domenica 11 novembre 2012

Salutando Matara

E' ora di spostarsi.
Sono gli ultimi giorni che trascorreremo a Matara e solo qui abbiamo fino ad ora assaporato il distacco dal mondo che abbiamo lasciato e la vicinanza con i singalesi e la loro terra.
Ci sentiamo a casa, la mamma di Tania al pomeriggio ci offre la torta fatta in casa senza troppe smancerie, come se abitassimo lì da sempre.
Ogni mattina ci sveglia il rumore secco della scopa di saggina sulla terra battuta nel cortile della prigione; la pulizia è accurata e minuziosa e può durare anche una mezz'ora buona.
Il carcerato a piedi nudi in calzoncini e camicia bianchi di cotone deve lustrare il cortile e liberarlo dalle foglie e dalla polvere.
Dall'altro lato della stradina e cioè nel nostro cortile gli fa eco la bambina che abita questa casa, credo sia la figlia della tata di Tania. A piedi nudi accudisce il giardino e il cortile, spazza accuratamente, innaffia ogni pianta, ramo, prato, terra e anche le piante in riva al fiume.
Recupera i rifiuti della sera precedente e li getta nel fiume, siano essi residui di cibo o pezzi di mobile sfasciato.
Il piccolo patio sotto le palme in cortile viene lavato e ripulito dalla terra rossa che ogni sera lo ricopre.
La bambina sparisce poi nel retro per riapparire di tanto in tanto con qualche nuova mansione.
E' come una piccola orchestra: il suono sincopato della scopa di saggina e lo zampillare dell'acqua della canna per innaffiare e su questo sottofondo ritmico le guardie del carcere, lasciandosi le consegne e raccontandosi aneddoti a voce alta, sono come i corvi al sorgere del sole quando cominciano a parlarsi con quel tono strozzato e insistente per raccontarsi chissà che avventure.
In lontananza arrivano gli squittii delle volpi volanti che vanno a letto, risatine maligne e divertite che fanno sussultare ogni volta.
A mano a mano che la nebbiolina sul fiume viene assorbita e la luce si fa più prepotente, l'orchestra si arricchisce di nuovi elementi tanto da divenire una confusa sinfonia.
I nostri zaini sono pronti, dobbiamo prendere un autobus alla bus station di fianco al mercato. La nostra destinazione questa volta è più lontana e più isolata, stiamo andando per gradi, ora siamo pronti all'isolamento o quasi.
Tania è gentile, ci accompagna con il suo Suv impeccabile alla stazione degli autobus.
Ci fa attraversare la sua casa dove abita con diversi domestici e domestiche.
La cucina è uno stanzone giallo zafferano con piccole finestrelle e le stoviglie blu e azzurre che sbucano dalle mensole sembrano pezzi di cielo.
Sbuchiamo sul davanti della casa dopo un dedalo di corridoi, saliamo a bordo e oltrepassando l'ordinato giardino usciamo in strada lasciandoci alle spalle lo steccato più bianco che abbia mai visto.
Ci racconta nei pochi metri che ci separano dalla stazione che lei e suo marito sono due avvocati. Lei è di Colombo, la capitale, suo marito è di Matara. Lei non pratica più, bada ai suoi due bimbi piccoli e ci spiega che il lavoro e la frenesia della capitale le mancano, ma in realtà solo a tratti.
Ci lascia nel parcheggio della bus station dimenticando per un attimo che siamo stati suoi ospiti e che dobbiamo pagarle le notti trascorse nella sua struttura.
Ride divertita, mette le rupie nel vano porta oggetti e ci bacia prima di farci scendere.
Rimaniamo solo alcuni secondi a guardarla mentre si allontana e sentiamo che si è chiusa un'avventura, una porzione di emozioni, una porta.
Cerchiamo il nostro autobus, sarà il nostro limbo fino a destinazione.
Mentre prendiamo posto su un vecchio mezzo rosso e tondeggiante non posso non notare la capra gigante alla fermata a fianco. Bruca lentamente qualcosa e mi fissa.
Per un attimo ho come la sensazione di vederla solo io.

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