domenica 25 gennaio 2015

Cronaca di un incontro e rivelazioni importanti a proposito di Don Diego de la Vega....

....ovvero come due storie apparentemente scollegate siano in realtà strettamente unite.
Da quale storia partiamo?
Don Diego de la Vega, ve lo ricordate? qualcuno no, forse per età, qualcun altro sì ma senza ben focalizzare chi fosse. Se vi dico Zorro vi è tutto più chiaro?
Chi non conosce Zorro, alias Don Diego de la Vega? Cavaliere mascherato di nero, precursore dei moderni supereroi, Zorro si caratterizza, come i suoi più moderni successori, per il fatto curioso che il semplice indossare una mascherina lo renda assolutamente non riconoscibile.
Insomma, quando Clark Kent indossa il costumino di Superman ve ne fosse uno, dico uno, che lo riconosca e dica: ma sì, è il giornalista un po' sfigato che si sottomette all'acidità costante del suo caporedattore! 
Ecco, per Zorro è uguale: un mantello, una strisciolina di stoffa sugli occhi e bum! Chissà chi si nasconde dietro al terribile giustiziere a cavallo...
Ma che ci volete fare, i supereroi godono di questi straordinari privilegi.
Ora che avete individuato chi è Don Diego de la Vega, mettete l'immagine in un cassetto, a disposizione.
Parliamo dell'altra storia piuttosto, che mi riguarda personalmente.
La Baja California è un luogo apparentemente inanimato, se si escludono i condor e le aquile che volano alte nel cielo terso e i pellicani, i gabbiani, i cormorani e diversi esemplari di uccelli acquatici.
Se durante i nostri anni in Sri Lanka era necessario guardare fuori dalla finestra per vedere una varietà indiscussa di animali aggirarsi indisturbati nel giardino di casa, qui ci si bea o meno, dipende dai punti di vista, del silenzio che circonda sconfinate vallate e colline abitate solo da cactus, terra rossa e arbusti coriacei.
Ma per vedere bisogna osservare.
Occorre varcare con l'occhio ciò che sembra tutto uguale, occorre spesso attendere la notte e aspettare al buio, immobili, che qualcosa si muova in questo sconcertante nulla.
Ed è così che si scopre una vita che si esplica nel più assoluto mimetismo e che, cosa ancora più sconcertante, ci osserva mentre noi, ignari, crediamo di essere soli.
Ci sono volute tante notti e qualche fortunato e casuale avvistamento per scoprire civette, lucertole, crotali, procioni, donnole, volpi, topolini microscopici e uccelli velocissimi.
Gli animali qui hanno una vita dura: tanto sole, poco cibo e scarsa acqua. Per difendersi dai predatori, molto agguerriti, assumono i colori della terra e dei sassi, vivono in tane sottoterra  pur possedendo le ali, attraversano cespugli di rovi senza temere, scavano nidi dentro a cactus maestosi e tu, se mai riesci a individuarli in questo carosello, non ti capaciti di tanta perfezione.
Sono passati ormai due mesi da quella mattina in cui all'alba vedemmo sulla collina una volpe rincorrere un uccellino. Fu un caso, la fortuna di un momento, che ci riempì di emozione.
La vedemmo successivamente un paio di volte ancora, di sfuggita, di soppiatto, senza avere la possibilità di scattare almeno una foto.
E due sere fa l'incontro, quello con la I maiuscola, quello che ti fa sentire grato.
Passato da poco il tramonto, alla sola luce delle stelle e di una fioca lampadina dietro casa, mi sono fermata in silenzio sul marciapiede a fissare il buio.
Spesso lo faccio, prima di andare a letto, immaginando tanti occhi a fissarmi senza che io possa vederli, nemmeno con il visore notturno, nascosti come sono tra rocce e cespugli.
Dall'oscurità un movimento alla mia sinistra mi ha messo in allerta, un'ombra senza peso e senza rumore. 
Ho rallentato il respiro, sgranato gli occhi, immobilizzata ogni mia cellula e vinto ogni paura.
Semplicemente ho fatto come loro: mi sono mimetizzata, a mio modo, nel buio.
Ed è arrivata.
Leggera, elegante, curiosa: la volpe.
Camminava sul muretto della casa a pochi metri dalla mia posizione, venendo verso di me come se non mi avesse proprio visto.
Annusava l'aria e procedeva con grazia, facendo fluttuare una coda lunga quanto il suo corpo e incredibilmente sinuosa.
Quando mi è stata davanti, a circa un metro, si è fermata e mi ha visto nell'ombra.
Mi ha fissato come io la stavo fissando: con curiosità, incredulità e un poco di paura.
Ci siamo fissate per un tempo che a me è sembrato infinito.
Ho potuto osservarne il muso affilato, le orecchie dritte sulla testa, le zampe agili e sottili, il pelo abbondante e la coda gonfia.
Poi non ho resistito e ho azzardato un richiamo, quello che si fa quando si chiamano i gatti, ma più soave, quasi sotto voce, rischiando di vederla sfrecciare di nuovo nel buio.
E lì la sorpresa. Ha piegato la testa e ha continuato a fissarmi, come per chiedermi cosa intendessi esattamente con quel verso. Ha annusato l'aria di nuovo senza mai perdermi di vista.
Poi, senza fretta, ha imboccato la fine del muretto per sparire nel buio senza un minimo rumore.
Ho respirato profondamente, ho lasciato un boccone di carne e mi sono ritirata.
Al mattino quel boccone era sparito.

E’ stato qualcosa di magico, quell’incontro, e qualcosa di assolutamente primordiale.
Il buio, il silenzio, nessuna macchina fotografica o telefono, solo i nostri occhi.
Ora so a chi appartengono almeno un paio fra i tanti occhi che mi fissano nel buio la sera.

Vi state ora chiedendo cosa dovete farne con Don Diego de la Vega nel cassetto, vero?
Beh, sappiatelo: Zorro in messicano significa “volpe”.

Ciao.

Nessun commento:

Posta un commento