mercoledì 5 novembre 2014

Eat, sleep, base jump, repeat!!

Cediamo facilmente alle imprese da brivido, non si può negarlo.
Amanti delle cause perse (ma solo per smentirle) e delle avventure bizzarre (che spesso troviamo normali), una volta saputo dell'evento dell'anno a Kuala Lumpur, abbiamo atteso con trepidazione "quel" giorno: il Base Jump dalla Menara Tower.
I base jumper sono arditi paracadutisti che decidono di lanciarsi da vette inconsuete quali precipizi naturali, gru, grattacieli, tralicci e ponti.
Nel caso specifico di Kuala Lumpur è dalla Menara Tower, la torre delle telecomunicazioni alta 421 metri, che base jumper di ogni nazionalità si lanciano da soli, in coppia o in gruppo in un clima davvero entusiasmante.
Pagando un biglietto di 179 ringit a testa (43 euro) si può salire e far ciondolare i piedi fuori dell'esiguo parapetto a 421 metri, opportunamente imbracati e assicurati a cavi di acciaio.
Ora, il fatto di essere imbracati non esclude, ve lo posso assicurare, il brivido di essere ad un'altezza realmente poco comprensibile per chi non è avvezzo a scalate o lanci, ma è solo una ovvia e indispensabile misura di sicurezza.
Dalla finestra del nostro appartamento li vediamo, questi puntini pazzi, attraversare lo spicchio di cielo come strani uccelli paradiso che, prima di toccare terra, spiegano ali colorate sopra la testa.
Arriviamo vicini alla torre e quei puntini diventano via via più grandi, sentiamo il fruscio del paracadute che si apre e le urla di chi incoraggia o elogia fino a che li incontriamo paonazzi mentre, a bordo di un motorino che li riporta alla torre, scalpitano per arrivare, salire e rilanciarsi ancora.
L'enorme fungo da sotto costringe ad un movimento che è già una vertigine: cioè se non fletti all'indietro completamente la testa non riesci a vedere la fine della torre, a meno che non ti sdrai sull'asfalto a faccia in su.
Il pubblico che ci precede nell'ultimo anello è praticamente invisibile da quaggiù e la cosa comincia a farsi un poco inquietante.
Entriamo, biglietteria, regali vari in borsina di tela da riutilizzare con una punta di vanto in Occidente, attesa ingannata da 15 minuti di cinema 6D (un'esperienza da rifare tutti i giorni: legati a strani sedili rigidi, indossiamo occhiali 3D e quando le immagini partono, parte tutto ovvero poltrona, vento, suoni, sensazioni e voliamo ridendo come bambini immaginando ma poi nemmeno tanto, di essere a bordo di uno di quei carrelli da miniera sulle rotaie dismesse in un canyon. E via con i saliscendi, i binari interrotti o attraversati da treni impazziti, entriamo in gallerie, cunicoli, sfidiamo altezze proibite, entriamo in corsi d'acqua e purtroppo, l'unico grande difetto, dopo soli 15 minuti tutto finisce) e finalmente saliamo in ascensore.
Prima sosta il punto di osservazione, all'inizio del fungo. Dietro ad enormi vetrate, ben al sicuro, possiamo ammirare da una notevole altezza il panorama di Kuala Lumpur, intervallato di tanto in tanto da qualcuno che piroetta o si lancia a missile da più in alto.
Pochi minuti, il tempo di qualche foto, e saliamo al punto di lancio.
Quando l'ascensore si apre sulla stanza dove gentili ragazzi provvedono alla tua imbracatura, si avverte subito quella sensazione di vuoto, pericolo e insieme vertigine stimolante che deriva non solo dalla porta aperta in fondo al corridoio senza grattacieli in prospettiva, ma anche e soprattutto da un silenzio strano, un coagulo di suoni rarefatti come quando nevica e tutto sembra dilatato.
Bene, qui la dilatazione è l'altezza, tutta quella che c'è tra noi e l'asfalto.
Imbracati a puntino ci fanno uscire sull'anello esterno che è separato dal parapetto da un vetro trasparente.
Una passerella dedicata ai base jumper finisce la sua corsa nel cielo e l'irrefrenabile quanto misterioso desiderio di percorrerla di corsa per lasciarsi andare nel vuoto, mi fa friggere per un attimo le ginocchia.
Per un attimo rimaniamo a fissarli, questi ragazzi e ragazze con scarpe da ginnastica, maglietta, casco e para ginocchia, dare uno sguardo giù, attendere il segnale, prendere la rincorsa e lanciarsi con entusiasmo.
Il nostro assistente se la ride, deve essere abituato all'espressione che fanno le persone quando vedono qualcosa di così innaturale eppure tremendamente affascinante.
"Volete andare fuori?"
Il fuori è oltre il vetro, scavalcando il piccolo parapetto per sedersi sull'esiguo davanzale di lamiera.
Se ci pensi su un attimo è finita, così rispondiamo sì con una enfasi che è più un auto incoraggiamento che una convinzione.
Ci accompagna oltre il parapetto con tranquillità, fissa il moschettone ad un cavo di acciaio sul quale può scorrere, un'ultimo controllo all'imbracatura e...via, nel vuoto.
La prima cosa che si fa è guardare giù, perchè non ti capaciti immediatamente di dove càspita sei finito.
Poi prendi tempo guardando chi si lancia, in attesa della sufficiente confidenza a sedersi sul davanzale.
Infine speri che i 45 minuti di tempo che ti hanno dato non passino mai perchè i tuoi occhi non si stancano di guardare i base jumper, le loro evoluzioni, gli atterraggi laggiù, lontano e speri che nessuno venga a farti tap tap sulla spalla per dirti che devi rientrare.
In realtà nessuno viene a chiamarci, probabilmente grazie alle poche persone che decidono di sedersi dove ci siamo seduti noi, così l'unico motivo per cui dopo più di un'ora decidiamo di rientrare è il sole, così forte e intenso che temiamo di aver preso una solenne scottatura.
Leviamo l'imbracatura, un ultimo sguardo al "fuori" tra le urla a perdersi di chi si lancia e poi via, in ascensore, con la porta che si chiude alle nostre spalle.
In un attimo veniamo privati di quella luce e di quel silenzio inconsueto che ci hanno fatto sognare e una volta a terra, riguardiamo in alto come se stessimo guardando ancora un sogno.
























Nessun commento:

Posta un commento