sabato 25 maggio 2013

L'occhio del suddha

No, non è una svista, ho scritto proprio "suddha".
Suddha siamo noi, gli stranieri bianchi che vivono in Sri Lanka, i foreigners.
Non è un termine dispregiativo, tutt'altro.
Manush, il figlio del nostro amico Nuwan, ti chiama affettuosamente "suddhu mama" (zio bianco) e lo dice con quel guizzo negli occhi neri che è già un sorriso.
All'inizio noi suddha non riuscivamo a distinguere loro, i singha, e ci sembravano tutti uguali, tutti bene o male con le stesse caratteristiche, un po' come succede con i cinesi e immagino pure con noi occidentali.
In realtà è un difetto più mentale che ottico; bisogna osservare e andare oltre per capire che ognuno di loro (noi) presenta caratteristiche diverse e da quel giorno abbiamo incominciato a distinguere il vicino di casa,  l'ortolano sulla strada prima del ponte, il farmacista gentile e quello antipatico.
Questo è successo perchè il foreigner ha tempo o meglio non ce l'ha più, non lo calcola proprio e questo gli consente ampia libertà di movimento.
Ma soprattutto acquisisce un dono speciale, una finezza nello sguardo che gli permette di distinguere nella moltitudine caotica delle cose, certi piccoli preziosi dettagli che sono il sale delle pietanze, l'ingrediente che non si vede ma che manca se non c'è.
La folla all'uscita del ristorante è variopinta, tutti indossano abiti da cerimonia colorati; le donne si pavoneggiano con saari e acconciature perfette, gli uomini sono prestanti negli abiti tradizionali bianchi o color avorio, i lucidi baffi neri svettano come papillon impeccabili.
Attendono gli sposi e si complimentano l'un l'altro con grandi sorrisi e inchini.
Ma nell'ombra, poco più avanti, davanti al cancello socchiuso di una modesta abitazione, due giovani ragazze si tendono tra i cespugli nel tentativo di osservare tutto quel fruscio di sete e gemme; hanno l'occhio sognante, la bocca semichiusa a cercare di carpire qualche dettaglio in più.
Bisbigliano tra di loro, commentano e poi rimangono di nuovo in silenzio per studiare meglio chissà quale particolare.
Il vestito semplice, a fiori, di cotone, i piedi nudi sulla terra e i capelli ben raccolti, con la mente sono altrove.
Credono di non essere viste, l'attenzione è tutta per la cerimoniosa congrega ma loro, le ragazze semplici, sono due cenerentole preziose che si muovono nel silenzio.
E ancora: nell'ora del tramonto coppie e bambini si fermano sulla spiaggia o sul bordo della strada a osservare, mai sazi, quell'incredibile spettacolo che il sole regala ogni sera.
Gli aquiloni volano alti con lunghe code serpeggianti al vento e i vicini si radunano sulla porta di casa a scambiarsi chiacchiere e risate, in un clima per noi dimenticato e così rassicurante insieme.
Ma oltre quel giardino fitto che si perde nell'oscurità, sotto alla una luce fioca di lampadina che viene dall'interno di una casa, ci sono uomini seduti sul pavimento che con pazienza rassettano le reti per la pesca.
Hanno i volti segnati dal sole e le bocche rosse di betel, indossano il tradizionale pareo a righe di cotone spesso che all'occorrenza viene arrotolato fino alla cintola.
Nelle ore della preghiera i templi si riempiono di devoti che portano incenso e fiori di loto, salmodiando in fila indiana sulla voce guida del monaco.
E proprio lì, nell'angolo nascosto, un uomo senza età, che potrebbe avere 100 anni o solo 40, a gambe incrociate come fossero rami in procinto di spezzarsi, fissa il vuoto in silenzio ma negli occhi ha tutte le preghiere del mondo.
Matara è la città caotica dei mille negozi, market, sedi centrali di banche, supermercati e farmacie, gioiellerie eleganti e antichità polverose, fashion shop all'ultima moda (di qui ben inteso).
Ma prima del ponte imponente che attraversa il grande fiume, sotto ad un ombrello da pioggia del colore dello smog dei tubi di scappamento dei grandi bus, un omino dello stesso colore seduto su una stuoia dello stesso colore, con mani abili e pazienza indefessa ripara a poche rupie una ciabatta infradito di una ragazza, l'ombrellino parasole di una signora in saari e qualsiasi cosa si fosse rotta e abbisognasse di un intervento rapido e efficace.
L'occhio del suddha è lo sguardo discreto, a volte imbarazzato, sulla nuda semplicità, sulla pura dignità, sull'ingrediente magico che rende le pietanze uniche.

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