domenica 30 agosto 2015

A piedi nudi nel silenzio

Il tempo, quando non sono in movimento, è come un carretto da trascinare o da rincorrere, difficilmente da cavalcare.
A meno che non ci si ritrovi in una non dimensione, in una sorta di perfetto isolamento, un parapetto invisibile a tutti ma dal quale osservare e riflettere.
Ecco, solo in quel caso il tempo subisce dilatazioni e talvolta si contrae ma in una formula sconosciuta, che stordisce e rapisce insieme.
Sono in isolamento.
No, non carcerario né tantomeno sanitario.
Anzi, lo dirò meglio: sono in silenzio stampa.
Questa nuova condizione di esule in terra sconosciuta dove parlano una lingua ancor più sconosciuta, mi (ri)porta magicamente su quel parapetto, dove i fogli sotto alle mie mani si riempiono senza che io a volte me ne renda conto.
E meno male! aggiungo io.
Questo secondo libro borbotta, si addormenta, si sveglia di notte urlando o parlando ininterrottamente, mi spaventa, mi fa piangere e mettere in imbarazzo, mi assilla costantemente come il grillo parlante in Pinocchio.
E mettiamoci una parola fine che diamine!
Fosse facile, con tutto quello che succede, con tutti gli intrecci e i casini in cui si ficcano questi nuovi personaggi, ché poi fanno i chilometri e hai voglia a rincorrerli tutti, senza perderne di vista nemmeno uno.
A volte ho la tentazione di chiamarne qualcuno al telefono per chiedergli: scusa, ma dove sei andato? e soprattutto, cos’hai combinato? Ma senti una cosa, raccontami un po’ di questo viaggio…
e insomma, follie di questo tipo.
Ma poi non so chi chiamare, dovrei chiamare me stessa, quella me che si siede davanti al nulla e si fa passare questo nuovo davanti agli occhi scordandosi a volte di prendere appunti.
Insomma, tutte queste cialtronerie per dirvi che sono in pausa creativa, profonda, preoccupante a tratti.
Vivo di ricordi, anche quelli non miei, ma che sono comunque miei per la proprietà transitiva che ho stabilito con i miei personaggi.
Vago a piedi macinando chilometri, a volte con il brivido della paura di perdermi e di non riuscire più a tornare a casa.
Mi godo il silenzio di angoli nascosti, dove quasi il mio respiro fa troppo rumore, e mi siedo dove capita senza preoccuparmi di sporcarmi i vestiti.
Sbircio le notizie del mondo, trovando analogie preoccupanti, campanelli di allarme fin troppo evidenti da essere veri e tutto mi appare come un ronzio furioso, dove ogni tanto qualcuno alza la voce e tutti si girano a guardarlo per poi riprendere quel ronzio.

Come se nulla fosse.



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