mercoledì 2 gennaio 2013

In viaggio per Colombo

La sindrome da rientro che ormai respira dentro di noi è come il tempo: inesorabile.
Manca una settimana al nostro imbarco e dobbiamo risalire a Colombo lasciandoci alle spalle Galle e tutto il resto. Ci chiediamo se un viaggio in treno possa servire a mitigare questo "autunno" che ci opprime nonostante noi continuiamo a far finta di nulla e le goccioline di sudore ricamano le nostre magliette.
Scopriamo con delusione che tutta la linea ferroviaria da Galle verso Colombo è interrotta per rifacimento binari. Perfetto, non si può lasciare Galle...magari fosse così.
Questo rimarrà un buon motivo per ritornare in Sri Lanka, dove non essere riusciti a prendere un treno è come non averne assaporato una porzione.
I bus sono numerosi e si può scegliere con leggere differenze di prezzo tra quelli ultra moderni dotati di tendine con il pizzo e aria climatizzata e quelli vecchio stile con tendine in plastica , quando ci sono, e niente aria climatizzata.
La nostra scelta cade su una via di mezzo ma principalmente ci interessa l'orario, che non sia all'alba per intenderci ma nemmeno nel pieno del pomeriggio assolato.
Perchè l'autunno è solo nell'anima, fuori il termometro segna 30-35 gradi e anche i varani a Galle sudano.
Salutiamo i bastioni, i bambini, i militari, i cani, i venditori notturni fantasma, le murene, le terrazze, i corvi, i cobra e il loro incantatore, le scolopendre azzurre e le scimmie dorate.
Qui a Galle lasciamo un altro pezzo di cuore.
E' come se il viaggio fosse già finito - mi dici sconsolato.
Abbiamo cinque giorni da passare nella capitale, per organizzare le nostre foto, fare qualche passeggiata e prepararci al rientro. Una camera di decompressione al contrario, diversamente da quando siamo arrivati un mese fa.
All'andata decomprimere il brutto, al ritorno prepararsi ad affrontarlo di nuovo, ma più ricchi dentro.
E questa ricchezza che sentiamo esploderci dentro tanto da non sapere dove metterla una volta atterrati a Milano tra neve e terremoti, decide di non abbandonarci così, alla vigilia, ma di crescere ancora, legandoci un po' di più a questa terra.
Prendiamo posto sull'autobus sedendoci dietro per poter stivare i nostri zaini senza creare disturbo a nessuno. 
Siamo gli unici stranieri e i pochi singalesi salgono guardandoci incuriositi; con puntualità incredibile si chiudono le porte e lasciamo Galle.
Il nostro abituale silenzio delle partenze è rotto solo da qualche commento a ciò che passa dal finestrino.
La costa ovest è bizzarra, intervallata da distese immense deserte e da agglomerati di resort, alberghi, negozi, bettole dove turisti accaldati e bruciati dal sole girano come formiche in un formicaio.
Lo Sri Lanka è una lacrima dalle mille sfaccettature e vedendo quanto è diverso l'ovest mi perdo in pensieri nostalgici per un est ancora quasi immacolato che non ci è stato possibile visitare.
L'autobus procede veloce nei tratti fuori dai centri abitati, rallentando e spesso fermandosi quando entra nei formicai; è un viaggio per un bel tratto a singhiozzo ma non ho fretta di arrivare, vorrei metterci tutto il tempo del mondo.
A metà corridoio un muso a punta con due spilli al posto degli occhi fa capolino dallo schienale.
E' una bambina singalese in viaggio con la mamma e il fratellino più piccolo.
Avrà dieci anni ma ne dimostra qualcuno in meno; è minuta e sottile come un noodle, i capelli lunghi e neri le arrivano a metà schiena e le sue mani lunghe e affusolate danno l'idea di potersi spezzare da un momento all'altro. Sbircia curiosa in ginocchio sul suo sedile e la madre si gira a guardarci sorridendo, quasi scusandosi di tanto interesse. Dobbiamo sembrare due esseri molto strani, con i nostri tatuaggi e i nostri impianti sotto pelle. Le sorridiamo e quando i nostri sguardi si incrociano, si nasconde timida e divertita insieme.
Affronta la sua paura e si mette nel corridoio, sobbalzando di tanto in tanto alle manovre brusche dell'autobus; ci fissa ormai senza timore e noi chiediamo alla madre se possiamo scattare qualche foto con lei. Il ghiaccio è rotto, la piccola ride e guarda sua madre con gioia, si sente importante, si sente bella.
Torniamo ai nostri sedili ma le chiediamo se vuole sedersi con noi per il viaggio. La madre le fa cenno di andare e dopo poco si alza per portarci tre arance succose da consumare insieme.
Erano le loro arance, per il loro viaggio e ce le ha cedute senza esitazione.
Non parla, probabilmente conosce solo il singalese così ci adoperiamo per comunicare a gesti.
Peserà meno del mio zaino, è educata, si muove con grazia e ogni tanto si ferma a fissare ora il mio braccio ora il tuo. Poi punta gli spilli nei miei occhi ed è come se parlasse.
E' grata, è emozionata, è incuriosita, è felice, anche lei come noi vorrebbe che quel viaggio in autobus non finisse mai.
I formicai sulla strada cominciano a diradare così la corsa dell'autobus diventa più dolce e meno intermittente, la piccola sbadiglia, appoggia la testa alla mia spalla e si addormenta.
Quasi non respiro, quasi non mi muovo, vedo di abbracciarla per contenerla meglio, per evitare che un improvviso sobbalzo la faccia svegliare e cerco con lo sguardo la madre per ringraziarla e per tranquillizzarla: è qui, è calma, si è addormentata, ci penso io.
Poi cerco il tuo, di sguardo, e non troviamo le parole e forse invece le troviamo tutte.
Troviamo il modo di dirci che tutto questo è giusto, è naturale ma che tu sei stato lontano, non l'hai abbracciata nè le hai tenuto la manina fragile tra le tue perchè da noi questo può essere male, può essere sporco, può essere innaturale; troviamo il modo di dirci che non vogliamo tornare dove questo può essere visto come male e che vogliamo stare qui, perchè qui le ferite guariscono e sono le persone a guarirti e a insegnarti che in fondo la vita è molto più semplice di quanto ci sforziamo di disegnarla; troviamo il modo di commuoverci perchè disabituati a gesti di pura empatia umana che ci arrivano addosso con la potenza di un vuoto d'aria perchè ci manca il fiato e non possiamo respirare forte, perchè magari si sveglia e finisce questa magia; troviamo il modo di dirci che non dobbiamo dimenticare, quando saremo di nuovo nell'oblìo, della dolcezza di una bimba e di sua madre e di zio tibia e della palletta gialla e del guardiano con il machete e della zuppa della sorella di Sunetra e della visione del fantasma venditore di Galle e via e via, come nella filastrocca di Samarcanda.
Tante perle da tenere attaccate una all'altra, un rosario da sgranare nei momenti in cui ci sembrerà di avere sognato e invece sono tutti qui, li tocchiamo, sono esistiti e ce li portiamo appresso.
Inesorabilmente passano le ore e siamo alle porte di Colombo.
L'autobus nel frattempo si è riempito ma rimaniamo gli unici occidentali.
Una coppia mussulmana ha preso posto accanto a noi e le urla del neonato avvolto nel telo color ruggine hanno svegliato la nostra piccina. Ha alzato lo sguardo verso di me e si è messa a ridere un po' imbarazzata, non si è accorta del tempo che è volato e che si è addormentata. Si alza e vola tra le braccia della madre, parla fitto fitto con lei, forse le sta raccontando di tutte le cose strane che ha visto. Le foto dentro la macchina fotografica, i disegni sulla pelle, il nostro strano modo di parlare.
Dentro allo zaino ho ancora una scatola di pastelli a cera che avevamo comprato nella nostra cartoleria di fiducia a Galle, quando volevi disegnare qualcosa.
Portaglieli - mi dici in un soffio. E quando mi avvicino chiedendo a sua madre se potevo regalare i pastelli alla piccola, incrocio di nuovo il suo sguardo a spillo. Con quelle mani di cristallo prende delicatamente la scatolina di cartone e sorride. Il viaggio ormai sta per finire, per entrambi, e gli spilli mi sembrano più piccoli.
Non sappiamo dove scendere, chiediamo al signore mussulmano di fianco a noi e ci rassicura dicendo che conosce la fermata, ci avvisa quando siamo vicini.
La piccina scende appena prima, la vediamo farsi strada nel corridoio ormai affollato e prima di scendere volge gli spilli. Ciao piccolina, buona fortuna.
L'autobus si ferma esattamente davanti al nostro albergo, l'Hilton Colombo.

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