sabato 4 maggio 2013

Cronaca di una giornata di pioggia

Difficilmente qualcosa qui riesce ad indisporti.
Nemmeno il maltempo che qui significa pioggia torrenziale, rivoli d'acqua gonfi come una pagnotta che lievita.
Questa mattina il sole tardava ad arrivare, alle 6,30 le nuvole gonfie lasciavano filtrare solo un bagliore lontano e magico, una luce livida e minacciosa.
Nel silenzio della casa ho atteso paziente la pioggia che è arrivata dapprima in punta di piedi, un pulviscolo insignificante e impalpabile per poi aumentare, correre, precipitare con baccano crescente.
Il rumore delle grosse gocce sulle foglie delle palme riesce ad essere più forte del risveglio degli scoiattoli (provare per credere).
Mi godo questa voce possente della natura, mi riempio gli occhi del verde che si lava e quando tutto rallenta, prende fiato e ritorna il pulviscolo garbato, esco a piedi nudi sull'erba intrisa d'acqua, un tappeto fresco piacevole che mi fa sentire parte di questa possente voce.
Le piante paiono ansimare dopo aver sopportato la violenza dell'acqua e del vento, gli uccelli riappaiono (dove si erano riparati?) sistemando le piume gonfie e arruffate e io lancio un po' di riso della sera prima per loro.
E seduta con la mia tazza di caffè penso che alla fine è tutto così semplice e maledettamente meraviglioso.
Riprende il temporale, un lampo e 12 secondi dopo il tuono, un lampo e 4 secondi dopo il tuono.
E' sopra di noi con una tale violenza che questa solida casa per un attimo mi pare un nido di rondine, pronto a sfaldarsi e a volare via con un colpo di vento forte.
Ma è solo un'impressione.
Mi faccio una zuppa calda di cavolfiore, broccoli, peperoncino e riso: una coccola.
Piano piano scema il temporale, il cielo livido sembra guarire e partiamo in scooter.
La quiete dopo la tempesta è una splendida occasione per vedere la natura risvegliarsi, risistemarsi le piume come se nulla fosse successo, con una costanza che fa invidia a noi poveri umani.
Dalla strada principale che costeggia la costa di Mirissa ci buttiamo nell'interno prendendo una strada che rimpicciolendosi, torcendosi tra curve a gomito, passando attraverso la ferrovia (la stazione di Mirissa meriterebbe un post a parte), diventa un nastro di terra rossa che si apre finalmente tra risaie a perdita d'occhio, campi coltivati pieni di pavoni e bufali d'acqua.
E tutto intorno, a racchiudere questa vastità, foreste di palme fitte e rigogliose.
In lontananza due aquile volteggiano basse, si tuffano in picchiata per catturare qualche pesce nel canale e ritornano in quota; un corvo si misura con una di loro, una sorta di tenzone giocosa che si risolve con una pausa sugli alti rami di una pianta.
Una scia inaspettata nell'acqua melmosa di un campo di riso ci rivela che un serpente sta guadando la pozza d'acqua e subito dopo un esemplare simile ma molto più grande fugge dal ciglio della strada al nostro passaggio.
C'è qualcosa di davvero magico in questo risveglio, un inno alla vita urlato da tutti, ognuno a suo modo, così armonico e profondo da far rabbrividire.
Un gruppo di ragazzini sulla strada piena di buche fanno a voce alta una specie di conto alla rovescia, una cantilena carica di attesa.
In mano ognuno tiene qualcosa, un pacchettino voluminoso, un gomitolo di stracci, un grosso sasso, non riusciamo a individuare di cosa si tratta.
Il countdown è finito, lanciano l'oggetto in aria tutti insieme all'ultimo numero e l'oggetto apre le ali e vola via: erano uccelli e sono stati liberati.
Li abbiamo seguiti sparire nel cielo insieme ai loro occhi sgranati e alle loro urla di gioia.
Non abbiamo capito cosa significasse tutto questo, se gli uccelli erano addestrati o se era un modo per festeggiare la fine di un grosso temporale o semplicemente un gioco innocente da fare insieme.
Abbiamo ripercorso la strada al contrario, le pozze di fango rosso piano piano si sono trasformate in buche d'asfalto fino alla strada principale dove il traffico normalmente scorreva, incurante di tutta la meraviglia che ci siamo lasciati alle spalle.
Abbiamo chiuso la giornata con una cena sulla spiaggia, riparandoci dalla pioggia un attimo prima che ci portassero il nostro barracuda alla griglia.
Sotto al porticato del ristorantino, con il mare che ringhiava inquieto, ho pensato che davvero nulla poteva indispormi, nemmeno il maltempo.

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