domenica 10 giugno 2012

Taj Mahal

Visitare un museo, vedere un monumento, osservare un'opera d'arte...sono situazioni mai uguali a sè stesse e soprattutto mai prevedibili.
Il momento giusto o sbagliato, un'eccessiva aspettativa o la mancanza dell'aspettativa, la casualità, la programmazione, la folla o il deserto, la persona che è con te o la persona che ti manca in quel momento.
E oltre tutte queste variabili, esiste LEI, l'opera d'arte che spesso ha una carica energetica talmente forte da sbaragliare qualsiasi situazione contingente. Brilla di luce propria, rimane statica nel tempo e da quella dimensione atemporale ti osserva o si fa osservare e può coinvolgerti o sottometterti, ha vita propria.
Arriviamo alla porta di accesso di questa fortezza di mattoni rossi al di là della quale si cela il Taj Mahal, il mausoleo bianco fatto costruire dall'imperatore moghul Jahan per la moglie, protagonista di cartoline e pubblicità di tour organizzati, patrimonio Unesco.
La fila rispettosa di persone arriva fino in strada ed è interrotta solo dal passaggio placido di una mandria di buoi diretti al fiume. Ci mettiamo pazientemente in coda e notiamo la guardiola con militari armati che ci osservano seri dietro a grandi baffi neri.
Le mura sono alte, quasi minacciose, tolgono la vista di ciò che sta al di là e tolgono pure la luce del sole; difficile non avere aspettative perchè nell'attesa queste nascono e crescono velocemente.
Sì, perchè non si vede nulla nemmeno quando finalmente riusciamo a varcare il gigantesco portone prima del check point per i controlli. Nasce come curiosità, diventa sensazione e si trasforma in una sete che prende gli occhi e la mente: dov'è? com'è? ma è davvero dietro a questo muro di mattoni e persone? nel cervello scorrono le immagini riportate dalla guida e non bastano, non sono sufficienti a placare questa sete.
I controlli sono accurati, uomini separati dalle donne, queste perquisite in un bugigattolo chiuso da tende; le mani della poliziotta vanno a fondo, entrano nelle tasche e la lascio fare, il mio sguardo è oltre quella tenda.
Il mio mp3 suscita sospetto, lo accendo e con cautela avvicino l'auricolare alla signora che è molto più grande di me ed è armata. Accenna un brevissimo mezzo sorriso alla voce di Janis Joplin e per un attimo ho una visione lucida di quello che mi sta accadendo: sono dentro ad un quadrato di 1 metro per 1 metro, a due passi dal Taj con una militare indiana e la voce struggente di Janis Joplin a scandire quell'attesa.
Promossa. Posso andare, prendo un grosso respiro ma oltre quella cortina di corpi e mattoni c'è un verde giardino inserito in un cortile rettangolare con la ghiaia bianca che scricchiola gentile.
Ti cerco con lo sguardo, ti avevo perso ai controlli ma sei lì ad aspettarmi, non sei andato oltre nonostante la curiosità. Mi hai aspettato.
Ridiamo insieme nel vedere un giapponese che si sta infilando dentro ad una tuta bianca da RIS con tanto di occhiali e mascherina....questi giapponesi paiono sempre come pesci fuor d'acqua tranne che a casa loro.
Seguiamo il flusso di corpi che gira a destra e si incammina verso un'estensione del muro di cinta, enorme, buio, che si squarcia improvvisamente in un portone per giganti.
Il cuore accelera e gli occhi si aprono quanto più possono, la sete è ormai un bisogno primario.
Mi precedi, quasi mi spingi dentro a quell'imbuto enorme ma reso stretto dalla calca. Tentenno, ho come paura di rompere quell'incantesimo di attesa che mi ha preso tutti i sensi unendoli in uno.
Ma la tua mano dietro la nuca spinge dolcemente e nel buio dell'imbuto la vista improvvisamente si apre. E lui è là, in fondo, così grande e così bianco da abbagliare lo sguardo, così solitario ed imponente, una visione che mi emoziona e mi commuove. Indiani, americani, giapponesi, europei, abbiamo tutti lo stupore in volto, le lacrime a lavare gli occhi sgranati e cala il silenzio perchè parla il Taj Mahal e la sua incredibile energia visiva. Il fiume che gli scorre dietro è un liquido amniotico perenne per chi passa l'imbuto e nascendo apre i polmoni per respirare. Io ho respirato e non lo dimenticherò mai.

Passaggio buoi nell'attesa


























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