domenica 23 febbraio 2014

Io che ho avuto quattro vite (tratto da una storia realmente accaduta)

"Ci fu una prima volta.
Nacqui e quello che vidi non mi fu subito chiaro, anzi a dir la verità trovai tutto molto confuso.
Mi muovevo a fatica, dovevo ancora imparare a camminare e mi stancavo molto.
Vivevo di odori, il profumo buono e caldo della mia mamma e l'odore dei miei fratelli, uguale al mio.
Annaspavo respirando terra e polvere ma quel contatto caldo mi tranquillizzava e cadevo addormentato senza accorgermene.
Un giorno l'odore buono e caldo se ne andò e non tornò più, lasciandomi come spezzato sul ciglio della strada.
Io e i miei fratelli rimanemmo soli, assaggiando più volte il rumore secco del bastone, vivendo di quel poco che si trovava qua e là e spesso nemmeno di quel poco.
Imparai presto l'amaro sapore della fame, quello che arriva quando deve ancora fare luce e non ti abbandona più, quello che ti fa rovistare tra rifiuti e cartacce, ti rode dentro rabbioso e ti fa diventare sempre più debole.
Pensavo che la vita fosse quella: svegliarsi, sopravvivere fino alla fine delle forze, scappare dal bastone che  arrivava secco come una fucilata e dormire con un solo occhio chiuso, l'altro sempre in allerta.
Sognavo di addormentarmi, come facevo quando ero più piccolo e di non svegliarmi più.
Ma un giorno arrivò lei.
In realtà noi la trovammo, infilandoci sotto ad un grande cancello e presentandoci, un poco diffidenti, nel giardino di quella grande casa.
Lei era gentile, parlava una lingua strana ma dolce e soprattutto ogni giorno lasciava qualcosa per noi dentro ad una ciotola in mezzo al prato.
Nacqui per la seconda volta.
Lei c'era sempre, con l'acqua fresca e un po' di cibo da dividere tutti insieme.
Ogni giorno.
Aveva messo un panno morbido sul marciapiede, nell'angolo protetto della casa, dove il vento e la pioggia faticavano ad arrivare e nemmeno i bastoni arrivavano.
Stavamo tutti vicini e la vita mi sembrava quella: calore, cibo e la sua voce dolce che non capivo ma che mi faceva sentire al sicuro.
Cominciai a crescere, cominciammo a crescere tutti e stavamo diventando forti.
Lei non fu più sola, arrivò anche lui che a turno ci sollevava da terra con una sola mano e ci faceva dormire sulla sua pancia.
Lei una volta alla settimana ci lavava, togliendo tutto lo sporco e il prurito dalla nostra pelle e ci lasciava asciugare felici al sole giocando sotto al suo sguardo attento.
Io la guardavo e la vedevo distendere le labbra: sorrideva, gli piacevamo.
Il tempo ci lasciò solo in due, io e mia sorella.
Ma, pensai, la vita doveva essere quella: la porta che si apriva ogni mattino, lei e lui a salutarci e accarezzarci, il cibo, le corse sul prato, le noci di cocco da masticare, i varani da inseguire, le scimmie da scacciare, il tramonto da guardare e la notte, una lunga notte di riposo, con entrambi gli occhi chiusi.
Poi un giorno improvvisamente tutto diventò buio, il respiro mi abbandonò, il cuore batteva così forte che mi spaventai e quel dolore strano che mi faceva cadere la testa all'indietro mi avvolse in un gelo che non conoscevo e che mi irrigidiva tutto.
Pensai: allora è questa la morte, buio freddo e male.
Mentre ero in quel buio però sentii la sua voce e la sua mano calda, aprii gli occhi e la vidi.
Fu lì che nacqui una terza volta e fu mentre buttavo i miei occhi dentro i suoi che mi accorsi che erano pieni di pioggia e le sue parole tremavano come fanno le foglie al vento.
Allora pensai che la vita doveva essere quella: nascere e morire tante volte e ogni volta che si rinasceva era meglio, perchè c'era lei ad aspettarmi insieme a lui.
Diventai grande, diventai forte, diventai fiero e imparai il mio nome, quello che lei mi aveva dato.
Ci chiamava spesso anche quando eravamo nella foresta e noi correvamo forte per arrivare prima.
Poi una notte sentii un grande freddo togliermi le forze e capii che di nuovo la vita stava scivolando via da me.
Sentii la sua voce e il suo pianto, mi abbandonai al suo cullarmi per tenermi caldo, pensai che forse morire non era così male in fondo, lei era con me e ci sarebbe stata anche dopo.
Infatti aprii di nuovo gli occhi e li ributtai ancora nei suoi, mi distesi tranquillo e stanco come dopo una battaglia.
Lei spense la luce e mi lasciò riposare.
E io nacqui per la quarta volta.
La mia vita era quella: una felicità così grande che potevo morire e rinascere ogni volta.
Poi se ne andò anche lei, con lui.
Rimasi solo con mia sorella, una nuova casa, nuovi odori e cominciai ad aspettarla, perchè se ne era già andata altre volte ma era sempre tornata da me.
La foresta quel pomeriggio era molto silenziosa, io sentii solo il tamburo del mio cuore nelle orecchie e il cielo farsi sempre più piccolo fino a sparire.
Adesso riapro gli occhi e trovo i suoi, pensai.
Ma non vidi nulla, sentii solo il freddo acciaio di una pala e l'odore nauseabondo dei rifiuti.
Qualcuno mi stava buttando via, sentivo sopra di me il volo furioso dei corvi ma lei non c'era e io, io non riuscivo più a svegliarmi.
Ho ancora gli occhi chiusi, non ho più memoria di quello che è successo dopo.
Io aspetto.
Aspetto i suoi occhi."

Ciao Mimmino












domenica 16 febbraio 2014

Siamo anche qui!

Il nome del sito è già un programma: MOLLOTUTTO.
Per il resto siamo sempre noi:

http://nuke.mollotutto.com/TrasferirsiavivereelavorareinSriLanka/tabid/763/Default.aspx

grazie a Massimo Dallaglio di Mollotutto per averci ospitati!!

mercoledì 29 gennaio 2014

Sopravvivere ad un matrimonio singalese: GIORNO DUE ovvero IL DELIRIO

Nuwan ci aveva timidamente avvisati.
Suo fratello, il maggiore non il novello sposo, ci aveva salutati con una frase sibillina: il 25 sarà un'altra cosa....
Pure suo padre è scoppiato a ridere quando ringraziandolo gli ho detto ci si vede il 25.
L'appuntamento è a partire dalle 9.30 del mattino (l'oroscopo così ha decretato) in un ristorante dal nome italiano: VOLO MILANO.
Piccola parentesi: ma cosa significa??? volo milano?? qui spesso usano nomi italiani o inglesi o francesi che a loro suonano bene ma senza capirne il significato. Insomma è un po' come quelli che si fanno tatuare il nome Giuseppe in ideogrammi giapponesi: avete mai conosciuto un giapponese che si chiama Giuseppe? ecco appunto.
Qui esiste il resort "google", il ristorante "a samantha piace" (giuro è un ristorante dove servono cibo), e altre amenità del genere.
Arriviamo questa volta in scooter e non in tuktuk alle 10 del mattino o poco più.
Troviamo tavoli vestiti di raso bianco e fiocchi color crema al piano terra e tavoli apparecchiati con tovaglie rosse sulla terrazza.
Salutiamo di nuovo tutti, sposi compresi e Nuwan ci accoglie con lo sguardo di chi ha visto una boa in mezzo al mare.
Come noi, non ama particolarmente gli eventi mondani di questo tipo e soprattutto questo in cui deve occuparsi di public relations e, da quanto ci dice, anche di manovalanza dalle cinque del mattino.
Con noi ha la scusa di doverci fare compagnia e svicolare dal parentado.
Ci offre un succo fresco di frutta ma sparisce inghiottito dalla cucina.
Dopo pochi istanti un cameriere ci porta due bicchieri con un liquido arancione-carota con strani pezzettini di sostanza non identificata che galleggiano in superficie.
Fa caldo, siamo assetati, noi lo beviamo e nel contempo vediamo apparire Nuwan dalla porta della cucina che avanza verso di noi sbracciandosi e dicendoci "no,no,no".
Cosa abbiamo ingurgitato?
I sacri calici degli sposi? Detersivo per i piatti (il gusto ci andava vicino)?
Scopriamo con sollievo che quello era Cordial, un concentrato abominevole ai gusti più disparati che viene diluito in acqua e servito a litri.
Arriva trafelato con due frullati di mango e banana che ancora oggi me li sogno tanto erano buoni.
C'è tutto un gran daffare tra cucina e salone, stanno preparando i piatti e siamo all'aperitivo.
Nuwan ci invita a scendere dalla terrazza e ci mostra il tavolo che ha riservato per noi.
Avete presente il muro di Berlino?
Benissimo, al di là del muro i tavoli apparecchiati con seta bianca e fiocchi color crema, al di qua del muro, in un corridoio lungo e buio, ci mostra la nostra sistemazione.
A destra il muro, a sinistra una casa.
Ci troviamo così isolati nostro malgrado dalla festa e sul momento non sappiamo cosa pensare ma subito dopo lo ringrazieremo.
Tanto.
Ci sediamo e cominciano a portarci bocconcini di pesce fritto che così buoni mai nella vita, bocconcini di  pollo alla diavola con cipolle da leccarsi le dita, ceci lessi con cipollotti freschi, pesce in salsina speziata e piccante, verdura lessa calda con cubetti di parmigiano (fornito da noi) e frutta fresca (ananas papaia e anguria) aromatizzata al pepe (provare per credere: sublime e rinfrescante).
Cominciamo ad afferrare il significato del confino dietro al muro quando vediamo arrivare anche suo padre, due suoi cugini e il fratello grande: qui si fa baldoria davvero.
Piccola postilla: il fratello grande aveva un cerotto di dimensioni ragguardevoli sulla fronte.
Che hai fatto? domandiamo. E ride.
Per caso arrack? Arrack è il loro whisky e abbiamo subito pensato ad una caduta tragica durante i festeggiamenti del primo giorno, dopo che noi ce la siamo svignata mentre erano in attesa della fornitura alcolica.
No no, stavo ballando e mi sono scontrato con la fronte di un altro.....
Attimo di silenzio....
Allora arrack!!!! e tutti a ridere. Ma quanto eri ubriaco per esserti sfracellato la fronte contro un'altra fronte? ma soprattutto, il proprietario dell'altra fronte, è vivo??
Nuwan sparisce e ricompare con una bottiglia di soda che mette sul tavolo, poi si siede e da dietro la schiena appare un litro di arrack.
Ahhh ma allora questo è il corridoio degli alcolisti! bastava dirlo subito!!
Attacca la musica e cominciamo a gustare tutte quelle prelibatezze tipo ruspe in un grande cantiere, accompagnando il tutto con un buon arrack diluito con la soda.
Ma Nuwan, toglici una curiosità...tua madre non si siede con tuo padre perchè è confinato qui e lei non gradisce vederlo bere?
Risposta disarmante: no no, mia madre beve ma solo di nascosto a casa, qui ci sono troppi parenti.
Ma i parenti non bevono? sì sì ma solo a casa di nascosto, qui ci sono troppe conoscenze..
Insomma, allora solo noi facciamo la figura degli ubriaconi in una grande famiglia di alcolisti...
Ma voi siete ospiti e suddah (bianchi). 
Ah, ok, suddha=alcolisti senza vergogna.
Devo dire che bere arrack alle 10 del mattino, 40 gradi all'ombra, dietro ad un muro come profughi, mangiare spezie, cipollotti e frutta con il pepe non era proprio nelle nostre intenzioni e forse nemmeno nella nostra più perversa immaginazione ma è stato tutto talmente piacevole, coinvolgente, divertente e sincero che ci siamo veramente divertiti.
Perso il conto delle bottiglie (una volta vuote diligentemente nascoste sotto al tavolo), la musica è cominciata a salire e di là dal muro si è scatenato l'inferno.
Donne, uomini, bambini scatenati in danze che neanche le balere di Casadei dei bei tempi potrebbero reggere il confronto.
Dopo quasi tre ore, veramente stremati dal cibo che non faceva in tempo a sparire per essere ricaricato in porzioni sempre più abbondanti, abbiamo comunicato a Nuwan che forse per noi era il caso di andare.
Andare? ma .......e il pranzo?
grazie ma abbiamo mangiato a sufficienza!
No no ma il pranzo viene servito in terrazza tra qualche minuto: riso cambogiano (ma non eravamo in Sri Lanka e soprattutto ancora cibo??).
Decliniamo spaventatissimi l'invito, quando è troppo è troppo.
E poi è noto, i migliori giocatori si ritirano quando vincono e noi eravamo in uno stato di assoluta beatitudine.
Nuwan ci accompagna fuori del budello proibito verso il nostro scooter e lì avviene il colpo di scena, la chicca che ci farà ridere per giorni.
Nuwan... è sparito il mio casco, quello rosso!
Ci guardiamo intorno, suo fratello accorre in aiuto ma del casco nessuna traccia.
Guardiamo tra i rami, per terra, sotto ai tavoli ma nulla. Anche il casco di Dinusha, la moglie di Nuwan, è dato per disperso.
Senza casco qui è multa certa.
Improvvisamente il mio sguardo si fissa sul pozzo, senza dire nulla mi ci avvicino dicendo tra me e me che non è possibile.


ad un matrimonio singalese tutto è possibile, 
anche dire ciao ciao al proprio casco dentro ad un pozzo

La scena del proprietario dell'hotel che con un secchiello da mungitura e una corda ha cercato senza successo di recuperarli, è stata una cosa drammatica, al limite delle lacrime.
Gettava il suo secchiello, tirava su della gran acqua e poi scuotendo la testa rituffava il secchiello.
Nuwan mi ha prestato il suo, siamo arrivati a casa e ci siamo abbandonati ad un sonno felice.
Il giorno dopo il mio casco era sano salvo e soprattutto asciutto a casa sua.
Tutto è bene quel che finisce bene!
Ma soprattutto: sopravvissuti!!!!!
Lo Sri Lanka è anche questo.




Per soddisfare la curiosità

Dopo il precedente post immagino che un po' di curiosità sia venuta a tutti.
Procediamo con ordine

Arriva la torta!
Nuwan giocoliere


A sinistra lo sposo sulla soglia di casa attende di poter entrare
e tutti i familiari assistono attenti alla cerimonia

il momento clou: gli sposi sono pronti alla firma
La sposa aveva un abito tradizionale singalese finemente ricamato
Lo sposo, impeccabile, indossava un completo nero con camicia bianca.
Il giorno dei festeggiamenti hanno cambiato look:
sposa in rosso super e sposo in nero con camicia di seta rossa

la firma
ahimè il bouquet era realizzato con fiori finti!!!!
abbiamo riflettuto sul perchè di questa scelta
e abbiamo pensato che forse è per conservare
per sempre il bouquet......
.....tra le cose che si riempiono inesorabilmente di polvere

donare dalle proprie mani il cibo


le damigelle



APOTEOSI DEL KITSCH
ma tanto tanto affascinante vissuto in loco!
questa immagine è fuori dal tempo

all'arrembaggio

belle ed eleganti signore attendono di farsi fotografare:
vanesie!

e chiudo con una chicca: l'OROSCOPO
inutile ingrandirvelo, è in sinhala quindi incomprensibile
In questo importante documento vengono messe per iscritto 
le date, gli orari e altre caratteristiche del matrimonio che si andrà a contrarre.











lunedì 27 gennaio 2014

Sopravvivere ad un matrimonio singalese PARTE PRIMA: GIORNO UNO

I matrimoni singalesi sono momento di gioia, svago e soprattutto una vera occasione per vestirsi eleganti (spesso noleggiando gli abiti) e mangiare, bere e ballare come se fosse l'ultima cosa che fai nella vita.
Tra le classi più abbienti, i nuovi ricchi, i matrimoni sono lusso sfrenato, noleggio di interi ristoranti o addirittura hotel ristoranti che per l'occasione vengono agghindati come fosse capodanno e sfarzo di abiti luccicanti, sontuosi, impeccabili.
La gente normale, quella che deve far quadrare il pranzo con la cena, partecipa o organizza matrimoni cercando di far buon viso a cattiva sorte: i vestiti (belli e eleganti) sono spesso noleggiati e i ricevimenti si fanno in casa con tutta la famiglia e gli amici arruolati per la massima riuscita con la minima spesa.
Sposarsi qui è importante e impegnativo: due giorni di festeggiamenti sono davvero troppi anche per le nostre ataviche tradizioni italiane.
Il primo giorno è quello che si svolge a casa della famiglia della sposa, è il momento della firma di fronte ad un cerimoniere governativo ed è in genere seguito da rinfresco e musica.
In realtà noi eravamo invitati al secondo giorno, quello della baldoria offerto dallo sposo, ma siamo rimasti fregati: ci siamo offerti per fare il servizio fotografico che, non lo sapevamo, è importante per il primo giorno.
Il nostro sollievo di fronte alla notizia di dover partecipare ad un solo ricevimento si è mortalmente spento e così, con tutta l'attrezzatura del caso, ci siamo avventurati in quel di Hackmana, uno sperduto villaggio nell'interno collinare di Matara.
Tuk Tuk, 40 gradi all'ombra, tornanti, strade sconnesse e l'idea che non eravamo nemmeno a metà dell'avventura non ci hanno demolito più di tanto. Insomma, si fa per dire.
Arriviamo al paesello e attendiamo con pazienza che la coppia di promessi sposi (di cui si può vedere solo lo sposo) finisca le foto ufficiali nello studio fotografico.
Sì, perchè quelle foto che noi definiremmo terribili, con sfondo di fiori finti, luci sparaflesciose, divanetti dorati e che vediamo negli ingressi di ogni casa che si rispetti in dimensioni spesso maggiori del tavolino che le accoglie, sono un must irrinunciabile.
Ci è capitato di entrare in case senza energia elettrica, case con il tetto squarciato, bicocche talmente rustiche da trovarci le galline dentro, ma, e sottolineo ma, appena varcata la soglia non è mai mancato l'angolo dei ricordi in cui campeggia una enorme foto di un matrimonio e a seconda dei casi successivi dagherrotipi di prole appena nata, prole che cammina, prole all'asilo, prole a scuola, prole alla laurea, prole che ha fatto prole, e così via.
Ma la foto principale, quella da cui è partito tutto, è la foto dei novelli sposi; il che, tutto sommato, ha il suo perchè a ben pensarci.
Benissimo, attendiamo le foto di rito e ci inerpichiamo nella foresta per una strada che definirla strada è un complimento che sfiora la menzogna, con tutta la carovana al seguito: la macchina dello sposo, la macchina della sposa, la macchina dell'astrologo, il bus noleggiato all'uopo dalla famiglia dello sposo carico di parenti e amici.
Capofila dell'allegra brigata: un tuk tuk verde con due sudda (bianchi) ovvero noi.
Parte ben presto un totoscommessa (tra di noi sia ben chiaro) sulla beltà della sposa visto che questo matrimonio nasconde uno scottante retroscena.
I due si sono conosciuti attraverso annuncio sul giornale.
Succede questo: entro una certa età, stimata all'incirca sui 23 anni per l'uomo e un po' meno per la donna, se non si contrae matrimonio per evidenti motivi di...chiamiamola "sfortuna", non si può che ricorrere al matrimonio combinato.
Non esistono zitelle o scapoli in Sri Lanka, è disonorevole.
Il fratello di Nuwan non è di certo un adone, se aggiungiamo poi la timidezza, non ci risulta impossibile credere che l'annuncio sul gazzettino fosse l'unica sua possibilità.
Come avviene la cosa?
Si pubblica un annuncio in cui si descrivono le principali caratteristiche del candidato, con relativo sunto astrologico fondamentale F O N D A M E N T A L E!
Il che significa che se tu mi piaci e io ti piaccio ma le stelle sono avverse, non c'è trippa per gatti e ci si dice ciao.
Poi si aspetta il postino, perchè mica ci si manda i "like" di facebook ne tantomeno ci si tagga o ci si mandano le faccine allegre su skype. No no, si aspetta la vecchia insostituibile busta di carta affrancata che quando la devi aprire magari ti tremano pure le mani o nel peggiore dei casi rimani leso a vedere la foto di qualche babbiona che cerca di accasarsi proprio con te.
Il fratello di Nuwan pare abbia avuto parecchie richieste e ne abbia respinto addirittura una perchè, così ci è stato detto, nonostante i due piccioncini si piacessero un sacco, le famiglie si sarebbero azzuffate di botte molto volentieri.
La seconda candidata invece ha passato tutti gli esami del caso: astrologo, famiglie, situazione economica e, per ultimo poraccio lui, anche i gusti dello sposo.
Combinato il tutto, si sono decisi date e orari.
Cioè, l'astrologo li ha decisi.
Questo astrologo comincia a piacermi: decide, sceglie, guarda le stelle e si fa pure pagare profumatamente.
Torniamo a noi.
Come sarà la sposa? Chiediamo a Nuwan e ci risponde con una smorfia che è come una fotografia.
Ma è così terribile? un silenzio vale mille risposte
Ma a tuo fratello piace? sì, e te credo, ultima possibilità.
Tutti riuniti davanti alla dimora della donzella, assistiamo alla cerimonia di ingresso dello sposo e della sua famiglia nella casa.
Beh, mica puoi entrare così come ti pare.
Due ragazzine timide sulla soglia di casa, di fronte allo sposo che le fissa in modo inquietante, cantano una litania senza musica, come dire, a cappella.
Dietro di loro i genitori della sposa, dietro lo sposo i genitori suoi.
Ottenuto l'invito ad entrare, lo sposo si accomoda sul divanetto della cerimonia.
Esistono due divani: uno su cui possono sedere prima di sposarsi e uno su cui dovranno sedere da marito e moglie, quest'ultimo tutto decorato di fiori e cartapesta, un insulto al kitch, un inno alla tamarraggine pura, ma nel contesto devo dire superlativo.
Entra barcollando con una torta a due piani che pare finta, il nostro amico Nuwan.
Tratteniamo il fiato, se dovesse cadere assisteremmo probabilmente ad un momento di pura violenza.
In realtà dimentichiamo che lui lavora da 11 anni nel campo della ristorazione e della ricezione così stupisce tutti appoggiando sul tavolino di fronte allo sposo, che nel frattempo si è mummificato, questo baldacchino di zucchero e glassa.
In quanto cineoperatori dell'evento noi ovviamente siamo autorizzati ad entrare e ad assistere a tutta la cerimonia.
Il cerimoniere è una donna che arriva, si siede di fronte alla mummia dallo sguardo perso e apparecchia il tavolino con fogli enormi.
La tensione è ormai alle stelle: quando arriva la sposa?
Il tempo di pensarlo e una nuvola bianca (la definizione più scientifica sarebbe quella di un cumulo nembo) appare nella stanza.
Vestita totalmente di bianco, ha il volto nascosto, non a sufficienza, da un velo di organza bianca.
Il mio primo pensiero è stato un tuffo nel passato.
Qualcuno si ricorda di Chuck Castoro?
Un aiutino....


Vestitelo di bianco, aggiungete i capelli rigorosamente neri e mettetegli un velo in testa.
Tutto sommato non sembrava male, ma.....la canzoncina nella testa di Don Chuck Castoro non se ne voleva andare.
Comincia la cerimonia, di per sè un mero atto pubblico.
Lettura degli articoli, identificazione degli sposi, firma qui, firma là. 
In piedi.
Siete marito e moglie.
Wow che allegria.....silenzio tombale e sguardi persi nel nulla.
Si procede al taglio della torta che deve essere porta al coniuge che deve addentarne un pezzo direttamente dalla mano della consorte prima e del consorte poi.
Poi lo stesso si fa nei confronti della famiglia di lei prima e della famiglia di lui dopo.
Insomma un giro un po' tortuoso ma tutto sommato bello.
Si procede poi all'accensione del candelabro sormontato dal gallo dorato, lo stesso che abbiamo fatto noi in occasione della commemorazione delle vittime dello tsunami a Weligama.
A turno procedono all'accensione e in quel mentre ci viene presentato lui, l'uomo che tutto decide: l'astrologo.
Con un sorriso sornione e uno sguardo indagatore, propone subito a Nuwan di farci l'oroscopo, notizia che ci fa non solo accapponare la pelle ma ci spara a una stanza di distanza con tanto di inchino e sorriso.
Finalmente gli sposi si siedono sul divanetto delle meraviglie e in tutto quello sfarzo di colori lei si toglie il velo...................
Sì, è Don Chuck Castoro e si mangerà tutto il kiri bath che è stato preparato per il rinfresco.
Chiediamo a Nuwan di tenercene due piatti da parte per non svenire dalla fame.
Ultimo rituale, la mamma della sposa, una vecchina piccina picciò bellissima (forza fratello di Nuwan, hai una speranza, forse tra 40 anni lei diventerà così) e vestita di azzurro come la fata turchina ma più sobria, arriva davanti agli sposi con un bicchiere d'acqua su un vassoio.
Non riesco a vedere bene cosa succede, nessuno prende quel bicchiere e quando lo porge a noi per un attimo sono tentata ma per fortuna Nuwan mi blocca. 
Bisogna imporre le mani sul vassoio come buon auspicio per i figli che verranno.
E io che me lo stavo per bere....
La coppia infine esce e mi aspetto, da tutta la gente che è seduta fuori ad aspettare il momento, un applauso, un boato, un "ooohhhhh".
Tutti mummificati, tutti immobili, tutti silenziosi, tutti seri.
Al che ho tratto una deduzione: vogliono mangiare e stanno aspettando ormai da ore, sono sul punto di collassare.
Ci dirigiamo lesti sotto ad un tendone montato per l'occasione dove sembriamo sardine in scatola ma giusto per qualche scatto fotografico e qualche ripresa.
I commensali dopo un primo boccone riacquistano sorriso e parole: eh sì, era fame.
Nuwan ci trova posto all'aperto e lì, seduti sotto ad un ombrellone che ci salva il cuoio capelluto da sicura ustione, mangiamo un kiri bath con seeni sambol da volar via.
Kiri bath: trattasi di mattonelle di riso ammassato cotto con il latte di cocco e sale, il cui gusto è indefinibile ma colpevole di forte dipendenza
Seeni sambol: sambol è il nome di tutti quegli intrugli che assomigliano a composte, mostarde fini fini, insomma sambol. Non esiste qualcosa di similare in Europa. Seeni significa dolce ma in realtà perchè è a base di cipolle rosse dolci. Immaginatevi qualcosa di assolutamente piccante e al contempo dolce.
Sbafiamo tutto avidamente, facciamo qualche altro scatto, e salutiamo tutti.
Per oggi può bastare.
Prima di andarcene assistiamo ad un piccolo incidente diplomatico: non esiste alcol, nessuno ha provveduto al rifornimento di arrack (whisky locale a 33 gradi, una bibita praticamente) e birra.
Seguono scene di isterismo miste a disperazione di tutti i maschi presenti, a partire dal babbo dello sposo che consultando l'orologio al polso se ne esce con: ma è già tardi, quando arriva l'arrack?
Il fratello di Nuwan manda un cugino di corsa al Wine Shop giù ad Hakmana per provvedere all'increscioso incidente di percorso.
Dovete sapete che qui l'alcol è taboo, si può vendere ma i wine shop sembrano luoghi di perdizione, in realtà tutti bevono.
Di nascosto, ma bevono.
Di nascosto dalle mogli, le mogli dai mariti, i monaci dai fedeli e via e via.
Ci viene data una rassicurazione per il giorno due: l'alcol non mancherà, anzi scorrerà a fiumi.
Un poco preoccupati lasciamo i musi lunghi degli alcolisti e finalmente torniamo a casa.


giovedì 23 gennaio 2014

Mille gusti più uno

Buongiorno.
Alla fine ci sono caduta, ebbene sì.
Harry Potter sul treno guardava schifato (ma segretamente attratto) le caramelle mille gusti più uno ed è così che mi sono sentita questa mattina.
La famigerata marmellata alla polpa di melone al gusto di fragola è finita nel mio frigorifero e più brevemente sulla mia fetta di pane.
Non che abbia una particolare predisposizione per i dolci, preferisco di gran lunga il salato, anche a colazione, ma.....la curiosità ha avuto il sopravvento e così eccolo qui, il vasetto misterioso.



Di seguito le mie considerazioni visivo organo-lettiche:
aspetto: avete presente quelle gelatine coloratissime che paiono provenire da Fukushima o da Chernobyl? ecco, appunto. Mi sono ripromessa di aprire il vasetto di notte, quando tutte le luci tacciono e di vedere se, in tutta quell'oscurità, posso risalire le scale senza inciampare con un solo dito avvolto da cotanta luce....
consistenza: mmmm penso e ripenso...l'aggettivo che più calza a pennello è viscido, con il cucchiaino che rincorre la massa informe nemmeno fossimo nel film Blog - la cosa.
Gusto: ora, dire che sapore ha mi risulta alquanto difficile. Diciamo che se non sapessi cos'è, chiudessi gli occhi e ne assaggiassi un cucchiaino, penserei sinceramente ad una gelatina dolcissima ma assolutamente neutra.
Spalmata sul pane è coreografica, soprattutto al mattino presto quando le luci sono ancora tenui dona quel non so che di electrofunkypop che non guasta.....


Diciamo che se sopravvivo a questo, posso affrontare l'evento mondano del giorno (al quale però non è detto che sopravviva): un matrimonio singalese.
Il fratello più piccolo del nostro caro amico si sposa e così noi siamo stati invitati come fotografi ufficiali il primo giorno (oggi) e come famigliari il giorno 25, cioè dopodomani.
La tradizione vuole infatti che vengano fissate due date, entrambe decise dall'astrologo e con orari che solo l'astrologo può scegliere.
Il primo giorno è il giorno in cui gli sposi diventano a tutti gli effetti marito e moglie, vengono fatte le firme del caso davanti ad un mastro cerimoniere e si offre un rinfresco agli invitati, il tutto rigorosamente a casa della sposa; il secondo giorno è il momento dei festeggiamenti veri e propri, gli sposi hanno già consumato la prima notte di nozze e si partecipa ad una grande festa in loro onore, a casa della famiglia dello sposo o in un ristorante.
Insomma, giorni impegnativi!
A breve dettagli e gossip!


mercoledì 22 gennaio 2014

Sinharaja Forest - l'ultima foresta pluviale

Sinharaja è l’unica e ultima foresta pluviale rimasta in Sri Lanka, deriva il suo nome dal leone singalese, oggi estinto, e letteralmente significa Regno del Leone.
La foresta si estende su una superficie di circa 90 km2 ed è situata nella parte più a sud della zona collinare, appena sotto il distretto di Ratnapura.
Nel 1989 l’Unesco ha dichiarato la zona Patrimonio dell’Umanità e in passato, dopo essere stata di “proprietà” della dinastia reale che regnava sull’isola, divenne possedimento della corona britannica che si adoperò per mantenerla incontaminata.
Nonostante gli sforzi, negli anni 70 si cominciò una barbara riduzione del legname con relativa costruzione di segherie e apertura di strade per favorire il trasporto dei tronchi. Solo diversi anni dopo, a fronte di petizioni e proteste, il governo decise di chiudere qualsiasi tipo di commercio all’interno della foresta e di attivarsi per la sua preservazione.
Ciò che possiamo vedere oggi è quindi una parte di quello che era una volta ma soprattutto anche la fauna al suo interno ha subito delle importanti modifiche.
Benchè regno di molte specie animali, alcuni davvero rari, si narra che una volta il leone singalese vivesse proprio qui, ma di lui, da tempo, non vi è più traccia.
La foresta ha due punti di ingresso: uno a Ovest (120 km circa da Colombo) e uno a Sud (80 km circa da Matara).
Ci studiamo il percorso e attendiamo un tempo stabile, visto che quasi a cadenza giornaliera nella foresta piove (essendo foresta pluviale…) e partire con una condizione meteorologica già avversa significherebbe compromettere l’ingresso ai sentieri perché troppo melmosi.
Il nostro tuktuk non teme avversità, sarà il nostro principale mezzo di spostamento nei prossimi mesi e lo equipaggiamo a dovere: attrezzatura fotografica a portata di mano, navigatore, attacchi esterni per riprese on the road e tendine parapioggia in caso di maltempo, una buona scorta di acqua e all’alba possiamo partire, mentre le strade si stanno lentamente popolando.
Decidiamo di prendere Akuressa Road direttamente da Weligama, memori che il tratto che riguarda Matara è sottosopra per la realizzazione di una nuova tranche di autostrada.
Lasciamo a poco a poco la costa alle spalle, ci addentriamo puntando tutto a nord e tagliando paesini sperduti dove i cartelli in inglese sono praticamente assenti.
Raggiungiamo la provinciale A17 che si inerpica dolcemente senza lasciarci però mai tregua.
Alcuni timidi tornanti, altri un po’ più decisi e il panorama che cambia sotto ai nostri occhi ci fa fermare per un attimo il bolide a lato strada per dare un’occhiata.
Le risaie sono ormai un ricordo, le colline sono disegnate da filari di alberi di tè dove qua e là cappucci rossi o marroni sbucano come coccinelle nella vastità di quel verde: sono le raccoglitrici di foglie e la loro tenacia sotto ad un sole che non perdona è ancora un mistero.
Sotto di noi, dove la strada si fa mangiare dalla vegetazione, ci appare una gigantesca cornucopia di verdi contrastanti e lì per lì non riesco a capacitarmi di come possano esistere tante tonalità diverse di quel colore.
E’ una spirale avvolgente, ipnotica, brulicante di vita che rimanda il pensiero a quando ancora non esistevano né strade né fili elettrici a dare un senso ed un orientamento a tutto questo mare verde.
In alcuni tratti la strada si restringe per entrare in caotici paesi dai negozi colorati tutti in fila: Pitabeddara, Morawaka, Kotapola.
Spesso si è fortunati e vicino alla strada corre un fiume che porta un vento fresco e profumato di natura.
Dopo circa tre ore di viaggio raggiungiamo Deniyaya da cui dovrebbe partire una strada diretta all’ingresso della foresta.
Scopriamo che nonostante un paio di cartelloni sbiaditi di pubblicità alle bellezze naturali dello Sri Lanka, le indicazioni per la Sinharaja Forest sono praticamente inesistenti.
Così cominciamo a chiedere indicazioni.
Una ragazza che parla solo singalese, appena fuori Deniyaya ci fa capire che dobbiamo prendere per Palleyama e in seguito per Mederapitiya, ma che la direzione che stavamo seguendo è sbagliata.
Così pazientemente torniamo nel centro del paese perché ricordavamo, passando,  di aver letto su un cartello arrugginito il nome Palleyama e così è.
In realtà una viuzzola secondaria porta il nome di Palleyama Road il che per noi è sufficiente.
Incrociamo una corriera strombazzante in una strada che sarà larga due metri o poco più, così con abili manovre riusciamo a metterci di lato per farla passare.
Dopo alcune curve proseguiamo per uno sterrato che via via peggiora fino a diventare uno scorticato sentiero di terra rossa, in alcuni punti allagato, tra sterminati campi dove i bufali ci guardano con sfida.
La presenza di due bianchi su un tuk tuk deve sembrare bizzarra anche per loro, soprattutto se a guidare è proprio un suddha, un bianco.
Raggiunta Palleyama cerchiamo nel centro del piccolo villaggio un cartello analogo e cioè nascosto, arrugginito, scolorito, che riporti il nome di Mederapitiya Road e scopriamo che esiste per davvero.
Il sentiero diventa un budello eroso con buche enormi disseminate qua e là.
Per un attimo pensiamo di proseguire a piedi ma incrociando altri tuk tuk ci rincuoriamo e spingiamo il nostro ronzino fino ad un agglomerato di case dove la strada termina in una minuscola e raccolta piazza circolare.
Ci guardiamo intorno e vediamo un gruppo di signori fermi sotto ad una veranda come vecchi cowboys in pensione che masticano tabacco, che in questo caso è betel.
Con le labbra color vermiglio e le bolle di saliva rugginosa che sbucano tra un dente e il posto dove prima c’era un dente, ci fanno segno “lì, davanti a voi”.
Guardiamo meglio, deve esserci sfuggita una strada.
No, non ci era sfuggita, semplicemente non c’era e non c’è.
Lì davanti a voi indica un ponte largo quanto il tuk tuk sospeso su un fiume abbastanza vivace e in posizione rialzata rispetto alla strada, sicché per imboccarlo a piedi occorre fare un gradino e per imboccarlo con il tuk tuk bisogna essere bravi oltre che impavidi.
Motore a manetta, calcoliamo l’imboccatura (sbagliare ora sarebbe abbastanza definitivo) e attraversiamo il ponte tra gli sguardi persi dei bufali, quelli stupiti dei masticatori di betel e quelli decisamente divertiti dei bambini.
Guardano un bianco che guida il tuk tuk e si scompisciano dalle risate.
Un po’ li invidio.
Oltre il ponte, il budello prosegue e in condizioni non migliori ma dopo poco raggiungiamo una salita piuttosto ardua alla cui base sono parcheggiati altri tuk tuk.
Arriva un signore, singalese, scalzo e con il sahari. Non parla inglese, solo poche parole.
Chiediamo se per la foresta si deve salire e se possiamo salire con il nostro mezzo.
Sì. No.
Il mezzo lo lasciate qui.
Guida? inteso come “vi serve una guida?”
NO ma lui ci accompagna.
Forse è solo gentile e ci vuole mostrare dove si fanno i biglietti.
La simpatica salita quindi ce la facciamo a piedi con attrezzatura fotografica, acqua, binocolo, videocamera e via e via.
Il paesaggio è mozzafiato, una radura tra le alte cime degli alberi con una stradina di lato ci accoglie e ci fa sentire un po’ piccoli esploratori.
Camminiamo dieci minuti così, tra saliscendi e sole battente poi vediamo un edificio con gabbiotto, siamo arrivati.
Scopriamo subito che non ci è consentito entrare senza la guida.
Regole governative.
Eh grazie tante, mi obblighi a pagare uno che io non voglio.
L’impossibilità della scelta mi rende un attimo, ma solo un attimo, sul punto di girarmi e andarmene, idem quando si deve contrattare sul prezzo della guida.
Passiamo dalle 1000 rupie a 700 dopo cinque minuti di polemiche, paghiamo 1120 rupie per l'ingresso e finalmente ci addentriamo.
Il sentiero di terra battuta si immerge letteralmente nella foresta che è così fitta da impedire in alcuni punti la visione del cielo, alla nostra sinistra un fiume dall’acqua limpidissima ora si trastulla placido ora scroscia su pendenze che vanno via via aumentando mano a mano che avanziamo.
La nostra guida ci precede, facendoci cenno con la mano quando vede qualcosa di interessante e probabilmente fa il suo lavoro di guida (benchè non parli inglese) ma non fa per noi.
I primi dieci minuti si sofferma su animali che abbiamo nel giardino di casa, scimmie comprese, e abbiamo la tentazione di fare come in Jurassik Park 1, quando per la noia uno dei protagonisti ferma le macchine telecomandate che seguono il normale percorso, scende e comincia a uscire dal circuito.
La tentazione è fortissima, ci sono vie di fuga sia a destra che si arrampicano sul crinale, che a sinistra verso il letto del fiume.
Ma ce ne stiamo buoni perché in lontananza vediamo arrivare uno degli uccelli più belli e incredibili che io abbia visto (e che non avevo ancora visto se non in foto): l’Urocissa Ornata (ovvero la gazza blu singalese, ma proprio blu blu!!).
L’entusiasmo è smorzato subito dal gruppo dietro di noi, una donna e tre uomini più la guida.
Io gentilmente chiedo di non superarci per consentirci di fotografare l’Urocissa e di non farla volare via; la guida mi sorride e “sorry we have to go” (scusate dobbiamo andare) …ma dove? vi scappa il treno? vi scappa a tutti la pipì??? ma è la bestiola quella che scappa.
Bene, cominciamo bene, anzi no, avevamo già cominciato bene.
Chinati, accucciati, sdraiati cerchiamo di individuarla tra i rami fitti mentre gli idioti si fermano per fotografare anche loro (ma non avevate così fretta??).
Non passano venti minuti di camminata che sentiamo un rombo provenire da dietro: sì, una moto, una moto nella foresta pluviale patrimonio dell’Unesco.
Penso a un’autorità, un medico d’urgenza per qualcuno che sta per morire, un orso ammaestrato….no, è semplicemente un ragazzo in moto che quando ci fila per passare suona pure il clacson e saluta divertito le guide.
Ma chi sei? e soprattutto dove vai??
Possiamo anche tornarcene a casa, penso, gli animali si saranno dileguati e rifugiati probabilmente a casa nostra.
Poi invece proseguiamo, pensiamo ad un caso, magari una guida che in scioltezza raggiunge un appostamento.
Intanto però di animali nemmeno l’ombra, eccetto per dei millepiedi lunghi quanto il mio avambraccio (probabilmente privi di udito e quindi non in fuga) e uno scoiattolo gigante.
Ora, una piccola parentesi sullo scoiattolo gigante: è una cosa letteralmente inquietante.
Insomma è come dire un pollo gigante o una cavalletta gigante o un maiale gigante, è….è innaturale!!!!!
Grande come un cane di media taglia, arrampicato a testa in giù e per nulla intimorito, nel suo pelo foltissimo e lucido, ci guardava con quegli occhi per niente tranquillizzanti.
Giuro, per un attimo ho pensato che fosse finto e messo lì per i turisti: hey, guardate, uno scoiattolo gigante proprio lì, alla vostra destra!
E tutti a scattar foto e a raccontare il giorno dopo di quanto è incredibile quella foresta e che forti che sono le guide, hanno individuato ANCHE uno scoiattolo gigante.
Il dubbio mi rimane per almeno una mezz’ora, il tempo di vederne un altro intento a mangiare un frutto su una pianta.
Qualche agamide, altri millepiedi, un varano forse nato da pochi giorni e un sentiero affollato come Bangkok in ora di punta di formiche tonde nere, tutte rigorosamente in fila indiana, anzi singalese.
Serpenti, gatti rugginosi, rane, uccelli, tutti fuggiti.
Eh sì, perché di moto ne sono passate altre e non da sole, a volte in coppia per un totale (in due ore di sentiero) di 5 moto.
Ma io dico: non hai altre strade? non hai altri mezzi di locomozione? ma l’Unesco lo sa??
La delusione comincia a montare come soufflè nel forno e arrivati al punto in cui occorrerebbe guadare il fiume per arrivare ad una piscina naturale, chiediamo di tornare indietro.
Arriva la guida che si crede Indiana Jones e con un sorrisetto tirato ci chiede come mai non vogliamo fare il bagno, l’acqua arriva alle ginocchia ed è molto piacevole.
Forse gli deve essere sfuggito il fatto che siamo carichi come cammelli di attrezzatura fotografica e che se devo entrare in una foresta pluviale per farmi due ore di sentieri solo per fare il bagno me ne stavo in spiaggia a casa mia, gratis.
Rispondo con lo stesso sorrisetto e chiedo: ma…animali?
E qui rivela tutto il suo acume da giovane marmotta: “animali???? eh ma sono troppo disturbati in questo periodo, si ritirano, si nascondono….”
Ma va???
Rientriamo abbastanza velocemente, accompagnati da un cagnolino sbucato chissà dove e lasciandoci un poco indietro la guida che sta già gongolando per essersi fatta due passi ben pagati..
All’uscita il prezzo della guida cambia di nuovo (in eccesso ovviamente, 1500 rupie), paghiamo quello che chiede, fotografiamo il tabellone dei prezzi esposto e non possiamo fare le nostre rimostranze alle antipatiche signore della biglietteria perché se ne sono andate.
Arriva un ragazzotto, probabilmente una guida, e mi dice gentilmente che i prezzi esposti sono del 2002.
Ah davvero? e quelli del 2014 dove sono?
Non li esponiamo.
Ah, certo.
Ripeto: ma l’Unesco lo sa!?
Ormai è l’una passata, il cielo comincia a riempirsi di nuvole proprio sopra la foresta.
Rifacciamo la strada a ritroso e raggiungiamo il tuk tuk, il cagnolino sempre dietro di noi.
Gli lascio una decina di cracker che mangia scodinzolando.
Siamo silenziosi, non abbiamo tante parole.
Il mondo sta bruciando lentamente o velocemente, dipende dai punti di vista, e quello che ancora rimane potrebbe scomparire da un momento all’altro.
Il corpo umano quando si ferisce e un oggetto estraneo penetra al suo interno, inizia un fenomenale processo di espulsione dell’oggetto stesso. A seconda della zona e della dimensione, potrebbero volerci pochi giorni o molti di più per espellere definitivamente il “nemico”.
Ecco, penso che la natura stia facendo questo con l’uomo, con tempi che a noi non sono noti ma che soprattutto con azioni che non siamo più lucidamente in grado di contestualizzare e vedere nella loro globalità.
Clima impazzito? i media attaccano il disco di quanti anni sono passati dall’ultima volta che…
Epidemie che tornano vigorose dopo che sembravano debellate? case farmaceutiche stanno già lavorando per trovare una cura.
Animali e/o uomini con strane anomalie genetiche? è il caso dell’anno, copertine su riviste e foto in esclusiva, si accendono le luci del circo mediatico.
Siamo la scheggia purulenta che poco alla volta verrà eliminata e allontanata da ciò che stiamo contaminando, siamo il frammento di qualcosa che si è rotto per sempre ed è incapace di rigenerarsi, siamo un virus molto contagioso ma altrettanto vulnerabile, è questione di tempo.
Ancora una volta non è la natura ad averci deluso, ma l’uomo.

il bolide e l'impavido autista



alla guida

sosta panorama

all'ingresso di Deniyaya

si parte...

incontri

...e per tutte le altre foto a breve disponibili insieme alle moooolte altre sulla GUIDA!!!