mercoledì 24 settembre 2014

The dark side of the moon

Partiamo presto, abbiamo una lunga strada da percorrere che ci porti a Batticaloa, sulla costa est.
Il navigatore ci calcola un percorso poco trafficato che ad un certo punto prende l'unica strada possibile sminata; tempo di percorrenza 2 ore e 47 minuti.
Lasciata la B35 senza alcuna sorpresa dotata di proboscide, attraversiamo la provincia del Monaragala dove sono in corso le elezioni per i candidati provinciali; il colore di questa provincia è l'esatto opposto di quello alla presidenza così leggiamo strada facendo di alcuni disordini nei vari seggi elettorali.
Ci superano diverse macchine della polizia, qualche mezzo dell'esercito e le immancabili carovane del personaggio politico di turno (scorta, servizi di sicurezza, auto del politico, personale del politico).
Quando passiamo noi la situazione sembra essere assolutamente normale ma notiamo uno degli uffici politici sulla strada completamente divelto con la polizia a osservare i danni provocati sicuramente non da agenti atmosferici.
Attraversiamo una strada che si snoda tra rilievi montagnosi brulli e abbastanza alti, il caldo è decisamente opprimente e dal navigatore non sembra che siamo spostati di tanto, anzi abbiamo la sensazione che la strada si allunghi di cinque km ogni uno percorso.
Nomi mai sentiti di villaggi si susseguono diventando però sempre più distanti gli uni dagli altri così che la strada sembra dilatarsi a dismisura.
E così tra Nannapurawa, Bibile e Padiyatalawa cominciamo a sentire un'aria diversa.
Meno traffico, meno gente in giro a zonzo, poche case, poco di tutto e soprattutto scopriamo che l'acqua qui non è solo un problema per gli animali.
Ogni tanto ci sono dei pozzi comuni dove mamme con bambini piccoli fanno rifornimento dentro a latte di plastica blu, trasportandole come possono fino a casa; alcune ne approfittano per lavare i figli o per lavare i panni.
Un uomo in bicicletta trasporta due taniche di qua e di là dalla ruota posteriore; al centro, sul portapacchi, una televisione con tubo catodico che da noi potremmo trovare, a caro prezzo, in un mercatino del modernariato.
La strada è mangiata qua e là da voragini profonde mentre le poche case che incontriamo sono incomplete ma non come al sud, dove la brama di costruire un castello lascia le famiglie a metà dell'opera e senza soldi. 
Qui la faccenda è diversa, le case sono tutte uguali come quelle dei plastici degli architetti, squadrate, ad un piano e nel nulla. 
Sorgono spesso a pochi metri dalla strada principale e non hanno giardino o piante ma solo terra secca e raramente un cespuglio, alcune hanno l'elettricità ma a tutte manca l'acqua; la cosa che più balza agli occhi è quella scritta, su tutti i tetti, che a dispetto del sole e delle piogge che arriveranno con la stagione dei monsoni, si staglia sulle tegole così che chiunque la possa vedere, dall'alto o dalla strada: NEHRP.
Mentre ci addentriamo sempre di più in terre sconfinate fatte di desolazione e capre al pascolo faccio una rapida ricerca e scopro che la sigla sta per North East Housing Reconstruction Program, ovvero programma di ricostruzione abitativa del nord e dell'est.
La guerra è finita nel 2009, il 17 maggio per la precisione.
Siamo a settembre del 2014, nel frattempo sono stati realizzati con tanto di inaugurazioni in pompa magna: un nuovo aeroporto, una ferrovia, un'autostrada, un porto commerciale e un oleodotto.
Il programma di ricostruzione abitativa è partito senza mai essere terminato.
La costa est, insieme alla zona nord dell'isola, è zona Tamil ed è stata zona rossa per tanto tempo.
Qui le tigri del Tamil (il gruppo militante estremista che con atti terroristici mirava ad ottenere l'indipendenza dallo Sri Lanka) hanno vissuto, reclutato commando kamikaze, si sono nascosti, hanno costruito bombe e alla fine sono stati isolati per poi essere eliminati.
Fisicamente e non solo.
La guerra civile secessionista dello Sri Lanka è il secondo, ma non per importanza, argomento scottante da non toccare con un abitante; qualcuno non parlerà, qualcuno dirà soltanto che sono finiti i tempi in cui non si poteva uscire di casa nemmeno per andare a scuola e qualcuno sorridendo vi dirà che ora è tutto tranquillo, chiudendo l'argomento sul nascere.
Le accuse mosse all'attuale Presidente che ha condotto l'offensiva risolutiva nei confronti del terrorismo dell'LTTE, sono argomento di forte dibattito con le Nazioni Unite, l'Onu, l'UNHCR (il Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e le varie Commissioni contro i genocidi e le pulizie etniche. 
Rimaniamo molto colpiti, questa è veramente l'altra faccia di una medaglia che già di per sè non brilla ma perlomeno mangia e beve.
Ai bordi della strada ci sono ancora i recinti con l'alta tensione, non più funzionanti: non erano per gli animali ma per le persone.
Ogni azione o atto di forza nel corso dei 25 anni di guerra civile hanno portato alla scomparsa (o quasi) della minaccia del terrorismo, minaccia che era diventata una realtà quotidiana.
Ma vedere questa desolazione, i cartelli che indicano terreno non ancora sminato, povere case di povera gente senza acqua e spesso senza elettricità, lascia un po' perplessi.
Siamo nessuno per giudicare cosa sia giusto o sbagliato; bisognerebbe chiederlo a chi è cresciuto con il terrore di salire su un autobus che sarebbe potuto esplodere o a chi ha avuto qualcuno che purtroppo su da quell'autobus non è più tornato a casa; bisognerebbe chiederlo a chi ha combattuto contro quel terrorismo e ci ha rimesso una gamba o un braccio o la vita; bisognerebbe chiederlo anche ai bambini, che erano solo bambini, e che a seconda si trovassero di qua o di là dalla barricata hanno dovuto imbracciare un fucile o stare al di là di quel fucile battendo i denti dal terrore.
Perchè ogni nazione ha avuto i suoi campi di concentramento, anche se li ha chiamati in modo diverso, e oggi chiamare lo Sri Lanka la lacrima dell'India ha un significato diverso, molto meno mistico, molto più reale.
I checkpoint militari sono diversi lungo la strada e diverse sono le caserme con i campi recintati di filo spinato delle varie brigate armate.
I colori sgargianti del sud, i cavalloni gioiosi delle spiagge piene di turisti, i resort di lusso o quelli caratteristici a conduzione familiare, il rigoglio della vegetazione, il carillon insistente del venditore di dolci o gelati, qui spariscono e lasciano il posto a una sconfinata radura per lo più brulla e secca, divorata dalla siccità, a uomini e donne silenziosi che si muovono come fantasmi tra capre e mucche asciutte come pesci essiccati.
Le ore previste dal navigatore da 2 e 47 minuti misteriosamente diventano 6 così arriviamo a destinazione giusto un attimo prima del tramonto, stanchi e desiderosi di una doccia fresca.
La desolazione del tragitto è parzialmente ammorbidita dal villaggio ordinato di Batticaloa, dalla caratteristica lagunare come Negombo.
La guest house che riusciamo a trovare è affacciata su un lago separato dall'Oceano da una lingua di sabbia deserta; la spiaggia è totalmente disabitata, alcuni ruderi rimandano alla violenza dello tsunami.
L'ondata più violenta è stata proprio su queste coste e se ne possono vedere ancora i segni nella vegetazione, nella conformazione della spiaggia e nelle poche case sventrate mangiate dai rampicanti e abitate dai cani randagi.
La gente è seriosa, ci guarda con sospetto e senza troppe smancerie, con un atteggiamento che ricorda più l'ostilità che la timidezza.
Io ho avuto la sensazione di violare un mondo a parte, un microcosmo che ha visto brutture, programmato e subìto violenze, dove un popolo abbandonato e dimenticato, è stato volutamente mantenuto al limite della sopravvivenza con lo scopo di renderlo inoffensivo.
Ma, si sa, la fame e la privazione generano mostri ed è sostanzialmente quello che è già successo la prima volta.
Non vogliono lo straniero, non vogliono facce sorridenti o entusiasmi curiosi, non chiedono che di rimanere in quel precario equilibrio la cui rottura significherebbe, per loro esperienza, solo dolore.
Esistono inchieste, insabbiate, su sparizioni di interi villaggi, gente con facce e nomi sbiaditi oramai nel tempo e nella dimenticanza.
La gente qui non si vede perchè non c'è più o poca ne è rimasta e quella rimasta sembra dirti con lo sguardo: vai via, non c'è nulla da vedere.
Il mattino seguente anzichè proseguire verso Trincomalee (decisamente ancora molto distante da Batticaloa) decidiamo di prenderci una pausa corroborante e non c'è posto migliore, a nostro avviso, di Ella, minuscolo villaggio perso tra la montagne e le colline, circondato da cascate e boschi sterminati, dove di sera si deve mettere la felpa e di notte si dorme con il plaid.
Da Batticaloa ci allontaniamo sfruttando il fresco del mattino, procedendo via via verso l'interno attraverso strade di montagna che si arrampicano velocemente lasciando sotto di noi precipizi inquietanti.
I tempi di percorrenza dati dal navigatore si rivelano come sempre bizzarri così anzichè le 2 ore e 30 previste, affrontiamo una interminabile giornata di viaggio della bellezza di 8 ore senza le fermate d'obbligo.
Arriviamo stremati a Ella con il sole che sta per lasciarci, ci accolgono l'aria frizzante e i pochi colorati locali già pieni di vita.
Cerchiamo la guest house ai piedi del bosco, quella che ci aveva ospitati anni fa quando siamo arrivati in questo piccolo villaggio con il treno e la ritroviamo come si ritrovano certe vecchie fotografie nella soffitta: sempre uguale, sempre accogliente, sempre casa.
Comincia una pioggia leggera che via via aumenta di forza e intensità e godiamo dell'aria pungente che ci fa mettere i pantaloni lunghi e la felpa e abbracciarci forte.

km e km di nulla
e in quel nulla filo elettrificato (sulla sinistra)


tramonto a Batticaloa






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