaio che nemmeno voglio immaginare.
Noi vogliamo andare a casa!!!
Usciamo dall’autostrada a Galle, dove l’autostrada ahimè finisce.
Fermati, paga il pedaggio, sì sì devi proseguire diritto perchè se prendi la seconda uscita rientri in autostrada....
Percorriamo alla sconvolgente velocità dei trenta all’ora la strada che costeggia il mare e che dovrebbe (DOVREBBE) portarci nel sud profondo sud.
Frena, richiama casa, riparte, frena, riparte.
Non possiamo reggere oltre.
Vuoi muoverti per favore o dobbiamo scendere a pigliarti a calci?
Si muove e arrivato a circa 6 kilometri dal punto X inchioda.
Adesso che c’è???
Si gira e con lo sguardo che solo un imberbe tonto può avere ci comunica che il contachilometri dice 115 km e che la cifra pattuita copre quella distanza, oltre dovremmo pagare un sovrapprezzo.
Abbello, ma che ci credi tonti solo perchè siamo dei bianchi????
Al tuo attivo hai nell’ordine:
  • aria condizionata in sovrapprezzo
  • frena e riparti gratis
  • una cinghia rotta che erano “solo” pezzi di strada
  • un cambio in itinere del prezzo quando già sai che dobbiamo arrivare a casa
Ti spieghiamo fermamente che già balli nel manico ( e per chi non conosce l’espressione traduco: hai esagerato nel volerci fottere più soldi, sei già sul badile ovvero pronto per essere eiettato a mille kilometri di distanza tu e la tua cinghia preistorica).
Quindi: non ti meriti i soldi che ci hai già chiesto, se non ci porti a casa smontiamo immediatamente, non vedi una lira, anzi una rupia, e te ne torni a casa con la tua cinghia avvolta al collo.
Dopo frena e riparti mille volte (e spiegarti che ogni volta rischi di non ripartire più), ripartiamo e ci avviciniamo ai venti all’ora al profondo sud.
Improvvisamente inchioda ancora.
Ancora una discussione sul prezzo.
Ancora???
Tesoro (eufemisticamente parlando) ti abbiamo già spiegato come funziona.
Richiami casa e ci chiedi se puoi fare una deviazione nell’interno per un’officina dove in cinque minuti (CINQUE!! AHAHAHA TROPPO DIVERTENTE) ti risolvono il problema.
Forse non ci siamo capiti bene: tu porti il pacco (noi) a casa e poi ti fermi in tutte le officine dello Sri Lanka, ma TU ci riporti a casa.
Morale: frena e riparti (e non dire che ti avevamo avvisato), contrattazioni becere del prezzo, la macchina non riparte più.
Do you know “goccia che fa traboccare il vaso”??? (traduzione: capisci goccia che fa traboccare il vaso?). Bene, noi smontiamo e procediamo con un tuk tuk.
Siamo ormai vicini, non ti sopportiamo più da parecchi kilometri addietro e soprattutto siamo a posto così. Ti abbiamo pagato la benzina ( e già questo è sconveniente visto che di mestiere fai l’autista e dovresti essere a pieno regime) e ti levi dagli zebedei.
Avvistiamo un tuk tuk, lo fermiamo, contrattiamo il prezzo e ti molliamo sul ciglio della strada, tu, la tua preziosa aria condizionata, il tuo prezzo ritrattato, la tua cinghia che ormai pare la dentiera di tua nonna e buonanotte.
Minaccia di chiamare la polizia, l’esercito, ET, ma abbiamo tutti dalla nostra parte.
L’autista di tuktuk (e ha il suo interesse!), la donnina che vende i cocchi per strada e ovviamente noi che siamo esasperati.
Saliamo sul tuktuk diretti alla stazione di Matara per recuperare lo scooter e ci diciamo: beh, dopo questa non manca più nulla. Anzi no, manca la pioggia, ma c’è un sole che spacca le pietre...
Mai parole furono più profetiche.
Il tempo di recuperare lo scooter, infilarsi il casco e ripartire finalmente verso casa, quando la nuvola di fantozzi (che si sa è internazionale) molla uno scroscio d’acqua che a noi ( A NOI) ce fa un baffo.
E così ci ritroviamo sotto l’acqua ridendo.
Perchè alla fine tutto si conclude con una grassa grossa risata.
L’acqua lava, l’acqua purifica e poi.....ci si asciuga.
Così il giorno dopo, di fronte ad un’alba sconvolgente, dopo un sonno ristoratore, di fronte ad una tazza di caffè a guardare il nostro lago e le aquile, i corvi, le scimmie, i nostri cani che paiono sorridere pure loro, ci sentiamo dei sopravvissuti.
Ma non alle sfighe.
Al male di vivere.
Perchè la vita è anche questa.



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